ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 23 marzo 2013

note sulla Mariologia mancata di Lumen Gentium VII/54

Quin tamen in animo habeat completam de Maria proponere doctrinam: note sulla Mariologia mancata di Lumen Gentium VII/54

  Che la mariologia del proemio al capitolo ottavo della LG (De Beata Maria Virgine) sia mancata non lo dico io; lo disse il Concilio Vaticano II quel 21 novembre 1964 quando fu promulgata la LG, precisando che il concilio intende esporre la dottrina della Chiesa su Maria, “pur senza aver in animo di proporre una dottrina esauriente, né di dirimere questioni dai teologi non ancora pienamente illustrate” recita la versione ufficiale del documento.

            Quin tamen in animo habeat: non che il concilio voglia proporre la dottrina completa riguardo a Maria (“della Chiesa” non c’è nel mio testo latino, che è l’edizione Massimo del 1967). E se i padri conciliari non ebbero in mente di PROPORRE una dottrina su Maria, figuriamoci se venne loro in mente di DEFINIRE. Per chi voglia studiare, anche solo a sommi capi, le travagliate vicende della dottrina mariana al CVII – e Roberto de Mattei nel suo “Il Vaticano II. Una storia mai scritta” ne offre un’ottima sintesi – l’allusione di LG VIII/54 è trasparente. La dottrina che il Concilio non ha voluto definire è quella di Maria Mediatrice di tutte le grazie. Neppure su Maria Corredentrice il Concilio si pronunciò; ma le richieste più numerose da parte dei vescovi e le discussioni più pressanti furono quelle sulla mediazione universale di Maria. Dati questi precedenti, è difficile non vedere nella rinuncia a chiarire – non diciamo a definire, per carità! – la dottrina su Maria ( “il concilio non intende proporre la dottrina completa su Maria,” LG VIII/54) l’abdicazione del Vaticano II alle proprie responsabilità.
            C’è chi, come il P. Yves Congar nel suo Diario del Concilio, riferisce che ci fu forte opposizione al titolo “Maria Mediatrice” da parte di papa Paolo VI. Certo erano contrari – prima, durante e dopo il CVII – tutti quelli che vedevano nella devozione a Maria un relitto di devozione popolare ed un ostacolo al movimento ecumenico da loro caldeggiato. Comunque sia, il CVII non definì alcuna dottrina mariana ed il titolo “Mediatrice” entrò nella LG di soppiatto ed un po’ di sghimbescio, grazie (dice Congar) all’accortezza di monsignor Pietro Parente. Questa è storia; cinquant’anni dopo, siamo ancora in attesa di dirette ed incontrovertibili affermazioni teologiche sul ruolo di Maria nella e per la Chiesa; nel frattempo, poiché la natura ha orrore del vuoto, al posto della devozione vera a Maria – quella basata sulla Rivelazione giuntaci mediante la Tradizione e la Scrittura – proliferano incontri tipo quello del 9 febbraio scorso a Trieste: una “giornata di preghiera” in un santuario mariano del centro storico, con la “testimonianza” di Mirjana. La sedicente veggente di Medjugorie ripresa dalle telecamere, “testimoniava” tranquillamente seduta al centro del presbiterio, con le terga rivolte al tabernacolo e tanto di maxischermo all’esterno della chiesa; un’ora più tardi, l’Ordinario del luogo celebrava una Messa nello stesso presbiterio sgomberato dalla presenza di Mirjana.
