ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 13 aprile 2013

Evidentemente non credono a §


 Il papa d'Italia
Manovre, pressioni, riti. Che cosa hanno in comune un conclave e l'elezione di un presidente? Rispondono il vaticanista e il quirinalista dell'Espresso

di Sandro Magister e Marco Damilano

 ROMA, 12 aprile 2013 – Nel conclave del 1829, racconta Stendhal in “Passeggiate Romane”, un popolo inferocito si accalcò sotto il Quirinale, la residenza dei pontefici dove erano riuniti i cardinali: "Grida di collera, imprecazioni volgarissime, i più furiosi volevano invadere il palazzo per eleggere loro stessi il loro papa nuovo...".

Dopo il 1846 nessun papa è stato più scelto sul Colle. Solo in questo incredibile 2013 fumate bianche (religiose) e fumate nere (politiche) sono tornate a confondersi.

La rinuncia di Benedetto XVI, un gesto senza precedenti compiuto in un contesto drammatico, ha costretto i cardinali a una scelta fuori dall’ordinario: Jorge Mario Bergoglio.

Il conclave repubblicano per il Quirinale che comincia il 18 aprile a Montecitorio assomiglia invece a quello descritto da Enzo Bettiza nel 1978: "In aula si finge la votazione su nomi fantomatici, mentre tra le quinte, nelle centrali dei partiti, si svolge la votazione vera. Come nei mercati paralleli dell’Est, quello nero, che non si vede, è quello che conta di più".

Eppure c’è più di un rito in comune tra le due elezioni.

 I DUE TERZI: L'ELETTO DI "TUTTI"

Che l’eletto non possa essere contestato dai perdenti è una finalità primaria del conclave e la maggioranza dei due terzi ne è la garanzia. È in vigore ininterrottamente dal concilio Lateranense III del 1179.

Nel 1939 Pio XII eguagliò il quorum già nel secondo scrutinio ma volle un’altra votazione per scacciare il sospetto che uno dei voti fosse il suo, e poi, da papa, alzò l’asticella ai due terzi più uno. Giovanni Paolo II consentì di scendere alla maggioranza semplice tra i due più votati, dopo 34 scrutini infruttuosi, ma Benedetto XVI ha eliminato questa facilitazione.

Per essere eletti al Quirinale i due terzi sono necessari nelle prime tre votazioni, dalla quarta in poi basta la maggioranza assoluta (504 su 1007). Solo due presidenti nella storia (oltre a De Nicola) sono stati eletti al primo scrutinio a grande maggioranza: Cossiga nel 1985 e Ciampi nel 1999. L’accordo Pd-Pdl, se c'è, deve scattare al primo voto. Altrimenti il Pd proverà a eleggere il “suo” presidente.


I GRANDI ELETTORI INTERNI ED ESTERNI


Un cardinale, un voto. Ma alcuni cardinali pesano più di altri, dentro e fuori il conclave. Nel 2005 il reticolo dei sostenitori del cardinale Carlo Maria Martini faceva capo al cardinale Achille Silvestrini, nonostante lui non potesse entrare nella Sistina avendo superato gli 80 anni di età. Nel 1958 grande elettore di Giovanni XXIII fu Domenico Tardini, diplomatico di razza, che non era cardinale e nemmeno vescovo. Nel 2013 un cardinale a cui molti sonno accorsi a chiedere lumi è stato Camillo Ruini, fuori perché ultraottantenne.

Quest'anno, per la prima volta, i candidati per il Quirinale si troveranno in gran parte fuori da Montecitorio. D’Alema, Amato, Prodi, Marini, Bonino, nessuno di loro siede in Parlamento (l’unico presidente extraparlamentare finora è stato Ciampi), ma la loro influenza si farà sentire. Il più attivo, D’Alema, si è mosso per incontrare a Firenze il nemico Matteo Renzi. Il sindaco, a sua volta, si è speso per entrare tra gli elettori come delegato regionale della Toscana. Non vuole mancare.


