IL PICCATO COMMENTO DI P. DALL'ASTA: "SPENDIAMO ALTRI DENARI PER UN'ARTE POVERA!"
mia breve intervista al Corriere del Veneto contenuta
in un più ampio articolo dedicato alla partecipazione della Santa Sede
alla Biennale di Venezia di quest'anno. Tre brevi riflessioni:
1) Comincerò dallo squallido riferimento al "giro d'affari" della
"paccottiglia" liturgica che io promuoverei e di cui "è impossibile che
non sia al corrente". Caro Dall'Asta al massimo chi maneggia denari
sarà lei! Io in tutti questi anni non ho lucrato un solo euro da questa
mia attività critica. Nulla. Anche quando invitato a conferenze o
simili non ho mai preso un centesimo. Mi batto per un'arte sacra
cattolica per passione, al contrario di tanti ideologi e mestieranti
della fede.
2) Nell'intervista che la redattrice ha chiaramente abbreviato le mie riflessioni: non ho affermato, come erroneamente attribuitomi, che Dall'Asta avrebbe introdotto un altare e un crocefisso rimossi.
Ho parlato correttamente della sede episcopale di Kounellis - riguardo
alla quale ho specificato alla giornalista che non se ne è mai
conosciuto il costo - e del crocifisso di Nagasawa. Entrambe opere
rimosse. La prima grazie all'intervento di Mons. Camisasca e la seconda per via della sua irriconoscibilità. Dunque l'accusa di "inesperienza" la rispedisco al mittente. D'altro canto su questo blog tutto è stato ampiamente documentato a suo tempo.
3) Dall'Asta si augura che opere "d'arte povera" come la sede di Kounellis fatta rimuovere da Camisasca possano
trovare spazio nella Basilica di San Pietro "mettendo da parte pizzi e
merletti". Ecco, il solito prete in maglione, il solito pauperista da
quattro soldi, meglio pauperista a pagamento, perché sarei curioso di conoscere i costi di Kounellis e delle sue costose opere, sebbene di "arte povera".
Caro padre Dall'Asta la sua acidità non mi tange. So che la sconvolge
pensare che il Corriere della Sera abbia potuto dar voce ad un
"inesperto" come dice lei, ad un cane sciolto, ad uno che parla fuori
dal coro, ad un cattolico che ragiona col cervello e col cuore e certo
non con l'ideologia e il portafogli come altri. Ma tant'è! La follia di
2,8 milioni di euro di spesa per questa "contemporary art" in salsa
cattolica, oltre le spese d'affitto del padiglione viene totalmente
elusa. Si cerca di contrapporre "antica paccottiglia", "pizzi e
merletti", all'aggiornamento, alla "sfida" di chi si crede moderno ed è
invece vecchio dentro, fermo ai polverosi anni '60. Potessi dire: "contento lei!" E invece mi tocca ribadire che sacerdoti
come lei sono espressione di una intrinseca perversione della Chiesa
Cattolica, la perversione della "mondanità" di cui parla spesso Papa
Francesco, una "mondanità" difesa con le unghie e coi denti,
rivendicata addirittura attraverso l'edulcorazione della dialettica. E
questa "mondanità" applicata all'arte sacra mira non certo a favorire lo
sviluppo di un'arte che aiuti la preghiera e la devozione, bensì
un'arte ch'è univoca espressione del complesso mondo commerciale delle
gallerie e dei vernissages, dei critici eletti, dei parolai, epigrafai e
sciupasolai... Un'arte in altre parole "autoreferenziale". Espressione
di una Chiesa in preda, come direbbe sempre Papa Francesco, "ad una
specie di narcisismo, che ci conduce alla mondanità spirituale e al
clericalismo sofisticato".
F.C.
F.C.
*
di p. Andrea Dall'Asta S.J.
Sono rimasto davvero colpito dall’articolo di Sara d’Ascenzo del 19
aprile apparso sul Corriere del Veneto che riporta una citazione di
Francesco Colafemmina, che da tempo gestisce un blog su arte e fede.
L’articolo recita: “L’arte sacra non è più quotata, non va più sul
mercato. E quindi c’è l’interesse a riempire le chiese, o il padiglione
della Santa sede, di opere che abbiano un mercato. Una dimensione
assolutamente mondana, che non ha nulla a che vedere con la
spiritualità. Come nel duomo di Reggio Emilia, dove Padre Andrea
Dall’Asta, che è dentro la commissione ristretta che ha scelto le opere
per la biennale, ha fatto sostituire l’altare e il crocifisso con opere
d’arte contemporanea poi rimosse dal nuovo vescovo. Quest’arte serve a
pregare o a essere più facilmente rivenduta in futuro?”.
