Manovre, pressioni, riti. Che cosa hanno in comune un
conclave e l'elezione di un presidente? Rispondono il vaticanista e il
quirinalista dell'Espresso
di Sandro Magister e Marco Damilano
Dopo il 1846 nessun papa è stato più scelto sul Colle. Solo
in questo incredibile 2013 fumate bianche (religiose) e fumate nere (politiche)
sono tornate a confondersi.
La rinuncia di Benedetto XVI, un gesto senza precedenti
compiuto in un contesto drammatico, ha costretto i cardinali a una scelta fuori
dall’ordinario: Jorge Mario Bergoglio.
Il conclave repubblicano per il Quirinale che comincia il 18
aprile a Montecitorio assomiglia invece a quello descritto da Enzo Bettiza nel
1978: "In aula si finge la votazione su nomi fantomatici, mentre tra le
quinte, nelle centrali dei partiti, si svolge la votazione vera. Come nei
mercati paralleli dell’Est, quello nero, che non si vede, è quello che conta di
più".
Eppure c’è più di un rito in comune tra le due elezioni.
Che l’eletto non possa essere contestato dai perdenti è una
finalità primaria del conclave e la maggioranza dei due terzi ne è la garanzia.
È in vigore ininterrottamente dal concilio Lateranense III del 1179.
Nel 1939 Pio XII eguagliò il quorum già nel secondo
scrutinio ma volle un’altra votazione per scacciare il sospetto che uno dei
voti fosse il suo, e poi, da papa, alzò l’asticella ai due terzi più uno.
Giovanni Paolo II consentì di scendere alla maggioranza semplice tra i due più
votati, dopo 34 scrutini infruttuosi, ma Benedetto XVI ha eliminato questa
facilitazione.
Per essere eletti al Quirinale i due terzi sono necessari nelle
prime tre votazioni, dalla quarta in poi basta la maggioranza assoluta (504 su
1007). Solo due presidenti nella storia (oltre a De Nicola) sono stati eletti
al primo scrutinio a grande maggioranza: Cossiga nel 1985 e Ciampi nel 1999.
L’accordo Pd-Pdl, se c'è, deve scattare al primo voto. Altrimenti il Pd proverà
a eleggere il “suo” presidente.
I GRANDI ELETTORI INTERNI ED ESTERNI
Un cardinale, un voto. Ma alcuni cardinali pesano più di
altri, dentro e fuori il conclave. Nel 2005 il reticolo dei sostenitori del
cardinale Carlo Maria Martini faceva capo al cardinale Achille Silvestrini,
nonostante lui non potesse entrare nella Sistina avendo superato gli 80 anni di
età. Nel 1958 grande elettore di Giovanni XXIII fu Domenico Tardini,
diplomatico di razza, che non era cardinale e nemmeno vescovo. Nel 2013 un
cardinale a cui molti sonno accorsi a chiedere lumi è stato Camillo Ruini, fuori
perché ultraottantenne.
Quest'anno, per la prima volta, i candidati per il Quirinale
si troveranno in gran parte fuori da Montecitorio. D’Alema, Amato, Prodi,
Marini, Bonino, nessuno di loro siede in Parlamento (l’unico presidente
extraparlamentare finora è stato Ciampi), ma la loro influenza si farà sentire.
Il più attivo, D’Alema, si è mosso per incontrare a Firenze il nemico Matteo
Renzi. Il sindaco, a sua volta, si è speso per entrare tra gli elettori come
delegato regionale della Toscana. Non vuole mancare.
I CONDIZIONAMENTI DA FUORI
Il veto dell’imperatore d’Austria e Ungheria Francesco
Giuseppe per bloccare nel 1903 il favorito cardinale Mariano Rampolla,
considerato troppo filo-francese, fu l’ultimo della serie. Ma gli Stati
continuano ad avere i loro interessi. Nel 1963, contro la candidatura a papa di
Giovanni Battista Montini si mossero il cancelliere tedesco Adenauer e il
presidente Segni: lo ritenevano troppo “aperto” al mondo comunista.
