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giovedì 11 aprile 2013

Dalla fine del mondo


Papa Francesco e la dittatura argentina

di Massimiliano Ferrara
Un alone di mistero circonda le relazioni tra Bergoglio e la giunta di Videla negli anni Settanta. Il pontefice è accusato di non aver impedito l'arresto dei gesuiti Yorio e Jalics. Campagna diffamatoria o argomenti fondati? Per alcuni l'allora provinciale difese i diritti umani.

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[Carta di Laura Canali]
In Argentina non tutti hanno brindato alla nomina del nuovo pontefice e un alone di mistero circonda i rapporti di Bergoglio con gli ambienti militari durante la presidenza di Videla. Diffamazioni gratuite o accuse documentabili?


Per molti la scelta del nome Francesco è già una certificazione di rinnovamento, per altri (pochi?) tornano alla mente antiche e pericolose relazioni tra Stato e Chiesa, imperatori e papi, dittatori e porporati. Forse perché in quelle terre lontane, “quasi alla fine del mondo”, il confine tra lecito e illecito, legale ed illegale, corruzione e moralità è perennemente labile?

L'elezione di Jorge Mario Bergoglio ha lasciato esterrefatti un po' tutti, compresi i vaticanisti che non lo menzionavano tra i papabili. In molti la sera del 13 marzo hanno conosciuto per la prima volta il viso e la voce del Santo Padre, che cattura i fedeli con il suo fare semplice, impacciato, da “papa buono”. Altri, preoccupati, hanno associato il cardinale Bergoglio alla dittatura argentina della fine degli anni Settanta.

Andiamo con ordine. Il 23 maggio 1976 militari della Marina argentina della Esma, Escuela Superior de Mecánica de la Armada, camuffati da soldati dell’Esercito, hanno portato termine una retata nella baraccopoli di Belén, nel quartiere Bajo Flores di Buenos Aires. Tra i prigionieri vi erano i due gesuiti Orlando Virgilio Yorio e Francisco Jalics, membri della pastorale dell’arcidiocesi porteña. Mentre all’indomani gli arrestati venivano rilasciati, i due religiosi, accusati di sovversione, rimanevano in prigionia e torturati fino all'intervento del Vaticano il 26 ottobre 1976.

Un intervento della Chiesa di Roma senza l’intercessione dell’allora superiore provinciale dei gesuiti argentini, Jorge Bergoglio? È stato proprio quest’ultimo a consegnare i due preti nelle mani dell’esercito? Durante la prima conferenza stampa da portavoce di papa Francesco, Federico Lombardi ha respinto tutte le voci di connivenza dell’attuale pontefice con la dittatura argentina. Inoltre, Lombardi ha accusato alcuni quotidiani internazionali di essere "di sinistra e anticlericali”.

Nel frattempo, un settore dei sostenitori del governo Kirchner preferisce acclamarlo come "papa argentino e peronista". Ma quali sono le posizioni nei confronti del nuovo pontefice? Per i bergogliani, Francesco si è mosso per salvare preti e laici dalle torture della dittatura argentina, anche se non ha condannato pubblicamente i crimini. Del resto non sarebbe stato possibile se non a costo della vita. Bergoglio ha avuto il merito di frenare i confratelli che recriminavano il passaggio all'opposizione attiva. Una vera e propria campagna diffamatoria alimentata dai nemici del pontefice ha indicato in lui il mandante del sequestro dei 2 gesuiti: era vero il contrario. L'allora provinciale si è recato di persona da Videla (capo della giunta militare argentina) per chiedere la liberazione di Yorio e Jalics, per i quali, secondo gli atti della giunta militare, era stato richiesto il passaporto.

Con questa battaglia, Bergoglio ha guadagnato la stima dei leader del movimento per i diritti umani, come Alicia de Oliveira, e il rispetto delle madri di Plaza de Mayo, molto severe nei confronti della gerarchia cattolica. Il papa non si è mai piegato aicaudillos, militari o politici, che si sono alternati alla guida dell'Argentina, prendendo sempre le difese dei più deboli e perseguitati. Pessimi i rapporti con i presidenti Menem e Duhalde, prudenti con De la Rua, di reciproca insofferenza con i Kirchner.

