ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 13 giugno 2013

IOR, INCENSO E MIRRA:





 IL PAPA DEVE TRASFORMARE LA “BANCA DI DIO” PRIMA CHE LO FACCIANO I MAGISTRATI

Massimo Franco per il "Corriere della Sera"
PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
Papa Francesco sembra deciso a intervenire sullo Ior prima dell'estate. Probabilmente entro il 31 luglio, quando l'Istituto finirà l'indagine interna sui conti dei suoi clienti. Ormai il problema non è il «se» ma solo il «quando». E nel momento in cui si intensificano le voci di un provvedimento della magistratura italiana nei confronti della direzione della «banca del Vaticano», i tempi potrebbero subire una brusca accelerazione. Alcuni fatti sono assodati.
BASTIONE NICCOLO' V - SEDE DELLO IOR
Il primo è che Jeff Lena, l'avvocato californiano diventato in questi anni l'uomo-chiave e l'eminenza grigia della riforma dell'Istituto, ha rotto da circa due mesi con Ernst Von Freyberg, presidente dello Ior e alleato del direttore, Paolo Cipriani. Gira voce che negli ultimi tempi Lena, che nella lotta per silurare Ettore Gotti Tedeschi si era mosso in tandem con il board dello Ior e con lo stesso Cipriani, quasi rimpianga gli scontri col banchiere piacentino sloggiato in malo modo dal vertice poco più di un anno fa.
Allora si disse che le accuse di Gotti Tedeschi contro il tentativo della Segreteria di Stato e della struttura dell'Istituto di annacquare le norme sul riciclaggio erano infondate; e che il banchiere col pallino della demografia era stato mandato via perché non conosceva lo Ior e non lo difendeva: critiche diffuse e in parte magari condivise, ma anche strumentali.
SEDE DELLO IOR - ISTITUTO OPERE DI RELIGIONE
Adesso, si parla di un Jorge Mario Bergoglio convintosi ancora di più nei tre mesi di pontificato che così com'è, lo Ior toglie alla Chiesa molto più di quanto non le dia: in termini di immagine, di credibilità internazionale, di sospetti sul modo di operare dell'unico istituto immediatamente riferibile al Vaticano. Da settimane la questione rimbalza fra Segreteria di Stato, Governatorato della Città del Vaticano e Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa): i gangli del potere economico curiale.
L'ipotesi di un accorpamento di tutte le attività finanziarie è stata proposta e accantonata più di una volta. Da quanto è dato capire, il problema è se sia opportuno sostituire i vertici dello Ior o con un sacerdote fedelissimo del pontefice o con un manager esterno di peso, senza prima cambiare il governo vaticano; e senza essere certi che un commissariamento di fatto dell'Istituto provochi per reazione una nuova ondata di rivelazioni velenose, magari a sfondo finanziario.
IOR istituto per le opere di religione
L'impressione è che la gestione di Von Freyberg sia sotto osservazione, se non in bilico, dopo appena cento giorni; e che anche intorno all'Aif (l'Autorità di informazione finanziaria vaticana) guidata da Renè Bruelhart stia crescendo lo scetticismo. Fino all'inizio di giugno non risulta che Francesco abbia ancora ricevuto il capo dello Ior: un particolare che non può non fare pensare alla volontà di non offrire una legittimazione prima di avere deciso che fare della «banca».
RATZINGER PAPA BENEDETTO XVI
«Questa storia è finita», racconta una delle personalità più addentro alle questioni dell'Istituto per le opere di religione. «Il Papa interverrà, e presto. Lo Ior rischia di apparire un marchio scaduto. E siccome rappresenta il crocevia dei rapporti fra Vaticano e Stato italiano, e fra Chiesa e comunità finanziaria internazionale, diventa un problema da risolvere. E rapidamente».
Gli accenni continui di Bergoglio a una Chiesa cattolica che deve diventare povera, ancora martedì scorso con il riferimento a San Pietro che «non aveva un conto in banca», fanno rizzare antenne d'allarme nel torrione dello Ior. I maligni fanno notare che è rarissimo vedere von Freyberg all'ora di pranzo alla mensa del convento di Santa Marta. E non solo perché, come confida agli amici Bruelhart, il capo dell'Aif, si mangerebbe in modo un po' troppo semplice.
