ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 16 marzo 2013

In spe contra realitatem?


Buono, ma non buonista;
povero, ma non pauperista…
semplice, ma non semplicista


Papa Francesco nell’omelia durante la Celebrazione eucaristica con i cardinali nella Cappella Sistina ha tracciato semplicemente ma chiaramente le linee fondamentali del suo pontificato indicando cosa la Chiesa deve fare:camminareedificareconfessare.


Tre prospettive chiarissime e insite nella vocazione stessa della Chiesa.Camminare, ovvero pellegrinare nella Storia. Edificare, ovvero santificare.Confessare, ovvero testimoniare Cristo.

Pellegrinare nella storia non vuol dire seguire la storia o essere nella storia, bensì essere sì nella storia ma non della storia. Vuol dire avere dinanzi a sé l’obiettivo della méta da raggiungere, una méta che è al di là della storia. Il pellegrinare è sì nella storia ma ciò che si deve raggiungere è oltre la storia, ed è il compimento del Regno di Dio, il raggiungimento della pienezza della vita eterna, è la conquista del Paradiso.

Edificare, vuol dire santificare; e santificare vuol dire salvare. Vuol dire far capire che ciò che conta è raggiungere la méta del Paradiso. Che all’uomo –come ho già detto prima- non è data alcuna salvezza su questa terra, ma che il vero obiettivo è la pienezza di vita in Dio nella dimensione dell’eternità. Che ciò che conta è la Grazia di Dio; tutto il resto è inezia.

Testimoniare, vuol dire portare la Verità, che è unicamente Cristo. Gesù, che conosceva bene la differenza tra l’articolo determinativo e quello indeterminativo, non disse di se stesso di essere una via, una verità e una vita; bensì di essere la via, la verità e la vita. Testimoniare significa dire all’uomo che non può trovare in se stesso la risposta e la soluzione del suo vivere, ma solo incontrando Cristo e vivendo della vita di Cristo (la Vita di Grazia).

Ma nell’omelia papa Francesco ha detto anche altro. Ha detto due cose molto importanti. La prima: senza Cristo, la Chiesa si trasforma in una sorta di ONG. La seconda: non si può confessare Cristo senza la Croce.

Facciamo qualche riflessione.

Senza Cristo, la Chiesa si trasforma in una sorta di ONG. Verissimo. E’ da tempo che si constata questo problema. E’ da tempo che l’annuncio cristiano non affascina più. Negli ultimi decenni la Chiesa è come se avesse dimenticato la centralità di Cristo, quasi come se se ne fosse vergognata. La Chiesa sembra essersi ridotta ad una sorta di “ente morale”, solo preoccupata a rincorrere il mondo, a fare del “politicamente corretto” il suo dogma fondamentale, a inchinarsi dinanzi al mondo e a credere che tutto sommato la sua missione sia quella di farsi redimere dalla storia e non viceversa. Una Chiesa cortigiana della storia. Una Chiesa che non ha saputo più essere “segno di contraddizione” dimenticando appunto Cristo che –come disse il vegliardo Simeone- è “segno di contraddizione, salvezza e perdizione per molti in Israele”! Una Chiesa che non ha saputo e non ha più voluto condannare l’errore e proteggere dall’errore i suoi figli. Una Chiesa dove vi è una sorta di dimenticanza della tensione verso l’eternità in favore di preoccupazioni esclusivamente immanenti e di chiaro sociologismo moralistico. Una Chiesa che ha creduto che tutto sommato la vera uguaglianza fra gli uomini sia quella dei diritti sociali e sindacali, e non quella vera, e cioè che tutti –ricchi e poveri, colti e ignoranti, sani e infermi- hanno bisogno di “parole di vita eterna”. Una  Chiesa che ha creduto che la misericordia sia solo quella di offrire il panino a tutti, e non quella prima di tutto di offrire la verità. Non a caso sonoopere di misericordia non solo quelle corporali ma anche e soprattutto quellespirituali. Anzi, una Chiesa che ha separato i due modelli di opere, non tenendo in considerazione che esse o vanno insieme o non vanno affatto. Perché è tutto l’uomo che deve essere salvato. E’ tutto l’uomo che ha bisogno di misericordia. Ha bisogno di misericordia il suo corpo ma anche e soprattutto la sua anima. Da qui l’esempio inequivocabile dei santi. Da san Luigi IX, il grande Re di Francia, che da Re si preoccupava della salvezza eterna dei suoi sudditi dando testimonianza coraggiosa di servire la Verità e la Chiesa nelle Crociate, ma che si preoccupava anche di alleviare le umane sofferenze: ogni sabato radunava i poveri nel suo palazzo, lavava loro i piedi che baciava con rispetto, dopo averli asciugati con le sue stesse mani; li serviva lui stesso a tavola e a loro distribuiva una ricca elemosina. Alla beata Madre Teresa di Calcutta, che andava per strada a portare cibo e conforto ai dalit, ma che dinanzi al consesso dell’ONU ebbe il coraggio di dire pubblicamente: … non illudiamoci, fin quando sulla terra ci sarà una madre che arriverà ad uccidere il proprio figlio nel suo grembo, sulla terra non ci potrà mai essere la pace.

