C’è un giochetto che da un po’ di tempo sta prendendo
piede: quello di “spifferare” a mezzo mondo quanto il Papa avrebbe
detto (il condizionale è d’obbligo) in incontri privati.
La cosa dev’essere poi particolarmente
agevole, dal momento che lo stile preferito di Papa Francesco è quello
di parlare a braccio: dunque impossibile confermare o smentire,
in mancanza di registrazioni.
E questa incertezza è il terreno
preferito in cui germinano le stupidaggini più incredibili. Ci sarebbe
semplicemente da ridere a leggere certi giri mentali: da un sorriso del
Papa alcuni deducono il nuovo stile del Concilio; dall’abbraccio che il
Papa dona ai bambini se ne ricaverebbe un nuovo volto misericordioso
della Chiesa… Che è come lasciar sottinteso che invece Benedetto XVI e i
suoi predecessori (eccetto ovviamente Giovanni XXIII, il papa “buono”
per antonomasia) sorridessero solo su minaccia di qualcuno che aveva
capito lo stile del Concilio, oppure che fossero soliti dare schiaffoni
ai bambini!
Ormai ogni gesto, parola o starnuto del Papa,
o comunque a lui attribuito, è un gesto profetico o – perché no?- un
vero e proprio atto di Magistero, dal momento che Vescovi,
sacerdoti e giornalisti ne traggono materiale per fare predicozzi, per
bacchettare qualcuno poco “conciliare”, per indicare la nuova strada che
la Chiesa percorre per aprirsi al mondo, e via delirando.
In questo contesto si situano le presunte
parole che il Papa avrebbe pronunciato incontrando, i rappresentanti
della Confederazione Latinoamericana di Religiosi (CLAR). Il portale del pensiero liberatore latinoamericano (così si autodefinisce) Reflexión y Liberación, oltre ad attribuire al Papa la denuncia di lobby gay
presenti in Vaticano, riporta un altro passaggio di questa
conversazione, nella quale il Papa avrebbe confidato ai religiosi
presenti due sue preoccupazioni, la prima delle quali riguarderebbe una
corrente pelagiana nella Chiesa:
«Ci sono certi gruppi restaurazionisti. Io
ne conosco alcuni; mi spettò di riceverli a Buenos Aires. Ci si sente
come se si andasse indietro di 60 anni! Prima del Concilio… Ci si sente
nel 1940… Un aneddoto, solo per illustrare questo fatto, non per ridere,
io l’ho preso con rispetto, però mi preoccupa;
quando mi hanno eletto, ho ricevuto una lettera di uno di questi
gruppi, e mi dicevano: “Santità, le offriamo un tesoro spirituale: 3525
rosari”. Perché non mi hanno detto: preghiamo per lei, chiediamo… Questi
gruppi si rifanno a pratiche e discipline che ho vissuto – voi no,
perché nessuno di voi è anziano – a discipline, a cose che in quel
momento si facevano, ma non adesso, oggi non esistono…».
Ora, buon senso vorrebbe che di fronte a presunte
dichiarazioni attribuite al Papa, da parte di un sito che non nasconde
di essere progressista, il quale a sua volta ha ricevuto non si sa come
questo testo, che non è un originale, ma una ricostruzione a posteriori
di quello che il Papa avrebbe detto durante questo incontro, insomma
dichiarazioni poco attendibili, si serbasse un intelligente silenzio.
Invece no. Qualche tradizionalista “spara”
irritato contro il Papa e il vaticanista Tornielli risponde con un
articolo che sinceramente lascia un po’ sconcertati. Stando al
vaticanista, qualche “censore sedicente ratzingeriano” avrebbe reagito
piuttosto duramente a queste affermazioni, mettendo in luce una sorta di
opposizione tra Papa Francesco e Benedetto XVI.