            Il rovescio della non proprio gloriosa medaglia lasciateci da LG VIII/54 è che i padri conciliari hanno lasciato libero campo alla discussione: “permangono quindi nel loro diritto le sentenze, che nelle scuole cattoliche vengono liberamente proposte circa colei che nella hiesa santa occupa, dope Cristo, il posto più alto e vicino a noi.” Ma non si direbbe che dopo il Concilio vi sia stato un gran fervore di ricerca sui due temi specifici – mediazione e corredenzione – proposti all’attenzione dei padri; si tende invece a vedere in questi temi un “massimalismo pericoloso” (così definito nella lettera spedita ai cultori di mariologia dalla Pontificia Accademia Mariana Internazionale l’8 dicembre del 2000), mentre si favorisce la visione antropocentrica ed ecumenica ereditata dai “minimalisti” conciliari e dai loro predecessori. Se sbaglio, sarò io la prima a gioirne; ma temo che siano stati pochi gli sforzi per contribuire su serie basi teologiche ad una futura definizione dei dogmi di Maria Corredentrice e Mediatrice. È dunque tanto più notevole il Symposium su Maria Assunta svoltosi a Frigento nel 2011, nel quale monsignor Gherardini riaffermò con decisione la dottrina della Chiesa riguardo ai due suddetti titoli mariani, dimostrando che essi derivano, come ogni altro titolo della Madonna, dal suo essere madre di Cristo, e che quindi ogni onore reso a Maria è un onore reso a Cristo (http://www.centreleonardboyle.com/Gherardinionline.html).
            Dal punto di vista teologico, sarebbe sufficiente seguire questa linea di ragionamento per definire i dogmi della Corredenzione e Mediazione di Maria. Ma nel caso di definizioni dogmatiche o proposte tali è consuetudine della Chiesa il raccogliere testimonianze relative alle dottrine proposte come dogmi, e ciò resta valido oggi, specie per quanto riguarda testimonianze desunte dai Padri e dalla Scrittura, cioè dai primi secoli della Chiesa. Questo lavoro preliminare è compito degli storici e dei filologi: degli storici, che devono innanzitutto reperire la testimonianze e poi verificarne l’autenticità, e dei filologi, che devono assicurare la corretta lettura e, se è il caso, traduzione dei testi; l’interpretazione spetterà poi ai teologi.                
            Nel caso di Maria Mediatrice, anche al Concilio si levarono voci contrarie a tale titolo perché – affermavano – non v’erano basi bibliche a suo suffragio. A ben vedere, i minimalisti non vedevano alcuna base biblica per la devozione a Maria tout court, ed il Diario del Concilio  di Yves Congar è indicativo del loro punto di vista: il P. Congar non teneva in alcun conto la Tradizione, quindi per lui la Rivelazione si esprimeva solo attraverso la Scrittura. Egli sosteneva “la necessità di lottare, in nome del Vangelo e della Fede apostolica, contro lo sviluppo, la proliferazione mediterranea e irlandese, di una mariologia che non procede dalla Rivelazione, ma con l’appoggio dei testi pontifici” (Diario, 22 settembre 1961)
Quella di Congar è ovviamente un’opinione personale, che tuttavia fece ed ancora fa larghissima scuola; per lui e per molti altri il fatto che la Bibbia non dica nulla (o così pensano) sulla mediazione di Maria basta a relegare ogni iniziativa in questo senso nella deriva irlandese e mediterranea postulata (agli occhi di Congar) da quell’”imbonitore” che era il Padre Carlo Balic.
            Passi per gli epiteti coloriti, di cui de Mattei dà un saggio nella sua storia del Vaticano II (p. 316 note 126, 127, 128 e 129). Gli apprezzamenti derivano, come spiega Congar, da appunti vergati a caldo dopo una lunga giornata conciliare; ma nel 1968 quegli appunti furono riveduti dall’autore e fatti dattiloscrivere dalla sua segretaria in triplice copia; il tutto fu poi stampato nel 2002, ed i curatori ci assicurano che il testo di Congar rimase immutato. C’è quindi ragione di ritenere che quegli appunti dicano esattamente quello che Congar intendeva dire non tanto ai partecipanti al concilio (egli dispose che il suo diario del Concilio non venisse pubblicato prima del 2000), quanto a noi, cinquant’anni dopo. Ed in essi ciò che conta non sono tanto gli insulti a padre Balic quanto ciò che li determinava, e cioè l’avversione al culto di Maria Mediatrice e ad ogni tendenza massimalista – un cancro, secondo Congar.