I CONDIZIONAMENTI DA FUORI


Il veto dell’imperatore d’Austria e Ungheria Francesco Giuseppe per bloccare nel 1903 il favorito cardinale Mariano Rampolla, considerato troppo filo-francese, fu l’ultimo della serie. Ma gli Stati continuano ad avere i loro interessi. Nel 1963, contro la candidatura a papa di Giovanni Battista Montini si mossero il cancelliere tedesco Adenauer e il presidente Segni: lo ritenevano troppo “aperto” al mondo comunista.

Un anno dopo fu proprio papa Montini, Paolo VI, a intervenire per far ritirare Fanfani da una corsa che stava distruggendo la Dc. Con l’ultimo messo papale, monsignor Franco Costa, il cavallo di razza sbottò inviperito: "Riferisca a chi la manda che se lui continua a pretendere di insegnare a me come mi debbo regolare, io verrò a prendere la parola in Concilio per insegnare come si deve dire la messa".

Chiesa, massoneria e Stati Uniti tentano di influenzare la scelta, ma l’elezione più tragicamente condizionata dall’esterno resta quella del 1992, conclusa con la tetra previsione dell’Agenzia Repubblica del deputato dc Vittorio Sbardella: "Manca ancora qualcosa di drammaticamente straordinario. Un bel botto esterno, come ai tempi di Moro, a giustificazione di un voto d’emergenza". La sera dopo arrivò la strage di Capaci. Oggi le maggiori spinte esterne arrivano dai mercati: in caso di impasse, come voterà lo spread?


CAMPAGNE DI STAMPA PRO E CONTRO


Nel 2005 il “Corriere della Sera” fece campagna a favore dei “suoi “ cardinali di Milano, Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi. Nel 2013 ancora il “Corriere” ha tirato la volata al cardinale Angelo Scola. In entrambi i casi senza successo.

Ma il giorno d’inizio del secondo conclave del 1978 fu un giornalista de “La Gazzetta del Popolo” a bruciare l’elezione a papa del cardinale Giuseppe Siri, pubblicando in anticipo un’intervista che gli si ritorse contro. L'intervista fu recapitata la mattina stessa a tutti i cardinali elettori, assieme a un dossier ostile.

Quest’anno, i media di tutto il mondo si sono prodotti anche in sottoscrizioni per impedire l’ingresso in conclave di alcuni cardinali giudicati inidonei. Con l’americano Roger Mahony non ci sono riusciti, con lo scozzese Keith M. O’Brien sì.  Venuti alla luce suoi trascorsi poco casti, dal Vaticano per primo gli hanno fatto capire di non muoversi da Edimburgo.

La campagna di stampa più spettacolare contro un candidato-presidente fu quella del “Manifesto” nel 1971 per impedire che Fanfani fosse votato dal Pci, con la pubblicazione dei suoi scritti in epoca fascista: "Antologia fanfaniana". Anche le cronache di Vittorio Gorresio sulla “Stampa” scatenarono l'ira dell'allora presidente del Senato: "Lei si fa tagliare gli articoli dai suoi padroni", lo affrontò alla buvette di Montecitorio, con riferimento a Gianni Agnelli. "Un linguaggio che non s’addice a un presidente, anche soltanto del Senato", replicò il direttore Alberto Ronchey.

Nel 1992, a Tangentopoli iniziata, il deputato della Rete Gaspare Nuccio aggiornava con un pennarello il cartellino appuntato al bavero con i nomi degli elettori indagati: "Abbiate la decenza di non votare". Oggi, invece, c'è l’imputato Silvio Berlusconi. E voterà, eccome.


LA MACCHINA DEL FANGO


Fascicoli, dossier malamente orchestrati per bloccare i favoriti: la vigilia delle elezioni presidenziali è la fase più torbida della politica italiana. Un incartamento con fotomontaggi e notizie false fu preparato dal Sifar contro la moglie di Leone signora Vittoria e spedito ad alcuni parlamentari.

Abitudini mondane che a volte sono riuscite a infilarsi anche nella Sistina. Nel 1978 accuse di omosessualità furono fatte circolare tra i cardinali contro un papabile, il montiniano Sergio Pignedoli: stessa sorte toccata al candidato per il Quirinale Cesare Merzagora.

Nel conclave del 1958, sul cardinale armeno Gregorio Pietro Agagianian, seriamente in corsa per essere eletto papa, si fece cadere il sospetto che fosse una spia dell’Unione Sovietica.