Si sa che Tornielli non ha grande simpatia per gli
ambienti tradizionalisti, e fin qui non ci sono problemi: non è
obbligatorio simpatizzare per nessuno. Però Tornielli, colpito dalla
sindrome del sassolino nella scarpa, scrive: «L’accenno al mondo
tradizionalista ha subito provocato la reazione indignata di qualche
censore sedicente ratzingeriano, che ha immediatamente notato sul web la
discontinuità con Benedetto XVI. I censori però sono in errore…». A
questo punto Tornielli cita un testo dell’allora Cardinale Ratzinger che
c’entra come i cavoli a merenda con quello che è stato attribuito a
Papa Francesco. Lo riportiamo: «L’altra faccia dello stesso vizio è
il pelagianesimo dei pii. Essi non vogliono avere nessun perdono e in
genere nessun vero dono di Dio. Essi vogliono essere in ordine: non
perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero non speranza ma sicurezza. Con
un duro rigorismo di esercizi religiosi, con preghiere e azioni, essi
vogliono procurarsi un diritto alla beatitudine. Manca loro l’umiltà
essenziale per ogni amore, l’umiltà di ricevere doni a di là del nostro
agire e meritare. La negazione della speranza a favore della sicurezza
davanti a cui ora ci troviamo si fonda sull’incapacità di vivere la
tensione verso ciò che deve venire e abbandonarsi alla bontà di Dio.
Così questo pelagianesimo è un’apostasia dall’amore e dalla speranza, ma
in profondità anche dalla fede».
Forse Tornielli è stato tratto in inganno dal fatto
che sia Papa Francesco che il Cardinal Ratzinger hanno usato il termine
“pelagianesimo”, ma è evidente che la riflessione di Ratzinger non c’entra niente con quanto attribuito a Papa Bergoglio.
Ratzinger ha parlato dell’ atteggiamento interiore di
chi pretende un “diritto alla beatitudine”, confidando non più nella
misericordia di Dio, ma nelle proprie opere. Interessante che tra le
opere del pio pelagiano, Ratzinger elenchi esercizi religiosi, preghiere
e azioni, come a dire che il pelagiano rovina tutto quello che fa,
perché in lui manca l’atteggiamento fondamentale di umiltà. Il
pelagianesimo è una vera piaga, ma – si direbbe oggi – trasversale, che
non riguarda un solo “partito ecclesiale”. Chiunque può incappare in
questo problema: si può pretendere un diritto alla salvezza attraverso
l’esecuzione di preghiere, pratiche di penitenza, opere di carità. Si
possono esibire a Dio i propri “meriti” ascetici, mistici, caritatevoli.
Persino l’andare verso i poveri, giustamente tanto raccomandato da Papa
Francesco, non è esente da questo rischio: si può cadere nel pericolo
di ritenersi a posto perché si fa un po’ di bene, perché si aiuta
qualcuno, o persino perché si dedica l’intera esistenza a servizio dei
bisognosi, ma alla fine si dimentica che, parafrasando il Vangelo, siamo
servi inutili: abbiamo fatto semplicemente quello che dovevamo e non
per questo possiamo ritenerci “a posto” con Dio.
Le parole attribuite a papa Bergoglio bollano delle pratiche religiose, che di per sé sono sacrosante,
con un pressapochismo incredibile (per questo, in mancanza delle parole
precise di tutta la conversazione, è meglio tacere anziché arrampicarsi
sui vetri, per provare un’ermeneutica della continuità su ogni parola
che esce dalla bocca del Papa): quelle parole mettono in un bel
calderone il pre-concilio, bollandolo di essere tout court
pelagiano. Anzi: rilanciano precisamente l’ermeneutica della rottura,
contrapponendo un “prima del Concilio”, come qualcosa di vecchio e
logoro, con un post- Concilio, come l’unica cosa di cui tener conto.
Dire che un certo gruppo “restaurazionista” è l’emblema di questa
mentalità pelagiana, solo per il fatto che sarebbe rimasto fermo a
sessant’anni fa, a prima del Concilio, solo per una pratica di devozione
che ha la “colpa” di aver contato i Rosari pregati, significa lasciar
passare l’idea che prima del Concilio erano quasi tutti pelagiani.