            Quest’avversione va tenuta presente nel considerare l’asserto di Congar: che il culto di Maria si basa solo su documenti pontifici relativamente recenti, ma non ha basi scritturali. Le basi però ci sono, e vale la pena di soffermarci su un passo della Scrittura, notissimo e citatissimo: il capitolo 12 dell’Apocalisse, in cui Giovanni descrive la sua visione della Donna ammantata di sole.

Il capitolo 12 dell’Apocalisse
            Nell’Apocalisse la visione della Donna nel cielo avviene immediatamente dopo quella dell’arca, sacra perché custodiva le tavole dell’alleanza; e gli esegeti hanno visto in Maria l’arca della nuova alleanza, che custodisce nel suo  grembo Gesù Cristo Dio e uomo. La Donna dell’Apocalisse dà alla luce un figlio che reggerà i popoli con una verga ferrea: questo è un tratto messianico,  già presente nel salmo 2:9 Quel figlio poi ascende al cielo. L’interpretazione più naturale è che, se il figlio è Cristo, la madre è Maria, e ciò fu infatti universalmente accettato nella patristica orientale. In quella occidentale la stessa interpretazione trova riscontro in S. Agostino e nella sua scuola, ed è documentata fino a Cassiodoro (circa 575 d.C.). Al tempo stesso però si affermava in occidente l’interpretazione della Donna come figura della Chiesa. Certo, e già lo aveva visto S. Agostino, le due interpretazioni non sono antitetiche, ma complementari; di fatto però dopo Gregorio Magno l’interpretazione Donna=Chiesa tenne banco, anche se vi sono testimonianze che l’altra interpretazione era nota. Non è quindi giustificato asserire, come fanno alcuni, che l’identificazione della donna con Maria è tardiva e risale a S. Bernardo (Sermo 183).
            Ora, se la Donna di Ap. 12 è Maria, ciò reca un fiero colpo alle teorie dei minimalisti conciliari ed ai loro epigoni; perché la Donna è rappresentata in termini di sovraeminente dignità: nel cielo, coronata di stelle e con la luna sotto i piedi. Ciò fu ben colto da Oecumenios, che gli storici collocano nel sesto secolo (forse si può precisare: dopo la proclamazione del Codice di Giustiniano nel 534, poiché Oecumenios usa la terminologia di Giustiniano). Questa, che sarà pure devozione mediterranea, ma certo non irlandese, contrasta in pieno con la visione riduttiva dei minimalisti, che tendono ad “inserire” Maria nella storia, cioè ad appiattirla facendone una donna come tutte le altre.
            Oecumenios non era il solo ad affermare i privilegi di Maria sulla base eminentemente biblica di Ap. 12. Prima di lui c’era stato Epifanio, che nel suo Panarion (Eresia 78) aveva collegato la profezia di Simeone a Maria con la donna di Ap. 12, identificandola così con la Madonna; dopo Oecumenios, vi furono i suoi discepoli Andreas ed Arethas. Questi teologi erano noti in occidente: dal commento di Cassiodoro all’Apocalisse risulta che egli conosceva le teorie di Andreas, e quindi anche quelle del suo maestro Oecumenios, che Andreas riportava – e ciò non solo riguardo ad Ap. 12. Ma il filone più importante per l’esegesi occidentale è quello agostiniano; ed è su questo terreno che i minimalisti, prima, durante e dopo il Vaticano II, fecero del loro meglio per sminuzzare, se non eliminare completamente, i testi chiave, confinandoli nel migliore dei casi ad una nota a pie’ pagina in caratteri microscopici.