Papa Francesco, da vescovo di Buenos Aries, queste cose le ha fatte: ha dato pubblica testimonianza delle opere di misericordia corporale lavando i piedi persino ad ammalati di AIDS, ma non ha trascurato quelle spirituali, che sono ugualmente di misericordia. Quanti vescovi in Italia in merito alla proposta di legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono arrivati a dire queste parole che ebbe il coraggio di dire l’allora cardinale Bergoglio chiedendo preghiere ai monasteri di clausura femminile di Buenos Aries: “Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di DioNon è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una «mossa» del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio. E Gesù dice che per difenderci da questo accusatore bugiardo ci manderà lo Spirito di Verità. Oggi la Patria, in questa situazione, ha bisogno dell’assistenza speciale dello Spirito Santo che porti la luce della verità in mezzo alle tenebre dell’errore.  (…)Ricordiamo ciò che Dio stesso disse al suo popolo in un momento di grande angoscia: «Questa guerra non è vostra, ma di Dio».  Che (Gesù Bambino, la Madonna e san Giuseppe) ci soccorrano, difendano e ci accompagnino in questa guerra di Dio.”?

Passiamo all’altra espressione: … non si può confessare davvero Cristo dimenticando la Croce.
Altra grande questione della Chiesa attuale: la dimenticanza della Teologia della Croce. Senza questa, il Cristianesimo non si capisce. Non ha senso. Si è dimenticata la Croce perché questa richiama una verità che un certo cristianesimo contemporaneo, conforme al mondo, non vuole accettare, e cioè che Dio è assoluta perfezione e, nella sua assoluta perfezione, è Logos. Dio è infinita misericordia ma anche infinita giustizia. Dio non può patire la contraddizione, per cui non possiamo dire che Egli è misericordioso e non-misericordioso o che è giusto e non-giusto. Ma può avere l’apparente contrarietà, da qui l’inconfutabile verità che Dio è infinitamente misericordioso ma anche infinitamente giusto … e che la giustizia di Dio va compensata. La Croce questo vuol significare. La contraddizione sta nel fatto che chi vuol dimenticare la dimensione della “sofferenza vicaria” –che è costitutiva del Cristianesimo- per evitare di parlare troppo della giustizia e del rigore di Dio, non si accorge che, proprio dimenticando la Croce, il Dio cristiano diventa paradossalmente “cattivo” … perché, se non c’è la Croce, come si fa a capire il perché Dio permetta che muoia l’innocente e che il cattivo viva? Come si fa a capire il perché Dio permetta che soffra un bambino e che il malvagio goda? Nulla avrebbe più senso.
La Chiesa degli ultimi decenni non solo si è vergognata di Cristo, si è vergognata anche della Croce. La grandezza di san Pio da Pietrelcina è tutta nel fatto che è stato una vera e propria “icona” di risposta ai gravi errori del Cristianesimo contemporaneo: dimenticanza della centralità della Teologia della Croce, crisi del sacerdozio, dimenticanza della centralità della Vita di Grazia (san Pio è stato un vero e proprio martire del confessionale), dimenticanza del valore sacrificale della Messa.
Già! La Messa. Ecco un punto centrale che mi permetto (sommessamente) di chiedere a papa Francesco. La sua bellissima espressione non si può davvero confessare Cristo senza la Croce necessità di una attenzione alla liturgia, dove la dimensione sacrificale deve essere centrale e dove –diciamolo francamente- nella riforma liturgica è stata inequivocabilmente trascurata. E - si sa - il rapporto tra liturgia e fede è inestricabile: lex orandi, lex credendi.