TRATTATIVE E PATTI SEGRETI


La sera stessa della sua elezione, nel 1958, Giovanni XXIII nominò segretario di Stato Domenico Tardini, il grande diplomatico, non cardinale né vescovo, che ne aveva promossa l’elezione tra i porporati di curia.

Vent’anni dopo, nel 1978, Albino Luciani fu eletto papa con la concomitante certezza che non avrebbe nominato segretario di Stato il temuto cardinale Giovanni Benelli.

Le regole del conclave dichiarano “nulli e invalidi” simili accordi, ma avvengono, anche se non si scrivono. Come i patti che precedono l’elezione del presidente.

"Nel 1964 il Pci chiese a Saragat in cambio del voto la grazia per Francesco Moranino, condannato all’ergastolo: successe un anno dopo", ha rivelato il socialista Rino Formica.

Nel 1985 l’elezione del cattolico Cossiga fu decisa in gran segreto con sei mesi di anticipo: a condizione che confermasse il laico Antonio Maccanico alla segreteria generale del Quirinale.

Questa volta l’intreccio dell’elezione presidenziale con la nomina del nuovo governo apre la strada a ogni possibile scambio.


IL FATTORE ETÀ


Nei suoi diari del conclave del 1958, Angelo Giuseppe Roncalli ricorda che qualcuno tentò di sabotare la sua candidatura spargendo la voce che fosse affetto da una grave forma di diabete.

Nel 1978 Pertini affidò a Giampaolo Pansa su “la Repubblica” il suo certificato di sana costituzione fisica: "Qui vedo in giro dei sessantenni che sembrano usciti dalla tomba. Invece io ho preso da mia madre. È morta a 90 anni, ma solo perché è caduta dalla sedia".

Anche Napolitano è arrivato in piena forma a fine mandato, a 88 anni.

Attenzione dunque a sottovalutare il neo-ottantenne Franco Marini: sul Quirinale la vecchiaia logora chi non ce l’ha.


IL FATTORE TEMPO


L’idea di chiudere a chiave i cardinali e di metterli a digiuno nel luogo del voto fu messa in pratica le prime volte nel XIII secolo, per costringerli a fare presto. Oggi la blindatura serve soprattutto a proteggere gli elettori da interferenze esterne.

Ma la rapidità dell’elezione è una virtù alla quale i cardinali tengono moltissimo. Sanno che un conclave troppo prolungato proietterebbe sulla Chiesa una cattiva immagine. Il meccanismo di voto, con due scrutini consecutivi senza intervallo, sia alla mattina che al pomeriggio, incoraggia il rapido convergere sul candidato più forte.

"Ci mettono meno a fare il papa che il presidente della Camera!", è sbottato Matteo Renzi. Sedici scrutini per eleggere Pertini e Scalfaro, 21 per Saragat, 23 scrutini e sedici giorni per Leone. E poi qualcuno dice che Napolitano sta perdendo tempo.

QUANTO CONTA L'OUTSIDER
  
Nel conclave, se non si mostrano in grado di raggiungere i due terzi, i candidati di partenza escono rapidamente di scena. Ed entra in campo l’outsider: nel 1978 Karol Wojtyla, nel 2013 Bergoglio.

Per la presidenza, "il candidato ideale non deve essere legato al suo partito", spiegava Leone. Come Pertini, il socialista più lontano da Craxi. O Scalfaro, il dc che aveva tuonato contro il suo partito sulla questione morale. E Napolitano: quando intervenne in una direzione Ds per strapazzare D’Alema e Fassino sul caso Unipol tutti capirono che era entrato in gara per il Colle.

 IL PAPA STRANIERO
  
La rinuncia di Benedetto XVI ha costretto i cardinali a eleggere un papa in molti sensi “straniero”. Non italiano, non di curia, non convenzionale, di svolta. L’hanno trovato in Bergoglio. Al confronto, la pallida candidatura del cardinale Scola sapeva di vecchio ed è subito caduta.

Una lezione anche per gli elettori che si riuniranno a Montecitorio: non aver paura di un presidente da “fine del mondo”. Una donna?

[Da "L'Espresso" n. 15 del 2013, in edicola dal 12 aprile]

§ Quirinale, la maledizione di Pio IX


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