            Il testo di Agostino in cui egli identifica senza esitazioni la Donna di Ap. 12 con Maria si trova nel quarto sermone rivolto ai catecumeni di Cartagine; materia obbligata, dunque, per chiunque si accingesse a ricevere il battesimo. Il testo, che  si trova in PL 40 fra i sermoni di Agostino ai catecumeni, e come Sermo III nell’edizione del Corpus Christianorum Series Latins (1977) delle opere attribuite a Quodvultdeus, recita:
In Apocalypsi Iohannis apostoli scriptum est hoc, quod staret draco in conspectu mulieris quae paritura erat, ut cum peperisset, natum eius comederet. Draconem diabolum esse, nullus vestrum ignorat; mulierem illam virginem Mariam significasse, quae caput nostrum integra integrum peperit. Quae etiam ipsa figuram in se sanctae Ecclesiae demonstrauit: ut quomodo filium pariens virgo permansit, ita et haec omni tempore membra eius pariat et uirginitatem non amittat [Questo sta scritto nell’Apocalisse di Giovanni: che il drago stava di fronte alla donna prossima a partorire, per divorare, quando partorisse, il nato da lei. Nessuno di voi ignora che il drago è il diavolo, e che quella donna significa la Vergine Maria, che partorì integerrima il nostro integerrimo capo. E quella stessa donna mostrò in sé la figura della santa Chiesa: come e al modo che  Maria, partorendo il figlio, rimase vergine, così anche questa in ogni età partorisce le sue membra e non perde la sua verginità].     
            L’accenno a Maria è breve perché il tema del sermone non è l’Apocalisse, ma il Credo, di cui si seguono passo passo gli articoli che i catecumeni dovevano imparare a memoria. Ma proprio questo dettaglio è interessante: in un discorso rivolto ai pivellini della cristianità, ad un livello di istruzione teologica di base, si dà per scontato (“nessuno di voi ignora”) che questi novizi della vita cristiana sappiano benissimo chi sono il drago e la donna in Ap. 12; e si spiega loro che Maria è il modello per tutta la Chiesa. Ciò merita qualche considerazione.
            Agostino, si sa, non era un beniamino dei periti del Vaticano II:  “Voltiamo la pagina dall’agostinismo e dal medioevo” scrisse Congar alla fine del concilio, il 26 ottobre 1965 (p. 379 del Diario). E nel 1956 il giovane Joseph Ratzinger aveva scritto un articolo sulla Chiesa in Ticonio ed in S. Agostino; ma per S. Agostino ci furono due righe e mezza, per Ticonio quattordici pagine, e chi vuole può trovarle nella Revue des études augustiniennes 2, 173-187 (‘Beobachtungen zum Kirchenbegriff des Tichonius im Liber regularum”). Ben prima del CVII c’era dunque la tendenza a minimizzare l’apporto di S. Agostino, ed i teologi a lui poco inclini accolsero senz’altro la teoria di G. Morin, che nel 1914 propose di attribuire tre dei quattro sermoni sul Credo in PL 40 a Quodvultdeus (il primo dei quattro sermoni continuò a venir attribuito a S.Agostino). Ma qui bisogna fare due osservazioni: la prima che, ironicamente, l’attribuzione a Quodvultdeus rafforza l’interpretazione massimalista, cioè che la Donna è Maria santissima; la seconda, che l’attribuzione dei tre sermoni a Quodvultdeus non è affatto scontata. E vediamo dapprima come la tesi massimalista esce rafforzata dalla novella attribuzione.

La tradizione agostiniana e Quodvultdeus
            Quodvultdeus era corrispondente e collaboratore di S. Agostino, diacono e poi vescovo di Cartagine. Ne fu scacciato quando se ne impadronirono i vandali nel 439, e con altri profughi africani trovò asilo a Napoli, dove morì verso il 453. I sermoni sul Credo a lui attribuiti, destinati all’istruzione religiosa dei catecumeni di Cartagine, non rispecchiano quindi in primo luogo le convinzioni personali dell’autore, ma hanno la funzione di trasmettere ildepositum fidei, la tradizione della Chiesa com’era vissuta a Cartagine nel quinto secolo; e chi li pronunciava – fosse Agostino o Quodvultdeus o chiunque altro incaricato dell’istruzione religiosa dei laici – non era tenuto ad esporre le proprie idee personali, ma la dottrina della Chiesa.