L’augurio è che da queste due espressioni di papa Francesco si possa ritornare ad un’essenzialità del Cristianesimo. Anche se su questo termine (“essenzialità”) va fatta una precisazione. Se per “essenzialità” s’intende ciò che solitamente si è inteso in certa teologia contemporanea, allora le cose non vanno bene. Per “essenzialità” in questo senso s’intende una riduzione del Cristianesimo a poco per renderlo funzionale al dialogo ecumenico, trascurando il fatto che tutto ciò che è rivelato è importante. Non a caso va ricordato: “Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu”. Il bene, infatti, è nell’accettare la verità tutt’intera, perché nell’ambito della verità assoluta solo l’interezza conta.  Sant’Agostino, nel Commento al salmo 54(precisamente al numero 19), afferma: “In molte cose (di fede) concordano con me; in alcune con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me a nulla serve loro essere con me d’accordo in molte.”

Ma ci può essere anche un significato corretto di “essenzialità”. Cioè tornare al Catechismo. Tornare al Credo. Evitando tutti i contorsionismi teologisti (attenzione: non dico “teologici” ma “teologisti”). Insomma, evitando non la corretta teologia, che è a servizio del Magistero e della Tradizione, ma ilteologismo intellettualista che finisce col trasformare la chiarezza della verità in prospettive ideologiche atte a rendere il dato rivelato e la Tradizione in funzione del “magistero” della storia e delle mode. Tornare al Catechismo vuol dire soprattutto due cose. Primo, capire che la Verità è stata, è e sarà sempre … e non potrà mai cambiare, né tantomeno potrà essere suscettibile di contraddizioni o di “ermeneutiche” capaci di negare la contraddizione quando essa esiste ed è evidente. Secondo, valorizzare la dimensione popolare della fede. Riscoprire la devozione dinanzi alla quale certa teologia contemporanea alza snobisticamente il naso. Riscoprire il sensus fidelium. Prendere le distanze da un adultismo della fede che si riduce ad un costruirsi un Cristo a proprio uso e consumo.

E’ per questo che abbiamo fiducia in papa Francesco. Abbiamo fiducia che, rendendosi docile alla grazia di stato conferitagli dal primato petrino, saprà andare alle logiche conseguenze di queste sue due belle affermazioni.

Abbiamo fiducia che sarà un papa buono … ma non buonista, povero … ma non pauperista, semplice … ma non semplicista.