Lo stesso presidente Néstor Kirchner ha definito il cardinale Bergoglio “capo spirituale dell’opposizione politica”. Buone invece le relazioni con Luis D'Elia e il movimento dei piqueteros. Di recente il Clarín ha pubblicato un breve spezzone della testimonianza di papa Francesco nel palazzo dell’Arcivescovado di Buenos Aires risalente all’8 novembre 2010, in merito al processo per i crimini commessi nella famigerata caserma Esma. In quell’occasione il papa, che nel 2010 era arcivescovo di Buenos Aires, ha testimoniato sul rapimento dei 2 sacerdoti gesuiti. Nel video Bergoglio ha affermato di avere incontrato Jorge Videla ed Emilio Massera (capo della Marina) in 2 occasioni, allo scopo di intercedere per i preti incarcerati. Inoltre l’alto prelato sosteneva di aver visto in diverse circostanze Jalics e Yorio: era una pratica abituale per lui conversare e confrontarsi con i gesuiti che lavoravano per aiutare i poveri.

Il pontefice ha aggiunto anche che in quel periodo i gesuiti temevano per la propria incolumità: nel 1974, ad esempio, era stato assassinato Carlos Mujica, religioso argentino vicino al Movimento dei sacerdoti per il terzo mondo. In una nota del 19 agosto 1977 inviata da Bergoglio al provinciale tedesco Juan Hegyi si legge: “Osservo che padre Jalics (e forse anche padre Yorio) ha l’impressione di essere stato accusato in qualche modo su alcuni punti […] Le voci sui contatti che alcuni padri della comunità avrebbero intrattenuto con gruppi estremisti mi paiono inesatte ed ingiuste […] È una grandissima leggerezza l’accusa di falsa dottrina formulata contro Jalics, giacchè i suoi scritti e i suoi corsi possono contare sull’imprimatur e il nihil obstatecclesiastico e fanno del bene a tanta gente”. Il provinciale argentino sottolineava l’afflizione per le sofferenze del “buon padre Jalics nei suoi 6 mesi di detenzione da innocente” e di comprensione per i suoi sentimenti per “essere stato sospettato di contatti con i guerriglieri o di cattiva dottrina”.

Chi, invece, chiama direttamente in causa Bergoglio per i crimini commessi negli anni della dittatura militare è soprattutto un giornalista filo-governativo, scrittore e attivista argentino di nome Horacio Verbitsky. Il cronista, oggi 71enne, ha fatto parte dell’organizzazione armata dei Montoneros, oppositori della giunta militare negli anni Settanta, ma è diventato celebre soprattutto per la sua carriera di giornalista d’inchiesta. Verbitsky sostiene che Jalics, il quale ha 85 anni e vive ritirato in un monastero in Germania, si sia riconciliato non con Bergoglio ma con "quegli eventi, che per me sono un fatto concluso".

Jalics non nega i fatti, che ha narrato nel suo libro "Esercizi di meditazione" del 1994: “Molta gente che sosteneva politiche di estrema destra non vedeva di buon occhio la nostra presenza nelle baraccopoli. Interpretavano il fatto che vivessimo lì come un appoggio alla guerriglia e si proposero di denunciarci come terroristi. Noi sapevamo da dove soffiava il vento e chi era il responsabile di queste calunnie”. In un altro paragrafo egli aggiunge che quella persona “rese credibile la calunnia valendosi della sua autorità" e "rese testimonianza, dinnanzi agli ufficiali che ci sequestrarono, del fatto che avevamo lavorato sulla scena dell’azione terrorista. Poco prima avevo manifestato a questa persona che stava giocando con la nostra vita".

In una lettera scritta a Roma nel novembre del 1977 e rivolta all’assistente generale della Compagnia di Gesù, padre Moura, Orlando Yorio ha raccontato la stessa storia, ma sostituendo "una persona" con Jorge Mario Bergoglio. Faceva anche menzione delle critiche che circolavano nella Compagnia di Gesù contro lui e Jalics: "Fare strane preghiere, convivere con donne, eresie, impegno con la guerriglia". Il primo articolo di Verbitsky risale all’aprile del 1999; lì si sosteneva che il neoarcivescovo di Buenos Aires" a seconda della fonte che si consulti è l’uomo più generoso e intelligente che abbia mai detto messa in Argentina o un machiavellico malfattore che tradì i suoi fratelli per un’insaziabile ambizione di potere. Forse la spiegazione risiede nel fatto che Bergoglio riunisce in sé due aspetti che non sempre vanno insieme: è un conservatore estremo in materie dogmatiche e possiede una manifesta inquietudine sociale. In entrambi gli aspetti assomiglia a chi lo pose alla guida della principale diocesi del paese, il papa Karol Wojtyla”.