            Ciò detto, si capisce che determinare con esattezza chi sia l’autore dei tre sermoni in questione può essere importante per i filologi, ma non lo è altrettanto dal punto di vista teologico ; anzi, l’attribuzione dei discorsi ad un discepolo di S. Agostino qual era Quodvultdeus testimonia la presenza di una scuola agostiniana e di una tradizione ben vive a Cartagine al di là di un singolo personaggio, sia pure estremamente autorevole. E chi avesse dubbi sul fatto che i tre sermoni in questione riferiscono il pensiero di S.Agostino può confrontarli con quelli 212-215, pure di Agostino, pure sul Credo e pure destinati ai catecumeni, in particolare il Sermo 212, PL 38: 1064:
[Ecclesia] et virgo est et parit. Mariam imitatur, quae Dominum peperit. Numquid non virgo sancta Maria et peperit et virgo permansit? Sic et Ecclesia et parit et virgo est. Et si consideres, Christum parit; quia membra eius sunt qui baptizantur‘Vos estis, inquit Apostolus, corpus Christi et membra (1Cor. 12:27). Si ergo membra Christi parit, Mariae simillima est.” [(La Chiesa) è vergine e partorisce. Essa imita Maria, che partorì il Signore. Forse che la Santa Vergine Maria non partorì e rimase vergine? Così anche la Chiesa partorisce e rimane vergine. Ed a ben riflettere, essa partorisce Cristo; poiché quelli che ricevono il battesimo sono le sue membra. “Voi siete, dice l’Apostolo, il corpo di Cristo e le sue membra (1Cor. 12:27). Dunque la Chiesa, se partorisce le membra di Cristo, è del tutto simile a Maria”].
            C’è però un altro motivo per analizzare più da vicino l’attribuzione a Quodvultdeus, ed è il metodo seguito dai curatori dell’edizione CCSL. Perché qui si tratta di vedere se tale metodo dia prova di onestà intellettuale, cioè se presenti obiettivamente i fatti prima di trarre le conclusioni; e l’onestà intellettuale, cioè il non raccontar frottole, non riguarda solo i filologi, ma tutti noi.
            Innanzitutto, l’attribuzione dei sermoni 2-3-4 a Quodvultdeus non è affatto un dato acquisito, come il curatore R. raun farebbe supporre. Vi furono studiosi autorevoli che non accettarono quell’attribuzione, ed i loro nomi sono puntualmente elencati nella Patrologia dell’Altaner: Kappelmacher, Nock ed il nostro Manlio Simonetti.
            Poi, Quodvultdeus fu ritenuto l’autore in base a considerazioni stilistiche abbastanza vaghe: “somiglianze d’idee, di circostanze, di stile” fra i discorsi ed altri scritti che circolavano assieme a questi. Ma le somiglianze d’idee e di circostanze dimostrano appunto l’appartenenza dei tre discorsi alla scuola di S. Agostino, e quelle di stile possono dimostrare soltanto che un dato autore stese un documento, ma non dicono nulla sulle idee espresse nel documento stesso. Pertanto, può darsi benissimo che Quodvultdeus abbia redatto i sermoni 2-3-4 basandosi su appunti o sulla trascrizione stenografica dei sermoni di S.Agostino, nel qual caso la redazione del documento presenterebbe le caratteristiche stilistiche proprie di Quodvultdeus,  ma il contenuto concettuale sarebbe pur sempre quello di S. Agostino.
            Più grave è il fatto che l’edizione CCSL non dice motto sul fatto che nella tradizione manoscritta i quattro sermoni compaiono sempre insieme. Non solo, ma il primo sermone della serie – quello per cui non si poteva negare l’appartenenza a S. Agostino – viene omesso dalla descrizione dei manoscritti. Questi sono dati essenziali, e chi li omette non dice tutta la verità.