Un anno dopo fu proprio papa Montini, Paolo VI, a intervenire
per far ritirare Fanfani da una corsa che stava distruggendo la Dc. Con
l’ultimo messo papale, monsignor Franco Costa, il cavallo di razza sbottò
inviperito: "Riferisca a chi la manda che se lui continua a pretendere di
insegnare a me come mi debbo regolare, io verrò a prendere la parola in
Concilio per insegnare come si deve dire la messa".
Chiesa, massoneria e Stati Uniti tentano di influenzare la
scelta, ma l’elezione più tragicamente condizionata dall’esterno resta quella
del 1992, conclusa con la tetra previsione dell’Agenzia Repubblica del deputato
dc Vittorio Sbardella: "Manca ancora qualcosa di drammaticamente
straordinario. Un bel botto esterno, come ai tempi di Moro, a giustificazione
di un voto d’emergenza". La sera dopo arrivò la strage di Capaci. Oggi le
maggiori spinte esterne arrivano dai mercati: in caso di impasse, come voterà
lo spread?
CAMPAGNE DI STAMPA PRO E CONTRO
Nel 2005 il “Corriere della Sera” fece campagna a favore dei
“suoi “ cardinali di Milano, Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi. Nel 2013
ancora il “Corriere” ha tirato la volata al cardinale Angelo Scola. In entrambi
i casi senza successo.
Ma il giorno d’inizio del secondo conclave del 1978 fu un
giornalista de “La Gazzetta del Popolo” a bruciare l’elezione a papa del
cardinale Giuseppe Siri, pubblicando in anticipo un’intervista che gli si
ritorse contro. L'intervista fu recapitata la mattina stessa a tutti i
cardinali elettori, assieme a un dossier ostile.
Quest’anno, i media di tutto il mondo si sono prodotti anche
in sottoscrizioni per impedire l’ingresso in conclave di alcuni cardinali
giudicati inidonei. Con l’americano Roger Mahony non ci sono riusciti, con lo
scozzese Keith M. O’Brien sì. Venuti
alla luce suoi trascorsi poco casti, dal Vaticano per primo gli hanno fatto
capire di non muoversi da Edimburgo.
La campagna di stampa più spettacolare contro un
candidato-presidente fu quella del “Manifesto” nel 1971 per impedire che
Fanfani fosse votato dal Pci, con la pubblicazione dei suoi scritti in epoca
fascista: "Antologia fanfaniana". Anche le cronache di Vittorio
Gorresio sulla “Stampa” scatenarono l'ira dell'allora presidente del Senato:
"Lei si fa tagliare gli articoli dai suoi padroni", lo affrontò alla
buvette di Montecitorio, con riferimento a Gianni Agnelli. "Un linguaggio
che non s’addice a un presidente, anche soltanto del Senato", replicò il
direttore Alberto Ronchey.
Nel 1992, a Tangentopoli iniziata, il deputato della Rete
Gaspare Nuccio aggiornava con un pennarello il cartellino appuntato al bavero
con i nomi degli elettori indagati: "Abbiate la decenza di non
votare". Oggi, invece, c'è l’imputato Silvio Berlusconi. E voterà, eccome.
LA MACCHINA DEL FANGO
Fascicoli, dossier malamente orchestrati per bloccare i
favoriti: la vigilia delle elezioni presidenziali è la fase più torbida della
politica italiana. Un incartamento con fotomontaggi e notizie false fu preparato
dal Sifar contro la moglie di Leone signora Vittoria e spedito ad alcuni
parlamentari.
Abitudini mondane che a volte sono riuscite a infilarsi
anche nella Sistina. Nel 1978 accuse di omosessualità furono fatte circolare
tra i cardinali contro un papabile, il montiniano Sergio Pignedoli: stessa
sorte toccata al candidato per il Quirinale Cesare Merzagora.
Nel conclave del 1958, sul cardinale armeno Gregorio Pietro
Agagianian, seriamente in corsa per essere eletto papa, si fece cadere il
sospetto che fosse una spia dell’Unione Sovietica.