È lo stesso concetto espresso giovedì 13 marzo quando la fumata bianca ha annunciato l’esito del conclave. Per Verbitsky, Massera aveva un rapporto diretto con la Guardia de Hierro, il gruppo della destra peronista in cui Bergoglio ha militato in gioventù e a cui Massera ha assegnato un funzionario di controllo a partire dal colpo di Stato, con il proposito di sommarlo alla sua campagna per l’eredità del peronismo.

Il giornalista sostiene che durante un’indagine ha trovato per caso nell’archivio del ministero degli Esteri argentino una cartella con documenti “scottanti” e ha chiesto subito a un notaio di certificarne la collocazione. Il direttore di allora, il ministro Carlos Dellepiane, li ha custoditi nella cassaforte per impedire che fossero rubati o distrutti. Secondo questi scritti nel novembre 1976, Jalics era fuggito in Germania dopo esser stato messo in libertà. Nel 1979 il suo passaporto era scaduto e Bergoglio aveva chiesto alla Cancelleria che fosse rinnovato senza che tornasse in patria. Il direttore del Culto Cattolico della Cancelleria, Anselmo Orcoyen, raccomandò di rifiutare la richiesta "in ragione dei precedenti del richiedente", che gli furono forniti "dallo stesso padre Bergoglio, firmatario della nota, con speciale raccomandazione affinché non si desse luogo a ciò che sollecitava". Diceva che Jalics ha avuto conflitti di obbedienza, un’attività dissolvente in congregazioni religiose femminili e che è stato "imprigionato" nell’Esma assieme a Yorio, “sospetto contatto di guerriglieri”.

Quindi, secondo Verbitsky, Bergoglio sarebbe un maestro del doppio gioco. Molto probabilmente in medio stat virtus e di sicuro una nomina papale così audace ha spinto diverse “fazioni” ad amplificare fatti verosimilmente accaduti.

A oggi, però, è opportuno ribadire che non è stato dimostrato alcun coinvolgimento di Bergoglio con i crimini della dittatura argentina. Inoltre, una notizia infondata è circolata subito dopo la nomina del nuovo pontefice e a crederci non sono stati soltanto distratti internauti, ma anche giornalisti di importanti testate nazionali. Il riferimento è alla foto che mostrerebbe Jorge Mario Bergoglio in compagnia del dittatore argentino Jorge Rafael Videla. Risultato? Il porporato insieme a Videla non è Bergoglio!

All’epoca in cui Videla era dittatore argentino, dal 1976 al 1981, l’attuale papa aveva poco più di 40 anni. Basterebbe questo per capire che la persona in compagnia di Videla non è lui. Infatti è un altro uomo di Chiesa: Pio Laghi, ex cardinale e arcivescovo scomparso nel 2009 all’età di 86 anni, nunzio apostolico in Argentina dal 1974 al 1980. Invece, passati soltanto 6 giorni dall’esito del Conclave, ecco che appaiono le prime fotografie di papa Francesco con la “ex” nemica argentina Cristina Kirchner.

Potere della Chiesa! Al contrario, non sono mai mancate immagini che ritraggono il cardinale Bergoglio con uno dei suoi più grandi estimatori, il governatore della Provincia di Buenos Aires, Daniel Scioli. In una recente intervista a Radio Mitre, il governatore sostiene che il nuovo papa ha una personalità “abbagliante” e che lo ammira per la sua saggezza. Inoltre, nonostante sia stato criticato più volte per essersi fatto riprendere insieme al cardinale Bergoglio, Daniel Scioli ammette: " il porporato mi ha sempre trasmesso la formula delle tre p: pazienza, perseveranza e prudenza”.

Visto che papa Francesco è il pontefice dei primati…non si correrà mica il rischio di associargli anche la quarta p di peronista?

(10/04/2013)

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