            Sempre nella linea di omissioni, si cercherebbe invano nell’edizione di R. Braun la testimonianza esplicita di Cassiodoro, che attribuisce a S. Agostino sermoni per i catecumeni – non dice quali, né quanti – senza dir nulla di Quodvultdeus. Ed un’altra omissione suscita qualche dubbio: nell’indice dei riferimenti biblici in Quodvultdeus/CCSL c’è un riferimento ad Ap. 12:4 (il drago di fronte alla donna, pronto a divorare il nascituro), ma non ce n’è alcuno alla frase successiva, in cui si identifica la donna con Maria; e le righe corrispondenti non compaiono affatto nell’indice.
            La tradizione manoscritta, dice Braun nella sua introduzione a Quodvultdeus, in genere non contribuisce a chiarire la genesi di un testo e non lo fa neppure questa volta. L’opinione è singolare e quanto mai discutibile, ma spiega perché un particolare della tradizione manoscritta venga ignorato nell’edizione CCSL. Si tratta del terzo sermone, dove l’edizione CCSL come tutte le precedenti edizioni a stampa, si riferisce a Cristo quale “nostro capo.” Dei  quasi 50 manoscritti citati da Braun  – e ve ne sono ancor più non consultati -  solo due recitano “nostro capo,” mentre tutti gli altri hanno “vostro” al posto di “nostro.” Evidentemente gli editori scelsero “nostro capo” perché questa è un’espressione usata spesso da S.Agostino, ma prima delle edizioni a stampa circolavano due recensioni del testo, una giusta e l’altra errata; e serietà scientifica vorrebbe che si ricostruisca per quanto possibile la trasmissione del testo, per vedere quando e dove vi fu l’errore. E se “nostro capo” è la versione giusta, essa ci è preservata solo in due manoscritti, entrambi da Clairvaux ed entrambi del dodicesimo secolo; provenienti quindi dall’ambiente di S. Bernardo, ed a lui noti. Il che è interessante, perché indicherebbe che, lungi dall’inaugurare l’interpretazione mariologica di Ap. 12, S. Bernardo trovava nella biblioteca del suo convento l’autentica interpretazione agostiniana.

La tradizione agostiniana e Cassiodoro
Ma S. Agostino fu trattato con i guanti bianchi in confronto a Cassiodoro, suo discepolo vissuto circa un secolo e mezzo più tardi. Il breve commento all’Apocalisse scritto da Cassiodoro ed intitolato Complexiones in Apocalypsidice a chiare note, ritenendola cosa scontata, proprio come il sermone di S.Agostino/Quodvultdeus, che la donna di Ap. 12 è la madre del Signore, e ciò non è forse estraneo alle stroncature che le Complexiones subirono dopo il Vaticano II.
            Nel 2003 la collana del Corpus Christianorum si arricchì del volume 107 curato da Roger Gryson, che comprende quelli che Gryson considera “Commenti minori” all’Apocalisse. Fra essi c’è anche quello di Cassiodoro, di cui Gryson afferma che “cadde rapidamente nell’oblio” e continua che “ciò non sorprende, perché l’interesse è dei più esigui, dato che il commentatore si limita a parafrasare od a riassumere il suo testo; e fornisce appena di tanto in tanto, come en passant, qualche elemento esplicativo” (p. 101).    
Sull’oblio attribuito da Gryson alle Complexiones ci sarebbe parecchio da ridire, e lo dirò Deo volentenell’introduzione all’edizione critica di quest’opera che sto preparando per la Catholic University of America Press. Quanto alla stroncatura delle Complexiones ad opera di Gryson (uno studioso molto vicino all’ambiente accademico di Lovanio), essa è comprensibilissima in un quadro di mariologia minimalista, che non vuole riconoscere né la dignità unica della Madonna, né i suoi titoli di Corredentrice e Mediatrice; giacché per sostenere le posizioni minimaliste bisogna eliminare quei passaggi scritturali che mettono in risalto l’unicità di Maria, e quindi anche eliminare quei padri che li hanno commentati e diffusi. Così si ignorano i padri greci, e così si stroncano Agostino e Cassiodoro, che era l’erede diretto della tradizione agostiniana.
