Il principe e i Gentiluomini «Giusto abolirli, sbagliò Paolo VI»
Ruspoli: l'aristocratica Corte Pontificia
andava mantenuta
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Papa Francesco ha deciso di non nominare più Gentiluomini di Sua Santità. Considera queste onorificenze «arcaiche, inutili e dannose». Cosa ne pensa Lillio Ruspoli, all'anagrafe Sforza Marescotti Ruspoli, principe romano?
«Mi sembra che sua santità abbia fatto benissimo....».
Probabilmente è colpa dei casi giudiziari di Angelo Balducci e del prefetto Francesco La Motta, entrambi gentiluomini...
«Io non giudico nessuno, è compito della magistratura, c'è la presunzione di innocenza prevista dalla Costituzione. Questa situazione nasce da un errore storico. Dall'abolizione, decisa nel 1968 da Paolo VI, di quella grande istituzione storica che fu la Corte Pontificia, composta da famiglie dell'aristocrazia nera fedeli da secoli al Papato. Errore madornale. Malinteso senso del modernismo. Il Vaticano cercava di raggiungere accordi col mondo comunista per aprire nuove sedi episcopali oltrecortina. Si pensava di dare dimostrazione di apertura democratica...».
Invece cosa accadde?
«Si creò questa nuova struttura, priva di regole. La Democrazia cristiana, già da allora, cominciò a inserire personaggi dubbi. Arrivarono gli avventurieri, certi figuri ambigui della finanza lombarda e addirittura dell'industria bellica, ricchi americani d'assalto, poi il mondo legato ai Sindona, ai Calvi, alla loggia massonica P2, l'intero sistema che causò drammatici dissesti al patrimonio della Santa Sede. Il vuoto lasciato dalla tradizione della Corte pontificia fu riempito nel modo più spaventoso e ignobile. Ma è mai possibile che un Capo di Stato oggi possa essere accolto da un Gentiluomo di questo genere?».
Lei è il nipote di Alessandro Ruspoli, Gran Maestro dei Sacri Palazzi, che accoglieva i Capi di Stato per condurli dal Papa.
«Persino i reali consideravano un onore essere accolti da lui. La carica era ereditaria, i Ruspoli la mantennero per dieci generazioni. Poi c'erano gli Assistenti al Soglio, anche loro ereditari, Colonna e Orsini. L'aristocrazia nera non ha mai ottenuto vantaggi economici da certe cariche. Tutt avveniva disinteressatamente, per devozione al Pontefice. I nobili romani sono incapaci di trasformarsi in affaristi: non c'è mai stato un solo scandalo economico che abbia coinvolto la vecchia Corte. E poi, perché? Le cariche erano ereditarie da secoli. L'aristocrazia ha dato sangue per l'onore dello Stato Pontificio. Poi dell'Italia. Abbiamo avuto eroi nella II Guerra mondiale, anche nella Resistenza».
Ma quella Corte non era solo classismo? Anacronismo?
«Assolutamente no. Buona parte dell'aristocrazia romana, in segreto, si dedica all'aiuto ai poveri. Santa Giacinta Ruspoli, francescana, è la patrona degli emarginati. E io stesso ho avuto il privilegio di contribuire, quando ero in Consiglio comunale, ad aprire la casa dei senza tetto al Casilino dedicata proprio a lei, in stretta collaborazione con Don Luigi Di Liegro della Caritas. Poi ci sono tanti altri casi. Don Leopoldo Torlonia, alla guida del Circolo di San Pietro, gestisce mense e accoglienza per i bisognosi. Anacronismo? Solo lealtà, spirito di servizio, dedizione. Una grande garanzia di decoro per la Santa Sede e di sicurezza dello stesso Pontefice».
E anche per le risorse economiche vaticane?
«Certo. Anche. Non ho dubbi».
Cosa dovrebbe fare il Papa?
«Io capisco il francescanesimo, discendo da papa Innocenzo III che approvò la regola di san Francesco. Ma una chiesa che difende i poveri e gli ultimi non può che esprimersi con una forma aurea da gestire con un adeguato protocollo. Una cosa è l'umiltà, una cosa è la rappresentanza di un miliardo e più di fedeli. Guardia Nobile e Corte papale potrebbero ancora oggi assicurare un servizio disinteressato e al di sopra di ogni sospetto».
Ammette che tutto questo sembra una provocazione?
«Posso ammetterlo. Ma sono sicuro di quel che dico».
A proposito di scandali, Filippo Orsini negli anni Cinquanta perse il titolo di Assistente al Soglio Pontificio perché si innamorò della splendida Belinda Lee...
«Se ci ripenso non era poi uno scandalo... altro che lobby gay. E lo dico qui: era comprensibile innamorarsi di Belinda Lee...».
di Paolo Conti
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