CARDINALE TARCISIO BERTONE
Il problema è la distanza fra la strategia di Bergoglio e quella dei vertici dell'Istituto per le Opere di Religione. Pesa il dettaglio non da poco che von Freyberg sia stato nominato da Benedetto XVI e da Bertone quando Josef Ratzinger era già dimissionario, senza aspettare l'esito del Conclave: una decisione interpretata come la conferma di una «strategia del fatto compiuto» che non poteva non suonare indigesta a Bergoglio e ai suoi grandi elettori degli episcopati mondiali.
Anche perché la decisione fu ratificata dopo un vuoto gestionale durato oltre nove mesi, senza che prima fosse stata sentita l'urgenza di sostituire Gotti Tedeschi. Formalmente, il processo che portò alla scelta fu ineccepibile: una quarantina di candidati esaminati da una società di «cacciatori di teste» di Francoforte; e poi un avvocato-banchiere tedesco e blasonato, ricco, organizzatore di pellegrinaggi a Lourdes, indicato come l'uomo giusto.
Ma dopo il Conclave quegli equilibri si sono sbriciolati. L'immagine del Papato viene riplasmata quotidianamente con gesti che mettono in mora la pompa della corte pontificia e i suoi riti; e che fanno apparire le ultime mosse vaticane come vecchissime. Bergoglio non ha l'aria di essere affascinato dalla nobiltà dinastica; né di assecondare a scatola chiusa nomine fatte da altri: soprattutto se suonano come un tentativo di sopravvivenza di un «partito della Curia» umiliato in Conclave.
Non bastasse, ha seminato perplessità il riferimento del presidente dello Ior e poi dell'Aif ai sette casi sospetti di riciclaggio segnalati da gennaio di quest'anno alla fine di maggio. Parole che volevano trasmettere l'idea di un'operazione di pulizia sono state percepite come un autogoal. E sullo sfondo rimane un versante giudiziario aperto e minaccioso.
ERNEST VON FREYBERG
I rapporti fra autorità vaticane e italiane negli ultimi mesi sono stati intensi: anche attraverso la diplomazia discreta dell'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Francesco Greco. Si è tentato di non aumentare i motivi di conflitto fin da quando alcuni mesi fa fu fermato all'aeroporto di Ciampino un monsignore della Segreteria di Stato, con l'avvocato Michele Briamonte, uno dei legali più influenti dello Ior, il quale oppose ai finanzieri un passaporto diplomatico vaticano per evitare la perquisizione.
L'episodio irritò anche la Santa Sede, pronta a dichiarare con padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa, che Briamonte, poi indagato, non aveva titolo per possederlo. Ma rimane la storia del sequestro di 23 milioni di euro nel 2010 per una procedura di trasferimento dai contorni non chiari: un'inchiesta che potrebbe riservare sorprese a giorni.
RENE BRUELHART
Non si chiude ancora il buco nero dell'Idi, l'Istituto dermatologico italiano, un centro di eccellenza mandato in malora dalle presunte ruberie di alcuni esponenti di una congregazione religiosa, ora commissariato dal Vaticano. E non si chiarisce il mistero torbido della truffa multimilionaria che coinvolge i Salesiani, per la quale è stato interrogato lo stesso Bertone.
E se anche la magistratura italiana probabilmente dovrà prendere atto del muro di segretezza alzato di fronte alle indagini da uno Stato estero quale il Vaticano è, l'attenzione sull'operato di alcuni personaggi dello Ior rimane altissima. La novità è che stavolta si ha la sensazione di avere dall'altra parte del Tevere un Papa deciso a fare radicalmente pulizia: perché ne è convinto, e perché il mandato ricevuto dal Conclave è questo.
In una Curia inquieta in attesa delle sue decisioni, si parla di un pontefice impaziente di agire; soprattutto quando percepisce la volontà di far finta di niente e di non cambiare nulla dei vecchi metodi. Bisognerà capire a quale prezzo, e con quali conseguenze. Ma non sembra che Francesco sia spaventato da quanto potrebbe succedere. Anzi, vuole che accada. E, se è possibile, quanto prima.