Ma la stroncatura di Gryson non ha alcuna base oggettiva e si potrebbe prendere più sul serio se non fosse basata su madornali errori di lettura. Un esempio fra tanti: patre (padre) per parte (parte), il che ovviamente cambia il senso della frase. Ma i casi più numerosi sono le correzioni apportate dove non ce n’era alcun bisogno: l’editore stralesse il testo latino, ignorando nessi e legature; e sì che il codice 39 della Biblioteca Capitolare di Verona, unico codice delleComplexiones, è disponibilissimo a chiunque in chiarissimo e convenientissimo formato CD. Ma tutto fa brodo per screditare Cassiodoro, perché attraverso di lui si scredita S. Agostino, ed attraverso Agostino la Tradizione di Santa Romana Chiesa.
Cassiodoro non si limita a ripetere la dottrina già enunciata da Agostino, che la donna di Ap. 12 è Maria e che Maria è il modello della Chiesa; egli insiste sul fatto che Maria è madre di Dio, al punto da chiamarla costantemente “madre del Signore”. Storicamente ciò va letto come adesione alle definizioni del concilio di Efeso, che un secolo e mezzo prima aveva definito la maternità divina di Maria; ma al tempo di Cassiodoro quelle definizioni erano sotto attacco da più parti. Teologicamente però l’importanza del titolo “madre di Dio” è ancora maggiore, perché – e questa è un’intuizione di Cassiodoro che si ritroverà poi nei massimalisti del Vaticano II ed in tutta la sana teologia – la maternità divina di Maria è la base su cui si fondano tutti i suoi privilegi. È quindi anche la base per i titoli di Corredentrice e Mediatrice, e ne parlò monsignor Gherardini al Symposium di Frigento.
Per comprendere perché Cassiodoro si rivolga costantemente a Maria “madre del Signore” bisogna tener presente cosa sono le complexiones. Cassiodoro spiega lui stesso il significato ed il perché di questo titolo che egli diede al suo commento: benché molto brevi, le complexiones non sono il riassunto di un testo; esse evidenziano invece i “collegamenti” o “corrispondenze” fra i punti chiave di un dato testo.  Trattando del capitolo 12 Cassiodoro mette in rilevo il collegamento madre-figlio (e quindi la maternità divina definita ad Efeso), ma anche il fatto che il Figlio è Signore: dominus, che vuol dire padrone assoluto. Ora, il tema di Cristo Signore è il tema centrale delleComplexiones. Cassiodoro affermava la divinità e l’umanità  gloriosa di Cristo che si rivelano nell’Apocalisse che è la vittoria di Gesù Cristo Dio e uomo. Scrivendo il suo commento Cassiodoro era ben consapevole di andare controcorrente; poiché al suo tempo i commenti all’Apocalisse più letti ed apprezzati (che lui conosceva bene) erano quello di Ticonio, quello di Primasio e probabilmente quello di Metodio. In tutti tre l’elemento centrale è la Chiesa; Ticonio e Primasio si soffermano dettagliatamente sulle varie persecuzioni alla fine del mondo e sul ruolo dell’anticristo. In quest’ottica, si comprende come Metodio e Primasio (di Ticonio non si sa, perché quella parte del suo commento non ci è pervenuta) interpretino la donna di Ap. 12 come figura della Chiesa. Ma per Cassiodoro l’elemento centrale è Cristo e la donna va collegata con lui ed interpretata in rapporto a lui; ed in quest’ottica, si comprende perché i filoariani di ieri e di oggi – quelli che vorrebbero fare di Cristo un “uomo come noi” e che, negando la sua divinità, negano anche ogni visione massimalista di Maria, preferendo “inserirla” nella Chiesa – non siano particolarmente ben disposti verso le Complexiones di Cassiodoro.