di Corrado Gnerre





Diffuso da Il Cammino dei Tre Sentieri, il 16 marzo 2013

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV442_Gnerre_Papa_Francesco_16.3.13.html
Ettèparèva...:Quid est realitas?Perché papa Francesco ama Marc Chagall
di Maria Gloria Riva16-03-2013
Crocifissione Biancahare on facebook
Da ardito filosofo e colto intellettuale, Papa Francesco ha una predilezione per la Crocifissione bianca di Chagall. Questo conferma l’intuizione, avuta sin dal suo primo apparire, di un Papa sì semplice e informale, ma dalla natura ferma e dalla comprensione piena di ciò che ci attende. E quello che ci attende lo si può comprendere solo alla luce di un’adeguata lettura di un passato non lontano, come quello descritto da Marc Chagall nell’opera in questione.
La Crocifissione bianca riassume la tragedia del popolo ebraico, delle persecuzioni, dei pogrom, delle espropriazioni indebite subite lungo tutto il XX secolo. In alto, a sinistra, le bandiere rosse dell’ideologia comunista firmano drammaticamente l’azione distruttrice verso una comunità che ovunque si trovi conserva il legame prezioso dei teffillim. La sinagoga incendiata rievoca le distruzioni naziste dei luoghi di culto e delle opere di molti artisti ebrei, tra cui quelle dello stesso Chagall. In alto, il dolore dei rabbini e delle donne si mescola al fumo che, salendo da Auschwitz, porta con sé infinite esistenze.
Al centro, Cristo catalizza la girandola di eventi: un Cristo luminoso in cui ogni dolore s’infrange, tanto è grande la pace e la serenità che emana. Cristo come capitulum, come rotolo attorno al quale si avviluppa la torà, assomma in sé la forza intrinseca di un popolo che canta a Dio: «se anche mi uccidesse, spererei in Lui». Cristo, infatti, porta il talled Gadol, lo scialle della preghiera e davanti a Lui arde instancabile una menorah.
Da alcune dichiarazioni rilasciate da Papa Francesco mentre ancora era Cardinale, dalle parole brevi e chiare pronunciate all’inizio di questo suo Pontificato mi pare davvero ch’egli abbia davanti ai suoi occhi il capitulum del Cristo crocefisso, attorno al quale si avviluppa non soltanto tutta la torah, ma la storia della salvezza nella sua totalità.
In quest’opera si legge in filigrana il dolore di ogni perseguitato. Chagall, infatti, ebreo convinto, ha saputo leggere nelle piaghe del Crocefisso il grido di ogni innocente, specie dell’innocenza del suo popolo. Non aveva bisogno Chagall di togliere la croce dai muri per proclamare la sua identità, non aveva bisogno di cancellare la fede cristiana per affermare la sua. Egli ha saputo riconoscere nell’autentica esperienza religiosa cristiana la via per dare un nome al dolore.
Forse per questo l’opera in questione piace tanto al Papa, Chagall ci riconduce al valore della testimonianza: chi non confessa Cristo, ha appena annunciato il neo eletto Pontefice, lo voglia o no annuncia l’Anticristo, cioè Satana. Abbiamo bisogno di parole così, chiare, com’è chiara l’arte ispirata. L’arte, come la fede vera, quella sorretta dalla ragione, l’arte vera, come la ragione sorretta dalla fede nella verità, educa al Mistero, educa all’incontro con quell’Altro e con quell’Oltre che rende liberi di fronte al diverso che ci vive accanto.
Chagall dipinge in quest’opera ciò che ha visto coni suoi occhi: la sofferenza della Shoà, il tramonto dell’ideologia che ancora inonda di rosso il cielo di Europa. Ha visto e non può tacere. Nella sua voce c’è la nostra voce. Non è la voce altisonante e stridula che si leva spesso dai polemici ad oltranza, da quelli che per definizione sono «contro». È la voce sommessa della preghiera salmica, voce impercettibile, ma robusta e ardente come il fuoco della menorah. È la voce del violino che riposa ancora, nonostante i pogrom, accanto alle case incendiate del quadro di Chagall. È la voce della bellezza della verità la quale, proprio quando è conculcata, allora grida più forte. Questa è la voce del Papa e di mille volti sconosciuti (come era sconosciuto ai più il volto di Bergoglio) che del dialogo o meglio, dell’incontro e della ricerca sincera della verità, fanno la loro missione.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-perch-papa-francesco-ama-marc-chagall-6033.htm


LA DITTATURA ARGENTINA E JORGE BERGOGLIO


di Alberto "Malaparte" Puliafito  


Le polemiche su Papa Francesco e sul suo passato corrono via veloci, anche perché, come è facilmente immaginabile, il lato buono della virtù, l’umiltà, la semplicità, tutti questi concetti – oltre all’incarico ricoperto, ovviamente – spazzano via qualsiasi possibilità di critica.
   
