Papa Francesco. Jorge Bergoglio perché. Le Congregazioni: no italiano no yankee
I cento giorni di Papa Francesco sono una occasione per svelare bene la elezione di questo Papa imprevisto, “venuto dalla fine del mondo” e che, invece era il più prevedibile di tutti. L’occasione è data da quello che sta succedendo in Brasile e che potrebbe succedere nel resto del Sud America, subcontinente in ebollizione, e anche da quello che sta succedendo a Roma dentro e fuori le mura delVaticano.
Il Cardinale che alza il velo dal Conclave del 12 marzo, anno del Signore 2013, elezione pontificale unica nell’era recente perché andata in onda con il predecessore sul Soglio di Pietro ancora in vita, chiede solo come condizione di non essere nominato.
Sorridendo, come può farlo chi è molto soddisfatto di raccontare un pezzo di novità su una vicenda che sta cambiando la storia della Chiesa di Roma, Sua Eminenza racconta come Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco al quinto scrutinio, alle 19,06 del 13 marzo 2013, un mercoledì freddo e nuvoloso, in una Roma prima raggelata, poi elettrizzata da quella novità, che si sarebbe accesa sulla loggia di piazza San Pietro.
E’ uno dei 115 cardinali del Sacro Collegio che nel pomeriggio del 12 marzo si erano “incamminati” dal collegio di Santa Marta al palazzo Apostolico, in processione dalla Capella Paolina a quella Sistina, giurando di mantenere il segreto, facendosi chiudere dopo “l’ Extra omnes”, nel sigillo del segreto, sotto la volta michelangiolesca.
Preghiera, meditazione e poi, in quella serata, il primo dei cinque scrutini con i cardinali uno a uno davanti all’urna del voto a recitare la formula di rito: “Chiamo a testimoniare Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che secondo Dio ritengo debba essere eletto.”
Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa quel tredici marzo appena trascorso, non con una sorpresa, un colpo di scena imprevedibile per i suoi elettori che per cinque volte avrebbero deposto la scheda, dopo quel giuramento, su un piatto dal quale i cerimonieri l’avrebbero fatta scivolare nel calice che è l’urna del Conclave.
Anzi, il suo nome era già sicuro da almeno dieci giorni prima che il Conclave avesse inizio, in quel clima di grande tensione che alimentava l’attesa per l’elezione del terzo Papa del nuovo millennio, quello che sarebbe succeduto a Giovanni Paolo II, morto nel 2005 dopo 26 anni di Pontificato, e a Benedetto XVI, il Papa delle dimissioni, dopo otto anni di regno.
“Bastava seguire con attenzione le Congregazioni di cardinali che si riunivano nella lunga vigilia del Conclave – spiega il “nostro” cardinale “segreto” – per capire che era Bergoglio il prescelto. Bastava interrogare, magari discretamente i cerimonieri, che seguivano le singole Congregazioni, per calcolare come tutto si stava orientando verso il cardinale di Buenos Aires”.
Perfino un grande elettore come Tarcisio Bertone, segretario di Stato, Camerlengo, indicato tra i più potenti per il pacchetto di voti che controllava, si era scoperto pro Bergoglio nei giorni frenetici della vigilia, nel vorticare dei candidati: una vera sequenza di nomi, dall’italiano Angelo Scola, arcivescovo di Milano, al ghanese Peter Turkson, agli altri italiani Gianfranco Ravasi e Angelo Bagnasco, presidente della Cei, agli accreditatissimi Marc Oullet, canadese, al cardinale-capuccino di Boston Sean O’Malley, al filippinoTagle e all’honduregno Maradiaga, al brasiliano Odilio Sherer, pronosticatissimo.
Come una parola d’ordine era passata tra i potenti cardinali italiani: no a Scola, che pure aveva raccolto un po’ di consenso, al punto di essere indicato impropriamente il prescelto, al momento della fumata bianca, secondo un improvvido comunicato di plauso della Cei.
