ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 20 giugno 2013

S-communicatio in sacris?: tranne che coi tradizionalisti!


Chiesa cattolica ed evangelici, le divisioni scrutate da Papa Francesco



Chiesa cattolica ed evangelici, le divisioni scrutate da Papa Francesco
Proprio ieri mattina, durante l’udienza generale in piazza San Pietro, Papa Francesco ha raccontato che prima di uscire da Santa Marta si era intrattenuto a pregare “quaranta minuti più o meno” con un pastore evangelico. “Abbiamo pregato insieme, cercando l’unità”. Nelle stesse ore, a Berlino, la Chiesa evangelica di Germania presentava l’atteso documento sulla politica familiare da perseguire nei prossimi anni. Una sorta di programma racchiuso in 162 pagine che, come riporta il sito Vatican Insider, ha richiesto un lavoro di tre anni.


Allargare il concetto di famiglia
Il contenuto del paper è chiaro e rappresenta una svolta: il concetto di famiglia va allargato e va separato dall’istituto del matrimonio. La famiglia, si legge ancora, è costituita dai “genitori (uno o due) con i loro figli carnali, adottivi o in affidamento”, ma anche da quelle formatesi in seguito a un divorzio o seconde nozze. Il punto più controverso, però, è un altro: per la Chiesa evangelica tedesca, infatti, famiglia sono anche le coppie senza figli e le coppie omosessuali. Una posizione sui generis, tanto che il quotidiano Die Welt sottolinea come una tale presa di posizione non faccia altro che allontanare la chiesa riformata dall’idea di matrimonio come legame indissolubile. Il presidente della Chiesa evangelica di Germania, Nikolaus Schneider dice che “bisogna prendere atto della realtà”, dal momento che “oggi la famiglia esiste in forme molto diverse”.
Un dialogo difficile
Tesi inconciliabili con la dottrina cattolica e che rappresentano un serio ostacolo sulla strada del dialogo invocato ancora ieri dal Papa. E tutto ciò accade proprio nei giorni in cui a Ginevra la chiesa di Roma e la federazione luterana mondiale firmano un documento unitario, “Dal Conflitto alla Comunione”, in cui si fissano cinque imperativi economici per superare le incomprensioni reciproche risalenti alla frattura del 1517.
La prudenza di Francesco
E’ sulla morale, dunque, che la Chiesa cattolica e quella evangelica di Germania rischiano di vedere aumentare la distanza che le separa. Francesco non ne ha parlato ieri né con ogni probabilità lo farà nei prossimi giorni. Come sui grandi principi non negoziabili, preferisce mantenere un profilo basso. Lo si è appurato anche domenica scorsa in piazza San Pietro,durante l’omelia per la celebrazione dell’Evangelium Vitae, la grande enciclica sociale del 1995 promulgata da Giovanni Paolo II dedicata all’affermazione della sacralità della vita. Il Papa si è limitato a un solo accenno a quel testo e mai ha citato le parole aborto ed eutanasia come avevano fatto tante volte i suoi predecessori. La continuità con Wojtyla e Ratzinger non è in dubbio, basta leggere gli scritti dell’allora cardinale Bergoglio. E ancora il giorno prima, ricevendo una delegazione di parlamentari francesi, aveva ricordato che tra i loro compiti ‘c’è anche quello di abrogare le leggi”. Un riferimento che molti hanno rapportato al controverso provvedimento legislativo promosso dal ministro Taubira che legalizza le unioni omosessuali. Anche in questo caso, però, Francesco ha usato cautela.
Continuità con i predecessori, ma stile diverso
La differenza è di stile: per il momento, Francesco preferisce lasciare campo alle conferenze episcopali nazionali, scriveva lunedì scorso sul Corriere della Sera Luigi Accattoli. Non vuole intervenire in modo diretto, forse per non “tirare pugni nello stomaco di chi non la pensa come lui”, diceva in un’intervista al Foglio il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini.