IL RETROSCENA


Lo sfogo di Francesco per scacciare le ombre di Vatileaks

Giovedì scorso, 6 giugno, rispondendo alle domande dei vertici della Conferenza latinoamericana dei religiosi (Clar), non è stata la prima volta che Papa Francesco si è espresso con uno sfogo nei confronti della presenza della cosiddetta «lobby gay» in Vaticano e di «una corrente di corruzione nella Curia». Era già successo lo scorso 20 maggio durante la visita ad limina dei vescovi siciliani,o meglio nell'incontro di quella mattina con i vescovi della Sicilia orientale. L'arcivescovo di Siracusa, Salvatore Pappalardo, non conferma ma nemmeno smentisce. Si limita a ripetere, imbarazzato: «Abbiamo parlato dei problemi delle nostre diocesi, del problema delle famiglie,situazioni molto cogenti». 

Comunque, quello stesso pomeriggio, Francesco con i vescovi della Sicilia occidentale, guidati dal
cardinale di Palermo, Paolo Romeo, si è offerto di risolvere qualsiasi problema tra le diocesi e la
Curia. Ricorda monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo: «Ci ha detto: se ci
sono problemi rivolgetevi direttamente a me».
Saranno pure parole dette nel corso di «incontri privati», o comunque «riservati», ma le
affermazioni di Bergoglio appaiono come un sintomo davanti alle difficoltà delle riforme cui si
appresta a mettere mano, a cominciare da quella dello Ior. Parole che mostrano anche un Pontefice a
rischio di ritrovarsi in una situazione già vissuta al massimo grado dal suo predecessore Benedetto
XVI. Sono insomma, dopo un anno, le stesse ombre dello scandalo del Corvo che ritornano: quella
stagione di Vatileaks (e il contenuto delle carte, eminentemente legato alle vicende economiche e
allo Ior) che solo in parte è stata chiarita e che sembra non essere mai finita. Poco prima del
Conclave un anonimo che ha rivendicato di essere uno dei venti corvi che avevano aiutato l'ex
maggiordomo Paolo Gabriele, in un'intervista, aveva dichiarato: «È tutto nel rapporto segreto
compilato dai tre cardinali anziani. Nel rapporto c'è la storia della lobby gay, che è verissima: potrei
fare nomi e cognomi di cardinali e monsignori, di vescovi e funzionari».
Ma l'aria di cambiamento è nell'aria. C'è chi fa notare che «tal monsignore» o «tal altro» (magari
coinvolti in passato da gossip collegati allo scandalo di Angelo Balducci) «non si vede più vicino al
Papa». Nei corridoi — ad esempio — si parla di nuovo di «Jessica». «Francesco ha sdoganato la
discussione ammettendone l'esistenza. Ha rotto un muro», dice un monsignore sotto il vincolo
dell'anonimato. C'è anche, però, chi nei sacri palazzi ne nega l'esistenza. «Non si tratta di una vera e
propria "lobby". Una "lobby" è tale se è in grado di condizionare le decisioni di chi comanda.
Nessuno di loro condiziona i poteri vaticani, ovvero il Papa e il Segretario di Stato». 
Don Rocco D'Ambrosio, docente di Filosofia politica ed etica politica presso la Pontificia
Università Gregoriana, commenta: «Credo vi siano segnali e anche abbastanza forti di resistenze nei
confronti di papa Francesco. In un contesto di comunità di fede religiosa come quella cattolica
questi possono prendere la via del dialogo, del confronto nel rispetto, oppure, quando vengono
taciuti, prendono quella del pettegolezzo, delle insinuazioni, persino delle forme di minaccia e di
malcontento». E Marco Ventura, ordinario di Diritto canonico all'Università di Siena, ricorda
«l'Istruzione della Congregazione per l'educazione cattolica circa i criteri di discernimento
vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali» firmata da Benedetto XVI nel 2005.
«Essa dimostra — dice Ventura — che il problema era ben presente, bisogna chiedersi se il grido di
allarme sia stato recepito fino in fondo: se oltre che per i seminari e il clero, esso sia stato recepito
per la gerarchia e per la Curia».
Un particolare curioso. Di lobby gay in Vaticano si parla da anni, ma di recente i primi documenti,
anzi i primi leaks pubblicati, non sono stati resi noti da Vatileaks, ma proprio da Wikileaks, i
documenti diplomatici rivelati da Julian Assange, nel 2010. Anche lì si parlava di «Jessica».
Sicuramente non era la stessa persona di oggi. Ma si vede che quel nomignolo piace.
di Maria Antonietta Calabrò
in “Corriere della Sera” del 13 giugno 2013
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201306/130613calabro.pdf

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