Che n'è del Primato di Pietro?
Veniamo ai fatti, a partire dall'inizio in sordina - per chi non fosse
addentro alla rivoluzione conciliare -, per finire all'atto scoperto
del 29 giugno 2013, nella Santa Messa e imposizione del pallio ai nuovi Metropoliti. [precedenti riflessioni] - [qui] - [qui] - [e qui]
... 3. Confermare nell’unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro» (ibid., 19). Confermare nell’unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E continua, il Concilio: «questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio» (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione. [Privilegia il termine "Sinodo" in luogo di "Collegio"] (*)
Per comprendere questa enfasi sulla collegialità - trasformata
addirittura in sinodalità - dobbiamo partire dai documenti conciliari,
nei quali è facile trovare anche solo spigolando, disseminati a volte in
maniera apparentemente 'casuale', elementi dissonanti e non
condivisibili perché in rottura con la Tradizione; rottura a volte
palese, a volte in nuce e riconoscibile solo dagli effetti che
ora sono sotto i nostri occhi. Rottura che spesso contrasta con le
affermazioni di principio iniziali, che risultano vanificate dalle
eccezioni che, nella successiva applicazione operata dai solerti
conciliari all'opera nella Chiesa ai più alti livelli, sono diventate la
regola.
Prima di riportare di seguito, nei "Prodromi", uno stralcio della riflessione che ho già fatto sulla collegialità, legandone le insidie a quelle della cosiddetta chiesa-comunione, riepilogo brevemente gli atti che ne mostrano la graduale ma sempre più incisiva applicazione, della quale oggi assistiamo ad una pietra miliare dagli effetti certamente dirompenti: sembra un'accelerazione della costituzione di una Chiesa "altra" da quella che la Tradizione bimillenaria ci ha consegnato.
Prima di riportare di seguito, nei "Prodromi", uno stralcio della riflessione che ho già fatto sulla collegialità, legandone le insidie a quelle della cosiddetta chiesa-comunione, riepilogo brevemente gli atti che ne mostrano la graduale ma sempre più incisiva applicazione, della quale oggi assistiamo ad una pietra miliare dagli effetti certamente dirompenti: sembra un'accelerazione della costituzione di una Chiesa "altra" da quella che la Tradizione bimillenaria ci ha consegnato.
- 21 novembre 1964: nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, la collegialità è introdotta al n.22. Nel documento il termine "collegio" ricorre 5 volte, quello collegialità 10; nel Vangelo nessuna. La famosa Nota Explicativa praevia - redatta
su indicazione del card. Ottaviani nell'intento di correggere le
incongruenze che erano state prontamente rilevate - è stata regolarmente
ignorata e dunque disattesa.
- Paolo VI depone la Tiara. Vi rimando dai link a questo documento ed a questo successivo nei quali la lettura dei fatti, che ora sembrano aver raggiunto un nuovo culmine, andava dipanandosi.
Ne stralcio qui: La Tiara o Triregno, indossata dai Papi al momento dell'incoronazione fin quando non fu deposta da Paolo VI, reca tre corone a significare le tre potestà: coelestium, terrestrium, et infernorum. Veniva imposta dal proto-diacono, proferendo a voce alta e vibrata le famose parole: Accipe Tiaram tribus coronis ornatam, et scias Te esse Patrem Principum et Regum, Rectorem Orbis, in terra Vicarium Salvatoris N. J. C. cui est honor et gloria in saecula saeculorum (Ricevi la Tiara ornata di tre corone, e sappi che Tu sei Padre dei Principi e dei Re, Reggitore del mondo, Vicario in terra del Salvator Nostro Gesù Cristo, cui è onore e gloria nei secoli dei secoli). Detta alle origini semplicemente Regno, risulta consegnata da Costantino a Papa Silvestro, a significare la signoria della Chiesa alla fine delle persecuzioni cui erano stati fino allora sottoposti i cristiani. La seconda corona fu aggiunta da Bonifacio VIII e la terza da Benedetto XII.
La deposizione della Tiara da parte di Paolo VI, fu attuata solo nella prassi e mai codificata se non con un cambiamento, sempre di prassi, sancito da Giovanni Paolo II.
Sono a conoscenza di un dato storico proveniente da una testimonianza dell'allora protodiacono, card. Di Jorio. Quando Paolo VI manifestò l'intenzione di deporre la Tiara, non gli fu possibile farlo con una cerimonia come avrebbe voluto perché i cardinali-diaconi gli dissero: « Noi gliel'abbiamo imposta, noi non gliela leveremo ». E dunque egli entrò in Basilica portandola in mano e andò a deporla sotto l'Altare della Confessione... Ma oggi, di fatto la Tiara non c'è più, se non nei simboli custoditi dalle pietre e dalle vestigia storiche che ci tramandano il respiro di una fede millenaria. - Giovanni Paolo II trasforma la collegialità in legge, inserendola nel nuovo Codice di Diritto Canonico (Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983)
- Benedetto XVI attua la collegialità in maniera soft, ma efficace, con una certa desistenza dal governo a favore di una maggiore responsabilizzazione dei vescovi. Come atto conclusivo, 'depone' la giurisdizione. [vedi qui] - [e qui] Che senso può avere che non abbia voluto modificare lo stemma?