TRATTATIVE E PATTI SEGRETI
La sera stessa della sua elezione, nel 1958, Giovanni XXIII
nominò segretario di Stato Domenico Tardini, il grande diplomatico, non
cardinale né vescovo, che ne aveva promossa l’elezione tra i porporati di
curia.
Vent’anni dopo, nel 1978, Albino Luciani fu eletto papa con
la concomitante certezza che non avrebbe nominato segretario di Stato il temuto
cardinale Giovanni Benelli.
Le regole del conclave dichiarano “nulli e invalidi” simili
accordi, ma avvengono, anche se non si scrivono. Come i patti che precedono
l’elezione del presidente.
"Nel 1964 il Pci chiese a Saragat in cambio del voto la
grazia per Francesco Moranino, condannato all’ergastolo: successe un anno
dopo", ha rivelato il socialista Rino Formica.
Nel 1985 l’elezione del cattolico Cossiga fu decisa in gran
segreto con sei mesi di anticipo: a condizione che confermasse il laico Antonio
Maccanico alla segreteria generale del Quirinale.
Questa volta l’intreccio dell’elezione presidenziale con la
nomina del nuovo governo apre la strada a ogni possibile scambio.
IL FATTORE ETÀ
Nei suoi diari del conclave del 1958, Angelo Giuseppe
Roncalli ricorda che qualcuno tentò di sabotare la sua candidatura spargendo la
voce che fosse affetto da una grave forma di diabete.
Nel 1978 Pertini affidò a Giampaolo Pansa su “la Repubblica”
il suo certificato di sana costituzione fisica: "Qui vedo in giro dei
sessantenni che sembrano usciti dalla tomba. Invece io ho preso da mia madre. È
morta a 90 anni, ma solo perché è caduta dalla sedia".
Anche Napolitano è arrivato in piena forma a fine mandato, a
88 anni.
Attenzione dunque a sottovalutare il neo-ottantenne Franco
Marini: sul Quirinale la vecchiaia logora chi non ce l’ha.
IL FATTORE TEMPO
L’idea di chiudere a chiave i cardinali e di metterli a
digiuno nel luogo del voto fu messa in pratica le prime volte nel XIII secolo,
per costringerli a fare presto. Oggi la blindatura serve soprattutto a
proteggere gli elettori da interferenze esterne.
Ma la rapidità dell’elezione è una virtù alla quale i
cardinali tengono moltissimo. Sanno che un conclave troppo prolungato
proietterebbe sulla Chiesa una cattiva immagine. Il meccanismo di voto, con due
scrutini consecutivi senza intervallo, sia alla mattina che al pomeriggio,
incoraggia il rapido convergere sul candidato più forte.
"Ci mettono meno a fare il papa che il presidente della
Camera!", è sbottato Matteo Renzi. Sedici scrutini per eleggere Pertini e
Scalfaro, 21 per Saragat, 23 scrutini e sedici giorni per Leone. E poi qualcuno
dice che Napolitano sta perdendo tempo.
QUANTO CONTA L'OUTSIDER
Nel conclave, se non si mostrano in grado di raggiungere i
due terzi, i candidati di partenza escono rapidamente di scena. Ed entra in
campo l’outsider: nel 1978 Karol Wojtyla, nel 2013 Bergoglio.
Per la presidenza, "il candidato ideale non deve essere
legato al suo partito", spiegava Leone. Come Pertini, il socialista più
lontano da Craxi. O Scalfaro, il dc che aveva tuonato contro il suo partito
sulla questione morale. E Napolitano: quando intervenne in una direzione Ds per
strapazzare D’Alema e Fassino sul caso Unipol tutti capirono che era entrato in
gara per il Colle.
La rinuncia di Benedetto XVI ha costretto i cardinali a
eleggere un papa in molti sensi “straniero”. Non italiano, non di curia, non
convenzionale, di svolta. L’hanno trovato in Bergoglio. Al confronto, la
pallida candidatura del cardinale Scola sapeva di vecchio ed è subito caduta.
Una lezione anche per gli elettori che si riuniranno a
Montecitorio: non aver paura di un presidente da “fine del mondo”. Una donna?
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