La sensazione è che si stia accentuando l’immagine bonaria di Francesco per generare posizioni “aperturiste”. Ma è un’illusione
L’ondata di entusiasmo che ha travolto i media italiani e internazionali è palpabile. Da sponde anche solitamente distanti, per non dire critiche, verso la politica vaticana e, in generale, le vicende che riguardano la Chiesa, si è registrato dal 13 marzo scorso, giorno dell’elezione di papa Francesco, un favore sorprendente e per molti aspetti turbativo. L’astio che si era accumulato in alcuni ambienti senza soluzione di continuità negli anni del pontificato ratzingeriano appare improvvisamente sparito, e anche il malcelato compiacimento con il quale si era guardato ad alcune difficoltà del governo di Benedetto XVI sembra avere fatto il suo tempo.
Una prima, necessaria, considerazione riguarda quindi le motivazioni sottese al clima di distensione tra sistema dei media, opinione pubblica e sacre stanze. Possibile che tutto sia avvenuto con il solo cambio sul trono di Pietro, come se la tempra gioviale e risolutrice del “papa preso dalla fine del mondo” avesse d’un tratto ripulito le incrostazioni formatesi negli anni sui muri degli uffici di curia e sui suoi tanti eminenti porporati?
Insomma, appare quantomeno sospetto che anche tra i più fervidi accusatori dei comportamenti della Santa Sede, tra i laici sacerdoti della morale pubblica e privata, sia scomparso d’improvviso ogni riferimento alle cordate di cardinali ed ecclesiastici in lotta per fare prevalere una linea piuttosto che un’altra; ai “corvi” che combattono per il bene della Chiesa, di fatto distruggendola; alle guerre di potere all’interno dello Ior, capaci di mettere fuori gioco addirittura un banchiere come Ettore Gotti Tedeschi, voluto direttamente dal papa emerito Benedetto XVI. La sensazione in più di qualcuno al di là di Porta Sant’Anna è, allora, che si stia volutamente lavorando sull’estetica del personaggio Francesco, per accentuarne l’immagine bonaria, aperta, disponibile (che non è certo falsa, sia detto per inciso), in grado di generare l’aspettativa di un qualche pronunciamento da parte del pontefice sulle battaglie proprie di quella cultura autodefinitasi laica, degli ultimi anni: si va dall’apertura al riconoscimento di forme di convivenza tra omosessuali, al cambio di registro relativamente alla comunione per i separati, al ruolo della donna all’interno della Chiesa, alla bioetica e al fine vita. Con quali esiti, però, guardando alla biografia dell’ex arcivescovo di Buenos Aires, è facile immaginare. Ne sono testimonianza le parole “sul rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento” nel corso del Regina Coeli di domenica 12 maggio.
E qui entra in gioco il secondo elemento di analisi, che investe la durata di questa presunta luna di miele. Perché appare inevitabile, sostengono alcune voci dall’interno delle mura leonine, che alle prime esternazioni non proprio in linea con il sentire del progressismo corrente qualche piccola crepa possa aprirsi. Con dispiaceri più per il corpaccione di media e social network che non per la figura di Francesco e della Chiesa tutta. La prudenza nel giudizio, allora, talvolta sfocia in aperta preoccupazione. Perché se l’idillio dovesse interrompersi, sarebbero la frustrazione e la rabbia a farla da padrone, come conseguenze di risposte teologiche e morali diverse dalle attese auto-generatesi intorno alla persona del pontefice e ai temi sui quali egli voglia o non voglia intervenire (e se sì, in quali termini).
Difficile che la prospettiva di una Chiesa che mantiene inalterati il proprio sangue e i propri organi vitali, pur cambiando pelle, venga accettata da quanti vedono nel nuovo papa una carta da giocare per mettere la sordina all’interno del mondo cattolico, e cavalcare l’immagine (tutta inventata) di un pastore che, anziché guidare le sue pecorelle, si fa trascinare dal branco verso una società finalmente secolarizzata. Eppure la missione della Chiesa è la stessa da duemila anni: la salvezza delle anime, la propalazione del messaggio di Gesù Cristo, l’evangelizzazione, la difesa della vita e dei valori non negoziabili. Basta fermarsi alla seconda metà del Novecento, nella quale si sono alternate figure di pontefici di modi più nobili e riservati, ad altre apparse fin da subito maggiormente in sintonia con la cultura popolare. Giovanni XXIII è succeduto a Pio XII, Giovanni Paolo II a Paolo VI (anche se non per linea diretta), Francesco a Benedetto XVI. E certamente, almeno per chi crede, tale successione non è frutto del caso. La legge matematica secondo la quale mutando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, è valsa anche per la Chiesa: se il magistero e l’adesione alla Parola di Gesù sono rimasti ovviamente invariati, diversa è apparsa la vis comunicativa con la quale il messaggio evangelico veniva e viene trasmesso al mondo. Con buona pace dei creduloni o, peggio, dei furbi. Che pensando di rendere un favore alla cosiddetta società civile, oggi tanto di moda, forse acquistano notorietà e pulpiti da cui predicare. Ma in realtà danneggiano solo se stessi e la propria credibilità.
ROBERTO PAGLIALONGAROMA
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