Come risposta all’articolo, vorrei prima di tutto porre una domanda, in
quanto credo che chi scrive non conosca bene il soggetto. Quando infatti si dice: “L’arte sacra non è più quotata, non va più sul mercato”, di quale arte sacra si sta parlando? Se per arte sacra si intende infatti quella pseudo
arte liturgica che affolla le nostre chiese con effetti del tutto
devastanti e disastrosi (e che il nostro Colafemmina promuove – sic!),
questa ha un mercato davvero fiorentissimo.
Non c’è certo bisogno di fare propaganda con biennali o eventi vari
perché sia venduta. Consiglio a chi scrive di partecipare a qualche
“fiera del sacro”, per rendersi conto della quantità di persone
coinvolte e del giro d’affari che vede come acquirenti tanti
ecclesiastici con tanto di portafoglio rigonfio. Colafemmina ne resterebbe estasiato (ma è impossibile che non ne sia al corrente).
Vi ho partecipato alcune volte e purtroppo ho l’impressione che tanto
più gli stand propongono oggetti di pessimo gusto, kitsch, vuoti e
artificiali, tanto più il successo commerciale è garantito.
Quando poi si dice che ci sia l’interesse da parte degli artisti (veri,
almeno riconosciuti nell’ambiente artistico, con tutte le luci e ombre
che conosciamo) a riempire le chiese delle loro opere si dimentica un
fatto non secondario. I veri artisti, come quelli coinvolti nella cattedrale di Reggio Emilia
– penso solo a Ettore Spalletti o a Jannis Kounellis – non hanno certo
bisogno né della biennale di Venezia né tantomeno di commissioni
ecclesiastiche, anche delle più prestigiose, per farsi pubblicità o per
vendere i loro lavori. Anzi, da parte loro ho riscontrato grande
generosità e disponibilità, atteggiamenti oggi molto rari. Dove sia
questa dimensione mondana sinceramente faccio fatica a riscontrarla.
Quando penso al cammino personale condotto con loro sia per
l’elaborazione delle opere per la cattedrale di Reggio Emilia, sia per
le immagini dell’Evangeliario Ambrosiano, a partire dalla lettura delle
sacre scritture e dei testi liturgici, penso proprio al contrario.
Questi artisti si sono messi in gioco in prima persona nell’affrontare
tematiche nuove, con un vero desiderio di comprendere, di esprimere
qualcosa di significativo in relazione a quanto loro richiesto,
confrontandosi con la tradizione cristiana. Atteggiamenti esemplari. Criticando
questi artisti, si ha forse paura che possano in un futuro togliere il
mercato a tutta quella paccottiglia da cui siamo invasi? Beh, sinceramente lo spero.
Quando poi alla fine della citazione si afferma che ho sostituito
l’altare e il crocifisso della cattedrale di Reggio Emilia con opere poi
rimosse dal nuovo vescovo, l’inesperienza di chi scrive raggiunge toni
davvero drammatici. Inutile dire che l’unico ad avere l’autorità per
iniziative simili è il vescovo, nel caso di Reggio Emilia, mons.
Adriano Caprioli che ha voluto e ha portato avanti il progetto, con
tutte le “paure” dell’ultimo momento. Solo il vescovo ha infatti il
potere nella sua diocesi di farlo. Se poi il crocifisso di Nagasawa e
l’altare di Kounellis saranno venduti – Colafemmina si confonde qui con l’altare di Parmiggiani che non è stato toccato ed è ancora in situ – questo proprio non lo so. Anzi, in un momento in cui papa Francesco parla di povertà, vedere la
cattedra di Kounellis, splendida opera di arte povera, nata da una
lunga riflessione teologica (così come la croce di Nagasawa), in una
grande basilica romana, e perché no, in San Pietro, sarebbe veramente il
segno di un nuovo corso della chiesa di andare all’essenziale, mettendo
da parte pizzi e merletti. Un ritorno a uno stile semplice. Ma
proprio ciò che è sobrio appare oggi difficile a essere accolto e
accettato. Perché segno di grande spiritualità.
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