- 13 marzo 2013: Francesco depone tutti i simboli; 13 aprile 2013: "Consiglio della corona"/29 giugno 2013: rende operante la collegialità e apre indiscriminatamente ad eretici e scismatici
I prodromi
Il 21 novembre 1964, per la chiusura del terzo periodo del Concilio ecumenico,
Paolo VI afferma: « la Chiesa non si compone soltanto della sua
struttura gerarchica, della sacra liturgia, dei sacramenti, dei suoi
organismi » e cita la mistica unione con Cristo; ma poi, secondo una
nuova visuale, traccia sostanzialmente il passaggio da una Chiesa, vista
come gerarchica, come società perfetta, a una Chiesa vista come
comunione di fratelli. Da una Chiesa vista come sempre tesa a difendere i
suoi spazi e i suoi diritti, a una Chiesa che vuole essere solo lievito
nella pasta. Lievito all’interno delle sue strutture, lievito
all’interno delle altre religioni. Da una Chiesa vista come chiusa in se
stessa preoccupata della sua conservazione – ma così era realmente? –
a una Chiesa come comunità aperta al mondo, popolo di Dio in cammino.
Un principio che gli sembrò doversi esplicare in quanto fin allora
implicito nell’ecclesiologia cattolica fu quello della collegialità,
divenuto uno dei maggiori criteri di riforma della Chiesa.
Il problema nasce dalla contraddizione tra la democratizzazione che
scaturisce da questa nuova visione di Chiesa e la sua costituzione
divina. Viene inadeguatamente applicato alla Chiesa il principio che
regola le comunità civili, ignorando la differenza tra esse e Chiesa di
Cristo: le comunità civili prima si pongono in essere e poi si danno e
formano il proprio governo. In ciò esercitano la loro libertà, mentre in
esse stesse si fonda originariamente e fontalmente ogni giurisdizione
comunicata alle autorità sociali. Al contrario, la Chiesa non si è data
da se stessa né ha formato da sé stessa il suo governo, ma è stata
fondata in toto da Cristo il cui disegno preesiste all’esistenza stessa
dei fedeli. La Chiesa è dunque una società sui generis in cui il capo è
anteriore alle membra e l’autorità viene prima della comunità.[1]
Quindi una dottrina che ponga la sua base nel popolo di Dio
democraticamente concepito e nel sentimento e nell’opinione del popolo
di Dio, è antitetica a quella della Chiesa dove l’autorità non è
chiamata ma chiama, e dove tutti i membri sono servi di Cristo,
obbligati al precetto divino.
Sui poteri del Pontefice e sul suo rapportarsi alla collegialità dunque molto influisce l’ambiguità della Lumen Gentium alla quale Paolo VI, messo sull'avviso dai Padri del Coetus Internationalis Patrum, cercò di rimediare con la Nota Praevia
stesa sotto la supervisione del Cardinal Ottaviani. E tuttavia tale
nota, con molta coerenza progressista posta in calce alla Costituzione,
viene sistematicamente "saltata" essendo, appunto, "praevia"...
La Chiesa è per sua natura gerarchica. E il Papa (CIC, can.331), in
virtù della sua funzione di Vicario di Cristo, ha nella Chiesa un potere
ordinario supremo, pieno, immediato e universale, che può sempre
esercitare liberamente. Il potere gli deriva dalla sua funzione e non da
una sorta di presidenza del collegio episcopale. Del resto, il can.
1404 recita: Prima Sedes a nemine iudicatur.
La dottrina del Vaticano I e del Vaticano II nella Nota praevia
definisce il Papa principio e fondamento dell’unità della Chiesa,
giacché è conformandosi a lui che i vescovi si conformano tra di loro.
Non è possibile poggino la loro autorità su un principio immediato che
sarebbe comune alla loro potestà e a quella papale. Ora con
l’istituzione delle Conferenze episcopali e con gli organismi Sinodali
la Chiesa è un corpo policentrico a vari livelli nazionali o provincie
locali. Conseguenza immediata è un allentamento del vincolo di unità che
si manifesta con ingenti dissensi su punti gravissimi.
La nuova ecclesiologia conciliare sancita da Lumen Gentium si
armonizza con la “Pastor æternus” circa la giurisdizione universale del
Romano Pontefice (n.18), però azzarda un avventuroso allargamento di
questa mediante la dottrina della collegialità vescovile come organo di
governo accanto e analogo a quello del Sommo Pontefice (nn.19, 22).
Nonostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che «
dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino
ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte ».
Lumen Gentium, al n.19 dichiara: « Il Signore Gesù, dopo aver
pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì
dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di
Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc
6,13) dando loro la forma di collegio…»
Non mancano perplessità, nelle posizioni più tradizioniste, se si pensa che il termine “collegio” per designare l'episcopato non ricorre né nella Sacra Scrittura né nella Tradizione della Chiesa antica. Apostoli vuol dire ‘mandati’: il Signore li manda due a due non in "collegio"... C’è anche da osservare che il “collegio” si fonda su una potestà giuridica e morale, mentre si diviene vescovi per via sacramentale, ovvero mediante un quid che è nel contempo fisico e mistico come lo è l'unità della Chiesa.