Eppure, come scrivevamo, che la Chiesa sapesse non è una fantasia. E’ una vecchia storia, quella della connivenza fra chi “fa del bene” e chi “fa del male”, basti pensare all’annosa querelle che riguarda la Croce Rossa, per capirci.
Ma basterebbe poco. Basterebbe, per esempio, che Papa Francesco, invece di opporre il silenzio, parlasse della pagina più nera della storia del suo paese; che parlasse dei desaparecidos; che ammettesse prima, condannasse poi, fermamente le violenze. Che ammettesse il ruolo ambiguo del Cardinal Primatesta. 

Nunca mas. Papa Francesco: la controversia sul passato. La figura di Jorge Bergoglio, Papa Francesco, è quantomeno controversa, e così è ovvio che, dopo l’elezione, si cerchi di trovare un po’ di chiarezza nelle nebbie della storia. Argentino, gesuita, in attività ecclesiastica già durante la dittatura militare (un ampio riassunto viene offerto dalla versione spagnola di Wikipedia, per contestualizzare storicamente i fatti di cui parleremo) del 1976.

Nel 2005, quando si aprì il Conclave che portò all’elezione di Benedetto XVI, Adnkronos batté la notizia del fatto che Bergoglio era stato denunciato per presunta complicità nel sequestro di due missionari gesuiti.
I fatti si sarebbero svolti il 23 maggio del 1976. Adnkronos spiegava: «La denuncia e’ stata presentata dall’avvocato e portavoce delle organizzazioni di difesa dei diritti umani in Argentina, Marcelo Parilli, che ha chiesto al giudice Norberto Oyarbide di indagare sul ruolo di Bergoglio nella sparizione dei due religiosi a opera della marina militare».
Nel libro di Horacio Verbitsky (giornalista d’inchiesta argentino) L’isola del silenzio, pubblicato in Italia da Fandango, si denunciano appunto questi fatti, con un’ampia esposizione che riguarda anche le complicità della Chiesa cattolica nei confronti della dittatura di Videla.
Bergoglio arrivò “secondo” nel Conclave del 2005. Nel 2006, Don Vitaliano scriveva un pezzo dal titolo Il lato oscuro del Cardinal Bergoglio, citando proprio il libro di Verbitsky:

«Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, presidente dei vescovi argentini, nonché tra i più votati, un anno fa, nel conclave Vaticano che ha scelto il successore di Giovanni Paolo II, è accusato di collusione con la dittatura argentina che sterminò novemila persone. Le prove del ruolo giocato da Bergoglio a partire dal 24 marzo 1976, sono racchiuse nel libro L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, del giornalista argentino Horacio Verbitsky, che da anni studia e indaga sul periodo più tragico del Paese sudamericano, lavorando sulla ricostruzione degli eventi attraverso ricerche serie e attente».
Parte della documentazione raccolta da Verbitsky si trova riportata da Peacereporter. E ancora.

Sul sito Nunca Mas (Mai più, dedicato all’informazione sui Desaparecidos in Argentina, proprio durante la dittatura militare) si legge: «Nel 1986 Emilio Mignone nel suo libro Chiesa e Dittatura , descrive Bergoglio come esempio della “sinistra complicità ecclesiastica con i militari che si incaricarono di compiere lo sporco compito di lavare il cortile interno della Chiesa con la accondiscendenza dei prelati.”.
Ma cosa era successo, nel 1976? Ancora da Nunca Mas, che attinge a piene mani dal lavoro di Verbitsky:

«Nel 1976 furono sequestrati i gesuiti Luis Dourrón, Enrique Rastellini e Francisco Jalics. Erano stati ammoniti dal loro superiore Jorge Bergoglio ad abbandonare le favelas in cui operavano e di fronte ad un loro netto rifiuto fu lo stesso Bergoglio a dare il semaforo verde ai militari per il loro sequestro. Furono poi liberati e dovettero nascondersi fino alla fine della dittatura aiutati da altri sacerdoti e vescovi che si distinsero nella loro difesa per i diritti umani come Miguel Hesayne e Jorge Novak. Secondo la testimonianza di un gesuita ex-detenuto desaparecido, Orlando Yorio, Bergoglio, in qualità di superiore gesuita, aveva relazioni costanti con il dittatore Emilio Masera che lo informò di come Yorio fosse un comandante della guerriglia. Ciò bastò a Bergoglio per disinteressarsi completamente della sorte del gesuita la cui grande colpa era quella di lavorare con i poveri in un umile quartiere di Buenos Aires. Yorio fu sequestrato e rimase desaparecido per cinque mesi.
Bergoglio rappresenta quello che nella politica argentina si conosce come conservatore – popolare: conservatore estremo in materia dogmatica ma con una marcata sensibilità verso le fasce povere»

