Il Papa è re oppure no?
Piero Ostellino ha protestato ieri, sempre nel Corriere della Sera, contro un fenomeno di cui ha avvertito i primi vagiti: l’imitazione ciarliera e opinionistica del nuovo Papa all’insegna del pauperismo, inteso come una ideologia para e postmarxista (ma di un marxismo che avrebbe fatto inorridire Karl Marx) incline alla distruzione dell’individualismo, della competizione, della vocazione o chiamata, Beruf, alla produzione di sviluppo, lavoro, ricchezza, opportunità, libertà d’intrapresa eccetera.
Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di vagliare il grano del concetto teologico di povertà, e della sua complessità nella predicazione gesuitica del Novecento come nella dottrina della fede cristiana nei secoli, con un bel saggio di Maurizio Crippa che separava questo alimento nutritivo della chiesa di sempre dal loglio dell’enfasi e della pomposità straccionista.
Anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di vagliare il grano del concetto teologico di povertà, e della sua complessità nella predicazione gesuitica del Novecento come nella dottrina della fede cristiana nei secoli, con un bel saggio di Maurizio Crippa che separava questo alimento nutritivo della chiesa di sempre dal loglio dell’enfasi e della pomposità straccionista.
Ma per andare all’essenziale che interessa i cattolici riformatori alla Melloni e i preti anche più spicci e benigni verso il regno di questo mondo come un don Sciortino, sia nel genere “fine dell’alleanza neocostantiniana” sia nel genere “povertà”, ecco una faccenda che il Papa Francesco prima o poi dovrà affrontare: i Concordati. Quello italiano, rivisto da Craxi e Casaroli sotto Giovanni Paolo II, è produttivo di molte complesse sfumature comportamentali, chiamiamole così, esaminate con malizia nel resoconto laico e anticlericale di Massimo Teodori (Vaticano rapace - Lo scandaloso finanziamento dell’Italia alla chiesa, i grilli Marsilio editore). Per una chiesa povera, e anticostantiniana, il Concordato è un problema. I vescovi diretti da Camillo Ruini, e dai suoi Papi, sapevano che cosa fare delle enormi risorse liberate, in termini strutturali (anche come alimentazione della macchina educativa e del personale religioso), dal rapporto esplicito e codificato tra la chiesa istituzione e lo stato laico e unitario, insomma la nostra Repubblica. Una linea nuova andrà definita in relazione a una chiesa episcopale romana che eserciti il suo primato in una sfera spirituale “povera”, cioè destituita di carisma politico e temporale, fuori appunto dallo spazio pubblico che fu il grande teatro della predicazione gesuana di Wojtyla e di Ratzinger. Il francescanesimo ha le sue esigenze, e Papa Francesco dovrà tenerne conto.
De Mattei Re per diritto divino
Agnoli Francesco è più pastore che teologo, ma questo non autorizza ad attribuirgli ciò che non dice
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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