Inoltre le parole riportate da Reflexión y Liberación stigmatizzano una pratica che è sempre stata incoraggiata nella Chiesa e che non è mai venuta meno.
Mi riferisco a tutte quelle belle iniziative di pietà che vanno sotto il nome di bouqet spirituali,
crociate eucaristiche, crociate del Rosario, tesori spirituali, etc.,
iniziative non raramente partite da santi ed incoraggiate da Vescovi. Mi
viene in mente, per esempio, il beato don Edoardo Poppe, che diffuse la
Crociata eucaristica dei ragazzi, fortemente incoraggiata dal Card.
Mercier e da lui additata come esempio da seguire in tutte le
parrocchie. Ora questa Crociata aveva come componente imprescindibile il
Tesoro spirituale; i ragazzi dovevano cioè scrivere quante comunioni
spirituali avevano fatto, quanti momenti di silenzio, quante Comunioni
sacramentali, quante preghiere, e così via. Dovevano scriverlo dentro
apposite caselle, dovevano cioè “tenere la contabilità” e poi spedirle
al Cappellano. Che cos’era: un’educazione al pelagianesimo?
Questa pratica continua anche oggi da diverse parti, con notevoli frutti spirituali.
Aderiscono volentieri ad iniziative di maldefinita “contabilità
spirituale” molte persone semplici, lontane da appartenenze di destra o
di sinistra ecclesiastica, che rispondono semplicemente ad appelli di
preghiera per implorare dal Buon Dio grazie per la Chiesa, per la
nazione, per evitare disgrazie, e via di seguito. Cosa c’è di pelagiano
in tutto questo? Perché tutto questo oggi non dovrebbe più esistere? In quale testo in Concilio Vaticano II avrebbe proibito queste pratiche di pietà?
Altra domande: possibile che qualunque cosa dica o si
presume che dica il Papa dev’essere accolta insindacabilmente, come se
debba divenire la norma di tutta la Chiesa? Ammettiamo che il Papa abbia
effettivamente detto quelle cose; ebbene, dei quattro gradi
magisteriali, ai quali corrisponde un diverso grado di assenso, quale
occuperebbe un discorso privato a braccio del Papa? Grazie a Dio, la
Chiesa concede di poter dissentire, pur con tutto il rispetto e la
deferenza dovuta all’autorità che le pronuncia, dalle opinioni private
dei Papi. Perché allora prendersi la briga di dover ostentare la
continuità in ogni cosa?
Ultima annotazione. Tornielli scrive: «Molto
interessante è anche la seconda delle preoccupazioni espresse da
Francesco, che sembra richiamare pronunciamenti della Congregazione per
la dottrina della fede contro filosofie e correnti di pensiero che
finiscono per «svuotare» l’incarnazione». Il riferimento è al secondo
pericolo citato nel discorso, quello cioè della corrente gnostica. Bene.
Se Tornielli vede in ciò un aggancio con gli interventi della CdF su
questo aspetto, e dunque per l’ennesima volta la prova della continuità
di Papa Francesco con il Magistero che lo precede, allora bisognerebbe
anche capire come conciliare questo richiamo con un’espressione,
riportata sempre da Reflexión y Liberación, che invece invita sostanzialmente a fare spallucce, di fronte ai richiami della CdF:
«Aprite le porte, aprite le porte… Faranno errori, combineranno un
guaio: passerà! Forse vi arriverà anche una lettera della Congregazione
della Dottrina della Fede, dicendovi che avete detto tale cosa o
tal’altra… Ma non preoccupatevi. Spiegate quello che dovete spiegare, ma
andate avanti…».
Buon lavoro al vaticanista.
di Luisella Scrosati
Mia moglie ha la bella iniziativa di pregare dei Rosari per una intenzione precisa in un numero preciso.
RispondiEliminami ritrovo una pelagiana in casa e non lo sapevo. L'eretica è la mia sposa e magari se vado da qualche zelante vescovo mi concede l'annullamento del matrimonio