L’affermazione di Papa Francesco secondo cui esiste una “lobby gay” in Vaticano, non va ridotta ad una battuta estemporanea, ma valutata e pesata nella sua tragica portata. «Nella Curia ci sono persone sante, davvero, ma c’è anche una corrente di corruzione. Si parla di una “lobby gay”, ed è vero, esiste. Noi dobbiamo valutare cosa si può fare».
Il Santo Padre ha pronunciato queste parole nel corso di un’udienza riservata ai vertici della Confederazione latinoamericana dei religiosi e delle religiose (Clar), svoltosi a Roma il 6 giugno scorso. Si trattava di un incontro privato, ma il Papa non cessa mai di essere tale e l’interlocutore era un autorevole organismo, che ha redatto un resoconto scritto del discorso pontificio. Questo testo non era destinato alla pubblicazione, ma è autentico, come dimostra il fatto che ha fatto il giro del mondo, senza che nessuna smentita sia arrivata dalla Santa Sede.
Il Papa non si è riferito alla Chiesa in generale, ma al Vaticano, il che è più grave, perché questo è il luogo in cui egli vive, circondato dai suoi più stretti collaboratori. Ed è proprio all’interno della Città leonina che egli ha affermato esistere una “lobby”, cioè un gruppo potente e organizzato, capace di fare tutto ciò che una lobby normalmente fa: esercitare, in maniera lecita o illecita, una forte pressione per orientare alcune decisioni a proprio favore. L’interesse di una “lobby gay” sarebbe, in questo caso, quello di promuovere all’interno delle istituzioni vaticane, uomini che condividano la pratica o l’ideologia dell’omosessualità, ed evitare che questo vizio sia condannato come tale dalla coscienza pubblica della Chiesa.
Ernesto Galli della Loggia, in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” del 23 giugno ha scritto: «Mi chiedo che cosa sarebbe successo se la stessa espressione ‒ “lobby gay” ‒ fosse stata adoperata, invece che da papa Francesco da papa Ratzinger, o, molto più modestamente, da un rappresentante del più conclamato machismo come Silvio Berlusconi (…). Non ci vuole molto a immaginarlo: accuse da ogni parte di un linguaggio palesemente omofobo, denuncia accalorata delle intenzioni denigratorie e persecutorie sottintese in una simile espressione, proteste di tutte le associazioni omosessuali, (…) e così via.
Come difatti è puntualmente avvenuto in passato, ogni volta che qualcuno ha usato parole analoghe, e questo qualcuno era per qualunque ragione inviso a quella parte politica che si identifica ‒ senza se e senza ma ‒ con la causa dei diritti civili degli omosessuali». Ma questa volta «l’espressione “lobby gay” era usata da una persona come papa Francesco ‒ guadagnatosi la fama universale di “semplice”, di “buono” ‒ e usata per colpire un gruppo di potenti prelati, guadagnatisi ‒ intendiamoci, per motivi più che meritati ‒ l’altrettanto universale fama di “cattivi”. Aggiungo semplificando brutalmente: perché questa volta le parole in questione erano intese a colpire una parte che il senso comune (a cominciare dallo stesso movimento omosessuale e dai suoi esponenti) considera corrotta e reazionaria per definizione. E dunque si adoperi pure “lobby gay”».
Ci si potrebbe anche chiedere perché gli stessi mass media che parlano di «corresponsabilità morale», quando un vescovo interviene in maniera troppo debole verso un prete pedofilo (si veda ad esempio: Francesco Merlo, Quello scappellotto al cardinale O’Brien, in “La Repubblica”, 17 maggio 2013), sono pronti ad attaccarlo come omofobo, se dovesse intervenire in maniera ferma verso un prete omosessuale. Perché la pedofilia è un crimine e l’omosessualità un diritto? La risposta è semplice. Per la pseudo-cultura relativista, ciò che rende un crimine la pedofilia non è il suo disordine morale, ma il fatto che l’atto contro-natura sia compiuto ai danni di minori. Il riferimento non è alla legge morale, ma all’auto-determinazione illimitata del soggetto.
