Ken Howard, prete della "Chiesa episcopale" (comunione anglicana) |
Di Andrea Giacobazzi
Introduzione breve
“Con il protestantesimo lo spirito ebraico trionfò”
Quello che segue non può definirsi un articolo - o un saggio - sui legami tra eresie “cristiane” ed ebraismo. Si tratta sostanzialmente di una raccolta di estratti provenienti da un unico libro:L’antisemitismo. Storia e Cause[1] (1894) del sionista Bernard Lazare, esponente di spicco della cultura ebraica a cavallo dei secoli XIX e XX.
Questa piccola presentazione può valere contemporaneamente come parziale recensione (nel senso etimologico di “passare in rassegna”) e come base di riflessione circa la lucida analisi con cui, un autore ben distante dal Cattolicesimo Romano, sembra convergere su determinate interpretazioni storico-teologiche. Il tema pare ancor più interessante se viene letto, a differenza di ciò che fa Lazare, nell’ottica della Chiesa che - in quanto Novus Israel, Verus Israel -ha nella sua Dottrina il vero compimento della Legge Mosaica. Nella Tradizione ecclesiastica si trova la continuazione perfetta di quel retto cammino che - già prima della venuta di Cristo - era stato deviato, in ambito ebraico, da varie “tradizioni umane” ed infine dallo spirito delle eterodossie farisaiche a causa delle quali il Messia non fu riconosciuto da tutti i giudei[2] (“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci”[3]). Facilmente si capisce come il giudaismo di oggi abbia poco a che vedere con i Santi Profeti veterotestamentari che tante volte richiamarono il popolo e le sue autorità alla Fede genuina. Ma torniamo alle eresie “cristiane”: cosa afferma dunque il Lazare su questa “corrente ebraica” che pare inseguire e colpire, di setta in setta, il Nuovo Israelecattolico?
Questa piccola presentazione può valere contemporaneamente come parziale recensione (nel senso etimologico di “passare in rassegna”) e come base di riflessione circa la lucida analisi con cui, un autore ben distante dal Cattolicesimo Romano, sembra convergere su determinate interpretazioni storico-teologiche. Il tema pare ancor più interessante se viene letto, a differenza di ciò che fa Lazare, nell’ottica della Chiesa che - in quanto Novus Israel, Verus Israel -ha nella sua Dottrina il vero compimento della Legge Mosaica. Nella Tradizione ecclesiastica si trova la continuazione perfetta di quel retto cammino che - già prima della venuta di Cristo - era stato deviato, in ambito ebraico, da varie “tradizioni umane” ed infine dallo spirito delle eterodossie farisaiche a causa delle quali il Messia non fu riconosciuto da tutti i giudei[2] (“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci”[3]). Facilmente si capisce come il giudaismo di oggi abbia poco a che vedere con i Santi Profeti veterotestamentari che tante volte richiamarono il popolo e le sue autorità alla Fede genuina. Ma torniamo alle eresie “cristiane”: cosa afferma dunque il Lazare su questa “corrente ebraica” che pare inseguire e colpire, di setta in setta, il Nuovo Israelecattolico?