Dalla maternità divina di Maria derivano, come si è visto, i titoli di Corredentrice e Mediatrice. Entrambi sono impliciti – benché non se ne usi la terminologia – nell’esegesi di Cassiodoro all’Apocalisse. In Ap. 12:2 la donna “grida nel partorire, soffrendo per dar vita”. Poiché la donna stava partorendo, esegeti di ieri e di oggi conclusero logicamente che le sue sofferenze erano le doglie del parto: la traduzione italiana della Bibbia curata da Giuseppe Ricciotti nel lontano 1940 recita drammaticamente: “Ed essendo incinta gridava tra le doglie e si travagliava per partorire.” Ora, proprio questo particolare – le sofferenze del parto – diede parecchio filo da torcere ai padri, fino al tempo di Cassiodoro ed oltre; poiché ammettere le doglie del parto nel caso di Maria sarebbe stato contrario alla dottrina, da sempre affermata dalla Chiesa, del parto verginale della Madonna. Vi furono diverse soluzini: vi fu chi, come Oecumenios e la sua scuola, pensò che la sofferenza di Maria incinta fosse psicologica, quando cioè Giuseppe scoprì la gravidanza ma prima che l’angelo gli rivelasse che era opera divina. Altri però, giudicando le doglie inconciliabili con il parto verginale della Madonna, conclusero che la donna di Ap. 12 non poteva essere Maria ma doveva essere la Chiesa. Fra questi era  Primasio, un vescovo africano del sesto secolo autore di un commento all’Apocalisse che Cassiodoro conosceva bene; e le conclusioni di Primasio furono quelle maggiormente accettate nei secoli successivi, tanto da far ritenere “recente” (leggasi: dal 1100 in poi) l’interpretazione mariologica di Ap. 12. Ma un apporto significativo venne da Ambrogio Autperto (ottavo secolo) che mise in guardia contro l’imbecillità di voler prendere alla lettera Ap. 12:2-3: “Imbecilli, chi ha mai visto una donna partorire in cielo? e ciò fatto, scendere in terra dove l’aspetta il drago pronto a mangiarsi il neonato?” La soluzione sta nel non prender le sofferenze nel senso di “doglie” di un parto fisico; il che, fra l’altro, non ha una giustificazione filologica, perché i verbi greci tekein(generare) e basanizein (soffrire pene, tormenti) sono generici e si usano anche in senso figurato. E fu questa, credo, la soluzione di Cassiodoro che, seguendo S.Agostino, ignorò, secondo il suo costume, le idee con cui non concordava, ed affermò invece con molta decisione, in contrasto con Primasio che la donna era Maria. Stabilito ciò, le “sofferenze per dar vita” potevano essere solo quelle spirituali di Maria Corredentrice, che soffrì, con e come il Figlio, per dar vita alla Chiesa.
            L’uso che Cassiodoro fece della tecnica delle complexiones (il collegamento di punti salienti del testo) fa infine supporre che egli ebbe ben presente ciò che i teologi avrebbero più tardi definito la mediazione universale di Maria. Nel suo commento egli dice che dopo l’ascensione del Figlio la donna vive in luoghi deserti “per tre anni e mezzo”, sottolineando così che il tempo della donna nel deserto e quello dell’anticristo coincidono e dureranno fino alla fine dei tempi; ed aggiunge inoltre, richiamandosi a Ticonio in proposito, che questo tempo è un grande mistero non determinabile secondo categorie cronologiche umane. Nel deserto Maria viene “nutrita” dal Signore; ha cioè la pienezza della protezione divina che sarà con lei fino alla fine del mondo. Nel collegamento operato da Cassiodoro fra la figura di Maria ed il suo tempo nel deserto fino alla fine del mondo è evidente il richiamo alla promessa di Cristo ai suoi discepoli: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28:20). D’altra parte il capitolo 12 dell’Apocalisse dice che solo Maria gode della piena protezione divina, che pure Cristo promise a tutta la Chiesa. Quest’apparente contraddizione  si risolve se si considera che ogni grazia viene alla Chiesa attraverso Maria, ed è questo il concetto della mediazione universale della Madonna. Questi sono solo alcuni spunti di riflessione su LG VIII/54 – cinquant’anni dopo. (Luciana Cuppo)     

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