Nelle Congregazioni ufficiali e nei conciliaboli della vigilia, quelli che i mass media mondiali avevano continuato a seguire come se si trattasse non della elezione di un Pontefice di Roma, ma di un retoscena politico, la parola d’ordine chiara e potente era che il prescelto doveva arrivare dall’America, intesa come Continente. Tutto intero.
Ma era chiaro alla lungimiranza dei cardinali, sopratutto di quelli incardinati nelle archidiocesi dell’America del Nord, che portare sul soglio di Pietro uno “yankee”, sarebbe stato un bel rischio.
“ Cosa sarebbe successo nella prima visita del nuovo ponfefice magari “amerikano” in un angolo del mondo dove gli Usa sono ancora considerati la superpotenza egemone, gendarme del mondo – sorride il nostro Cardinale – avrebbero contestato il Papa, lo avrebbero messo in una situazione di difficoltà, in Africa, in molti paesi dell’Asia, perfino in SudAmerica, avrebbero identificato la politica della potenza americana con l’uomo vestito di bianco che veniva da Roma.”
Quindi niente Oullet, niente O’Malley, nessuna altra porpora statunitense o canadese. Bisognava aspettare un Papa che arrivasse da un altro angolo del Continente scoperto dal genovese Cristoforo Colombo.
No a Scola, l’italiano così vicino a Comunione e Liberazione, da poco più di un anno a capo della Diocesi di Milano, la più importante del mondo, che avrebbe riportato dopo più di trenta anni un italiano sul Supremo Soglio, no a un americano del Nord, ma allora perché Jorge Mario Bergoglio, l’argentino di Buenos Aires, il gesuita, di un ordine, quindi, che nella storia della Chiesa mai aveva espresso un Papa, al punto che il numero uno dei seguaci di sant’ Ignazio di Loyola viene chiamato “il Papa Nero”, dal colore della veste? Mai coloratosi di bianco in tutta la storia vaticana.
“Bergoglio era predestinato e non solo dal Conclave precedente, quello del 2005, quello che portò al pontificato Ratzinger” -sostiene il Cardinale – e questo spiega la scelta come qualcosa preparato ineluttabilmente da anni. Nel 2005 il futuro Papa Francesco aveva raggiunto 40 voti, il più votato dopo Ratzinger e solo il suo atteggiamento schivo e riluttante aveva fermato il consenso che i cardinali gli stavano riversando dopo che l’influentissimo Carlo Maria Martini lo aveva indicato come la soluzione per il dopo Woytila.
Bergoglio nel 2005 non si sentiva ancora pronto, viveva con forza la sua missione di pastore “nel mondo alla fine del mondo”, nello sprofondo dell’Argentina e aveva fatto un passo indietro.
Ma in realtà già dal 2001 la sua figura aveva cominciato a stagliarsi sull’orizzonte della Chiesa mondiale. In quell’anno a Roma c’era stato un Sinodo arcivescovile che aveva radunato per discutere di temi delicatissimi quasi trecento prelati, chiamati da ogni angolo del mondo. Lo avrebbe dovuto presiedere l’allora arcivescovo di New York, Edward Egan, ma una celebrazione in onore delle vittime dell’attentato alle due Torri di New York (avvenuta pochi mesi prima) lo aveva tenuto lontano.
Il suo posto era stato preso da Bergoglio, che in qualche modo si sarebbe svelato per la prima volta in un ruolo forte agli occhi non solo della Curia romana, ma di una Chiesa che il boom dei cardinali extraromani del pontificato di Woytila aveva sempre di più internazionalizzato.
“Di Bergoglio allora aveva colpito non solo il grande equilibrio nella gestione del Sinodo, ma anche la sua storia di arcivescovo a Buenos Aires, la sua spiritualità, la sua idea chiara della Chiesa nel mondo attuale, la sua umanità e la sua sobrietà”- racconta il Cardinale – sorridendo ancora di più nell’indicare quelle carte che il futuro Francesco, allora inconsapevolmente, aveva incominciato a mostrare.