La pedofilia viola i diritti dei minori, mentre l’omosessualità afferma quelli degli adulti. Preti pedofili e preti omosessuali sembrano formare in realtà una medesima “lobby”, perché si abbeverano alla medesima ideologia libertaria e pansessualista, penetrata anche all’interno della Chiesa nell’ultimo cinquantennio.
L’“omoeresia”, ossia la teologia dell’omosessualità denunciata da don Dario Oko (http://www.conciliovaticanosecondo.it/2012/12/22/con-il-papa-contro-lomoeresia/), va di pari passo con la teologia dei preti sposati. In entrambi i casi il nemico è il celibato ecclesiastico, una colonna morale su cui la Chiesa si regge fin dalle origini. Del resto, se il Papa si è espresso in questi termini, lo ha fatto a ragion veduta. Alcuni, come il vaticanista Ingrazio Ingrao, sostengono che un intero capitolo dedicato alla “rete gay” sia presente nella relatio redatta dai tre cardinali incaricati da Benedetto XVI di indagare sulla curia: Julian Herranz, Salvatore De Giorgi e Jozef Tomko (“Panorama”, 24 giugno 2013). C’è chi ipotizza che proprio la scoperta della presenza di questa rete avrebbe spinto alle dimissioni Benedetto XVI, già intenzionato a rinunciare al pontificato (“Il Fatto”, 11 giugno 2013). C’è chi pensa infine che alle parole del Papa non sarebbero estranee le notizie pervenutigli sulle vicende dell’Almo Collegio Capranica, denunciate sul sito “Corrispondenza Romana” nell’articolo Il dramma della sodomia nella diocesi di Roma, prontamente oscurato dal Tribunale di Roma, dietro querela del Rettore dell’Almo Collegio.
Nel corso del telegiornale su “La7” del 25 giugno (http://tg.la7.it/cronaca/video-i722957), si è appreso poi di un’inchiesta in corso della magistratura romana concernente un vorticoso giro di rapporti sessuali intrattenuti da religiosi con minorenni. La denuncia da cui è partita l’indagine conterebbe circa venti nomi, tra cui un cerimoniere del Papa, un segretario del Cardinale Vicario, quattro parroci in carica di altrettante parrocchie di Roma ovest e nord ed altri personaggi di alto livello ecclesiastico.
L’atteggiamento di certe autorità ecclesiastiche di fronte a scandali di questo genere è stupefacente. Quando esse vengono a conoscenza dell’esistenza di una situazione immorale in una parrocchia, in un collegio, in un seminario, non procedono per appurare la verità, rimuovere i colpevoli, eliminare la sporcizia, ma manifestano fastidio, se non riprovazione, nei confronti di chi ha denunciato il male, e, nel migliore dei casi, si limitano a prendere in considerazione ciò che può interessare la giustizia civile, per timore di essere coinvolte nelle vicende giudiziarie. Tacciono su ciò che ha un pura rilevanza morale e canonica. Lo slogan potrebbe essere “tolleranza zero” per i pedofili, “tolleranza massima” per gli omosessuali. Questi ultimi continuano tranquillamente ad occupare i loro posti di parroci, vescovi, rettori di Collegio, formando quell’“omomafia” che Papa Francesco definisce “lobby gay”.
L’affermazione del Papa va oltre la pur grave denuncia della «sporcizia nella Chiesa», fatta dal cardinale Ratzinger il Venerdì Santo del 2005, alla vigilia della sua elezione al Pontificato. Anche in quel caso il futuro Benedetto XVI volle certamente riferirsi a quella piaga morale che sotto forma di pedofilia, efebofilia o più semplicemente omosessualismo, si sta diffondendo nella Chiesa. Ma la portata della dichiarazione di Francesco è più ampia e raggiunge quella di Paolo VI quando, nell’omelia del 29 giugno 1972, affermò che «da qualche fessura» era entrato «il fumo di Satana nel tempio di Dio». Ciò che sta accadendo è proprio la conseguenza di quel fumo di Satana che oggi avvolge e soffoca la Chiesa. Interverrà Papa Francesco? È questa la domanda accorata di tutti coloro che pregano e combattono per un’autentica riforma dottrinale e morale del Corpo mistico di Cristo. (Roberto de Mattei)
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