Veniamo ai giorni nostri, per recuperare fonti più recenti. Se non si trovano, nelle dichiarazioni di Bergoglio, condanne alla dittatura di Videla, la AP divulga proprio oggi un’ampia agenzia di stampa che contiene un riferimento alla vicenda dei due gesuiti rapiti e a tutte le controversie che riguardano Papa Francesco.
In essa si racconta, tanto per cominciare, che Jorge Bergoglio, il nuovo Papa, ha un suo biografo ufficiale. Si tratta di Sergio Rubin, che ne ha raccontato il basso profilo: una delle caratteristiche che ha sempre accompagnato l’attività ecclesiastica di Bergoglio. Secondo Rubin, l’attuale Pontefice ha sempre rifiutato di rispondere alle accuse che riceveva, anche se non rispondevano al vero. E il biografo sottolinea:
«Quando i vescovi si incontrano, [Jorge Bergoglio] ha sempre voglia di sedersi nelle ultime file: questo senso di umiltà è molto ben visto a Roma».

E infatti. Ma la ricostruzione prosegue. Secondo l’avvocato per i diritti umani Myriam Bregman, per due volte Bergoglio non si è presentato a processo e quando ha testimoniato le sue risposte sono state evasive. Ci sono i due preti gesuiti che appartenevano alla teologia della liberazione – ritenuta ostile da sempre, dalla Santa Sede –, di cui abbiamo già parlato, Yorio e Jalics (il primo accusa esplicitamente, il secondo si ritira in reclusione in un monastero tedesco): Bergoglio, dice il solito biografo ufficiale, avrebbe agito per farli liberare, come poteva, sottotraccia. Ma i dettagli di questa operazione non sarebbero mai stati rivelati.
L’unica fonte è il libro-intervista di Rubin, in cui Bergoglio afferma di aver regolarmente nascosto persone che avevano bisogno di aiuto per sfuggie alla dittatura. Tutto in segreto, mentre nelle strate regnava il terrore: un atteggiamento che per Rubin sarebbe semplicemente pragmatico. E nella riluttanza a spiegare la sua posizione, Rubin legge l’umiltà di Bergoglio.

Eppure, la Bregman contesta tutto, soprattutto la posizione degli ecclesiastici: «La dittatura non poteva operare in questo modo senza il loro sostegno»
Poi c’è l’accusa che riguarda una famiglia che aveva perso cinque parenti, tutti e cinque «desaparecidos»: fra di loro c’era anche una giovane donna, al quinto mese di gravidanza. Rapita e poi uccisa nel 1977. La famiglia De la Cuadra si era rivolta ai Gesuiti a Roma, che avevano chiesto a Bergoglio di intervenire. Bergoglio, a sua volta, aveva nominato un monsignore. Passarono i mesi. E alla fine arrivò solamente una nota da un colonnello che rivelava che la giovane donna aveva dato alla luce una bambina, che era stata assegnata in adozione a una famiglia «troppo importante». La storia finì lì. E ci sono le prove, scritte.

Nonostante questo, Bergoglio sostiene di non aver mai saputo che venissero rapiti bambini finché la dittatura non terminò. Insomma, Bergoglio sarebbe stato non solo estraneo, ma addirittura del tutto all’oscuro del fenomeno dei Desaparecidos.
Una versione francamente poco credibile: risulta davvero difficile immaginare un alto prelato totalmente all’oscuro di quello che, in Argentina, era tragicamente sotto gli occhi di tutti.

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