La sobrietà e l’umiltà che nei primi cento giorni del suo regno Francesco sta svelando quasi quotidianamente, con una forza questa sì assolutamente imprevista, sono state forse le caratteristiche che lo hanno imposto durante le Congregazioni della vigilia di quel fatidico 13 marzo.
Un altro segreto della sua elezione, che viene svelato solo oggi è come la regia decisiva dei suoi grandi elettori fosse tanto convinta di vincere la partita da prevedere l’elezione e la relativa fumata bianca per giovedì 14 marzo, nello scrutinio della mattina o forse in quello del pomeriggio.
Due giorni “pieni” di Conclave, per dimostrare al mondo e ai dietrologi in appostamento, quanto nella Chiesa, con o senza Spirito Santo, si fossero posti il problema di una vera svolta, dopo le clamorose dimissione di Benedetto XVI.
Ma un rigurgito di consenso, che aveva fatto salire improvvisamente le quotazioni di Scola nel terzo scrutinio, quello della mattina del 13 marzo, aveva spinto i sostenitori di Bergoglio a anticipare di mezza giornata la spinta al loro candidato.
E così il cardinale francesce Jean Louis Tauran sarebbe apparso alla Loggia, stravolto dall’emozione di dover annunciare l’ ”Habemus papam”, nel tardo pomeriggio, quando il buio stava per calare su una stupefatta piazza San Pietro.
E lui, Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, avrebbe lanciato quel famoso “Buonasera” iniziale del suo discorso, con una notte di anticipo sul previsto.
Tanta era stata la forza della decisione ed anche la “maggioranza” che l’aveva espressa, stravolgendo le sinedriche previsioni degli osservatori di qua e di là del Tevere.
Ma perchè un americano e perché non un italiano, o come qualcuno un po’ fantasticamente si aspettava, non un Papa che arrivava da un altro continente ancora, come quello africano, per esempio?
Anche a questa domanda le Congregazioni avevano risposto chiaro, per intenderlo bastava solo ascoltarle.
E anche qui bastava, magari, prestare più attenzione alla messa “Pro Eligendo”, celebrata alla vigilia del Conclave da Angelo Sodano, concelebrata dallo stesso Tauran e dal cardinale Giovanni Battista Re.
Il cardinale Sodano aveva concluso la sua omelia nella Basilica di san Pietro auspicando che “il nuovo pontefice sia di cuore generoso”.
E chi più di Bergoglio è un generoso e ha mostrato di esserlo nel suo lavoro di pastore a Buenos Aires, quando andava a inzaccherarsi la tonaca nelle periferie sperdute dove la povertà e il disagio della Grande Capital Federal sono la prima emergenza.
Un americano generoso, ma anche un sudamericano che aveva dimostrato di meritare quella che i laici chiamerebbero una vera leadership nel suo Continente. Dopo quel 2001 del Sinodo vescovile a Roma, Bergoglio era stato il redattore di un documento fondamentale per tutta la chiesa dell’America Latina e dei Caraibi, nel 2003 alla fine di una Conferenza, riunita in Brasile. La sua relazione finale in quella occasione era stata salutata da una vera ovazione dei suoi colleghi.
Idee chiare, generosità, sobrietà, umiltà: tutto questo non sarebbe bastato – sorride il nostro Cardinale – per spingere Bergoglio sulla cattedra di Pietro, se le riunioni della vigilia dei 115 cardinali non avessero espresso un altro indirizzo fortissimo: scegliere un Papa lontano dalla Curia romana. E chi allora più di un Papa che nelle sue prime, indimenticabili parole, dice di essere stato scelto dai cardinali proprio “alla fine del mondo”?
di Franco Manzitti
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