Gli estratti
Seppure in maniera frammentaria e con qualche inesattezza che si ritrova nel testo, lo scrittore ebreo comincia dalle origini:
[…] Si potrebbe scrivere la storia della corrente ebraica nella chiesa cristiana, storia che partirebbe dall’Ebionismo[4] iniziale per arrivare al protestantesimo (p. 51)
Prima di giungere al luteranesimo:
[…] Alcuni eretici non erano forse giudaizzanti? I Pasagiani dell’alta Italia osservavano la legge mosaica; l’eresia di Orléans era un’eresia giudaica; una setta albigese affermava che la dottrina degli ebrei era preferibile a quella dei cristiani; gli Ussiti erano assecondati dagli ebrei […] (p.107)
[…] Per vincere i seguaci della scolastica, gli umanisti dell’impero divennero teologi e per essere meglio armati andarono alle fonti: impararono la lingua ebraica, non per una sorta di dilettantismo o per amore della scienza come Pico della Mirandola e gli italiani, ma per trovare argomenti contro gli avversari. Nel corso di questi anni che preannunciano la Riforma, l’ebreo divenne educatore e insegnò l’ebraico ai sapienti. Li iniziò ai misteri della Kabbalah, dopo aver loro aperto le porte della filosofia araba li armò contro il cattolicesimo della straordinaria esegesi che i rabbini avevano coltivato e resa forte: quell’esegesi di cui saprà servirsi il protestantesimo e più tardi il razionalismo. (p. 120)
Infine, sul protestantesimo propriamente detto:
[…] La Riforma, sia in Germania che in Inghilterra, fu uno di quei momenti in cui il Cristianesimo si ritemprò alle fonti ebraiche. Con il protestantesimo lo spirito ebraico trionfò. Per certi aspetti, la Riforma fu un ritorno all’antico Ebionismo del periodo evangelico. Gran parte delle sette protestanti furono semiebraiche: più tardi dei protestanti predicarono dottrine antitrinitarie: tra altri Michel Servet ed i due Soncino di Siena. Persino in Transilvania l'antitrinitarismo era fiorito nel XVI secolo e Seidelius aveva sostenuto l'eccellenza dell'ebraismo e del Decalogo. I Vangeli furono abbandonati a favore della Bibbia e l'Apocalisse. E' ben nota l'influenza che questi due libri esercitarono sui Luterani e i Calvinisti e soprattutto sui Riformatori e i rivoluzionari inglesi, influenza che perdurò fino al XVIII secolo; a lei si devono i Quaccheri, i Metodisti, i Pietisti e soprattutto i Millenaristi, gli Uomini della Quinta Monarchia che con Venner a Londra sognavano la repubblica e si alleavano con i Livellatori di John Lilburn.
Anche in Germania, il protestantesimo all'inizio cercò di attirare gli ebrei e da questo punto di vista è singolare l'analogia tra Lutero e Maometto, entrambi trassero le loro dottrine da fonti ebraiche, entrambi vollero far approvare i loro nuovi dogmi da quel che restava d'Israele. [...] (p. 122)
Nonostante le avversità e gli scontri, il Cattolicesimo continuava a chiamare a sé gli ebrei:
[…] ed è anche agli Ebrei che Luterani e Calvinisti si rivolgono, anzi sembra che questi ultimi sarebbero stati pienamente convinti della giustezza della loro causa se i figli di Giacobbe si fossero uniti a loro. Ma gli Ebrei furono sempre il popolo ostinato della Scrittura, il popolo testardo, ribelle a qualsiasi imposizione, tenace, fedele con animo intrepido al proprio Dio e alla propria Legge.
La predicazione di Lutero fu vana ed il collerico monaco pubblicò contro gli ebrei un terribile libello. […] Nonostante queste violenze, nonostante questi movimenti, nonostante le numerose controversie che ebbero luogo tra protestanti ed Ebrei, questi ultimi in Germania non furono maltrattati. (p. 123)
Invito alla lettura
Il tema “protestantesimo” si ferma ovviamente al 1894: parecchio si potrebbe aggiungere in un eventuale aggiornamento che comprendesse l’attuale neoprotestantesimo dei telepredicatori filoisraeliani statunitensi.
Gli spunti qui riportati valgono come invito alla lettura dell’intero libro di Lazare, di cui l’aspetto trattato in queste righe è solo un frammento. Il testo rappresenta una acuta descrizione – sebbene in più punti caratterizzata da non condivisibili accenti anticristiani – della polarizzazione del rapporto “ebrei – non-ebrei” nel corso dei millenni. Scrivendo l’opera che lo rese celebre, Lazare, un giudeo “secolarizzato attratto dai movimenti anarchici e socialisti, sosteneva che la causa dell’antisemitismo non doveva essere ricercata tanto negli antisemiti, quanto piuttosto nella mentalità stessa degli ebrei”[5]. Va sicuramente riconosciuto al Centro Librario Sodalitium di Verrua Savoia il merito di averlo tradotto e diffuso in ambito italofono.
[1] Bernard Lazare, L’antisemitismo. Storia e Cause, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 2000.
[2] Cfr: A. Giacobazzi, Lo smarrimento di David, Rinascita, 17-5-13, pp.12-15.
[3] Matteo 23, 13,
[4] Corrente di cristiani “giudaizzanti” dei primi secoli. Negavano la divinità di Gesù Cristo e contemporanemente rigettavano gli scritti di san Paolo, considerandolo alla stregua di un apostata.
[5] Dalla quarta di copertina del volume.
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