La via di Papa Francesco per l’unità dei cristiani

La via di Papa Francesco per l’unità dei cristiani
Superare le divisioni che danneggiano la Chiesa. Più chiaro di così, Papa Francesco, non poteva esserlo. Anche stamattina, nella consueta e seguitissima – oltre 50 mila i fedeli presenti in San Pietro, nonostante il gran caldo romano – udienza del mercoledì, il Pontefice ha avuto parole di sprone nella ricerca di una via che porti le diverse comunità e confessioni a ritrovare la condivisione e l’unità in Cristo, di cui la Chiesa è il corpo vivente. I danni si ripercuotono su tutti, non solo all’interno del mondo cattolico, ma “tra le comunità: cristiani evangelici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici”. Per questo, è l’esortazione di Bergoglio, “dobbiamo cercare di portare l’unità”. Una sorta di catechesi contro gli egoismi e i personalismi come idoli del Terzo millennio, che portano lacerazioni allontanando la verità, e che il Papa sta seguendo ormai da diversi giorni.
La conferenza tra Chiesa cattolica e Federazione luterana mondiale
Così è difficile non collegare le parole di Francesco a quanto stabilito ieri in un documento congiunto (della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale (Lwf), in una conferenza tenuta a Ginevra per gli eventi celebrativi dei 500 anni della Riforma, che si svolgeranno nel 2017. E mentre il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, sottolinea che “la divisione nella Chiesa è qualcosa che non possiamo festeggiare”, e il responsabile per le relazioni cattolico-luterane dello stesso dicastero, monsignor Matthias Turk, intervistato da Radio Vaticana, specifica che “le ragioni che portano a divisioni nella Chiesa spesso si fondano su malintesi e su interpretazioni diverse dei medesimi contenuti di fede”; il reverendo Martin Junge, segretario della Lwf, conclude che “si tratta di un passo molto importante in un processo di guarigione di cui tutti abbiamo bisogno”.
Se questo possa portare a una qualche forma di integrazione o “riassorbimento” delle comunità luterane all’interno della Chiesa cattolica, sulla scia di quanto accaduto con gli anglicani d’Inghilterra, è difficile, e forse presto per dirlo. Ma certo il 2017 può essere una data simbolo da non lasciar passare invano e, come ricordava ancora il cardinale Koch in un preciso resoconto di Paolo Rodari sul Foglio meno di un anno fa, “se simili desideri verranno espressi dai luterani, allora toccherà rifletterci sopra. L’iniziativa tocca però ai luterani”. Il documento unitario presentato dalla Lwf suona quindi, ad oggi, come una buona base di partenza.
Del resto, molte cose potranno essere contestate alla Chiesa meno che non abbia impresso una svolta nel cosiddetto dialogo ecumenico all’interno della cristianità. Il 4 ottobre 2009, con la firma della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, che “prevede la possibilità dell’ordinazione di chierici sposati già anglicani, come sacerdoti cattolici”, attraverso l’istituzione di “ordinariati personali”, ovvero vescovi e prelati con competenza non territoriale, Benedetto XVI ha di fatto avviato la ricucitura dello scisma anglicano.
Il momento di rottura
La rottura con la chiesa di Roma era maturata nel 1534 per la volontà di re Enrico VIII di sposare in seconde nozze Anna Bolena, sua amante nonostante lui fosse legato da matrimonio con Caterina d’Aragona, e per il ferreo diniego di Papa Clemente VII a concedere l’annullamento, per ragioni canoniche e di opportunità: evitare di stuzzicare le ire di Carlo V (nipote di Caterina), protagonista pochi anni prima del cosiddetto “sacco di Roma” e della fuga del Pontefice a Castel Sant’Angelo. A seguito della costituzione apostolica del 2009 l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale William Levada, si era subito affrettato a dichiarare la casualità temporale della riapertura agli anglicani con l’avvio del dialogo con la Fraternità San Pio X.
Il rifiuto del Concilio Vaticano II
Infatti, dopo un primo positivo approccio tra la delegazione vaticana, incaricata di seguire il dossier, e i seguaci di monsignor Lefebvre, nell’ottobre del 2009, le acque si sono successivamente sempre più agitate, spingendo addirittura il nuovo prefetto dell’ex Sant’Uffizio Gerhard Mueller a dire che “il dialogo è finito”, che “sulla fede non ci sono trattative” e “non ci possono essere riduzioni della fede cattolica, tanto più se formulata validamente dal Concilio Vaticano II”. Ma proprio la difficoltà ad accettare l’ultimo Concilio come parte della tradizione della Chiesa, e il rifiuto di alcune posizioni in esso espresse (ecumenismo, collegialità, libertà religiosa, messa riformata, dialogo tra le religioni), è il principale punto di scontro con la Fraternità, oltre alle contestate, e ormai numerose prese di posizione sugli ebrei, da quelle del negazionista Williamson alle parole del superiore monsignor Bernard Fellay, che inserisce gli ebrei tra i “nemici della Chiesa”, assieme a massoni e modernisti. Ad oggi i lefebvriani, espulsi dalla Chiesa nel 1976, devono ancora inviare una risposta ufficiale alla versione definitiva del “Preambolo dottrinale”, che la Santa Sede vuole far loro accettare come precondizione per il ritorno nella piena comunione della Chiesa.
Cosa è cambiato e cosa cambierà
Dalla scadenza di una sorta di ultimatum per l’accettazione (il 21 febbraio), che Roma avrebbe loro rivolto, sono cambiate molte cose, a cominciare dal Papa, ma lo stallo permane. E non è escluso che la Santa Sede possa decidere di rivolgersi ai singoli sacerdoti della Fraternità.
Dal 13 marzo il fascicolo è passato nelle mani di Francesco. Il percorso è lungo e accidentato, ma chissà che intanto le parole sull’ “unità superiore ai conflitti” non abbiano fatto fischiare le orecchie a qualcuno.
Roberto Paglialonga



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