La collegialità, per effetto della creazione di strutture sovra
diocesane come le Conferenze Episcopali, rischia di diminuire non solo
l'autorità del pontefice ma anche quella dei singoli vescovi nelle loro
diocesi. Inoltre non è peregrina l'osservazione che se i vescovi, per
diritto divino, costituiscono un vero e permanente collegio in senso
stretto, con a capo il romano pontefice, ne deriva come prima e non
unica conseguenza che la chiesa in modo abituale dovrebbe essere
governata dal Papa con il collegio episcopale. In altre parole, il
governo della Chiesa, per diritto divino, non sarebbe monarchico e
personale, ma collegiale. È Giovanni Paolo II che ha inserito la
collegialità nel nuovo Codice di Diritto Canonico trasformandola così in
legge (Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983).
In effetti si manifesta una duplice inconciliabilità nel principio del
rapporto tra Primato e collegialità. Basti pensare alla tesi dell’unico
soggetto (collegio dei vescovi e romano pontefice) e i dati del
magistero che, pur senza posizioni dichiarative parlano di due distinti
soggetti (LG 22). All’interno stesso di questa suddivisione, la stessa
inconciliabilità si coglie tra le esigenze metafisiche dell’autorità
nella vita sociale e la realtà ecclesiale compresa alla luce della
rivelazione cristiana.
Lumen Gentium, al n. 22 evidenzia una tensione che, ultimamente,
manifesta la difficoltà di « collocare all'interno di una concezione
collegiale del ministero episcopale che scaturisce da un'ampia
prospettiva storico-salvifica della Chiesa come communio la
dottrina del Vaticano I, la quale si distingue per una visione della
Chiesa apologetica, giuridica e astorica ed inoltre concentrata sul
Papa »[2].
La Chiesa in tutte le epoche risente di -ismi di vario genere, dai quali la sua, che è anche la nostra, storia terrena non è mai esente. Ma assolutizzare certi aspetti per giustificare la rivoluzione Copernicana operata dal concilio è stata un’operazione prevenuta e ideologica. Di certo era necessario aggiornare ciò che era rinnovabile e meglio organizzabile, non rifondare la Chiesa.
Si pretende dunque che la visione Chiesa-comunione sia la scoperta del Vaticano II e vada a sostituirsi a quella di società perfetta ed oggi appare dominante come se più vicina alle assonanze bibliche specificamente neotestamentarie, come se potesse finalmente sintetizzare alla perfezione tutto il rapporto con Dio fino al concilio non esattamente compreso. Ma il rischio più grande è quello di ricondurre tutto ad un'interpretazione puramente psico-sociologica, ai bisogni e alle attese umane. Acquista valore la Chiesa locale, come se l’universalità della Chiesa e tutto il suo mistero prima del concilio non le appartenesse a pieno titolo.
Possibile che nessuno abbia mai detto a costoro che la Chiesa, fin dal suo nascere ad opera del Salvatore, se non fosse stata e rimasta “comunione” dei Suoi in Lui, non sarebbe mai stata LA Chiesa?
________________________________
1. Romano Amerio. Iota unum, Lindau 2009, 470
2. H. Rikhof, Il vaticano II e la "collegialità episcopale", 26
(*) Nota Magister sul suo Blog Settimo cielo: " ...Non è la prima volta che papa Jorge Mario Bergoglio fa capire d’essere intenzionato a rafforzare il ruolo del sinodo dei vescovi.
Ma questa volta si è espresso oralmente in una forma che – se messa per iscritto in anticipo – avrebbe fatto alzare il sopracciglio a qualche revisore della congregazione per la dottrina della fede. Perché un sinodo dei vescovi, istituto parziale e transeunte, non è la stessa cosa del collegio episcopale universale, costitutivo da sempre e per sempre della struttura della Chiesa". [...]
La Chiesa in tutte le epoche risente di -ismi di vario genere, dai quali la sua, che è anche la nostra, storia terrena non è mai esente. Ma assolutizzare certi aspetti per giustificare la rivoluzione Copernicana operata dal concilio è stata un’operazione prevenuta e ideologica. Di certo era necessario aggiornare ciò che era rinnovabile e meglio organizzabile, non rifondare la Chiesa.
Si pretende dunque che la visione Chiesa-comunione sia la scoperta del Vaticano II e vada a sostituirsi a quella di società perfetta ed oggi appare dominante come se più vicina alle assonanze bibliche specificamente neotestamentarie, come se potesse finalmente sintetizzare alla perfezione tutto il rapporto con Dio fino al concilio non esattamente compreso. Ma il rischio più grande è quello di ricondurre tutto ad un'interpretazione puramente psico-sociologica, ai bisogni e alle attese umane. Acquista valore la Chiesa locale, come se l’universalità della Chiesa e tutto il suo mistero prima del concilio non le appartenesse a pieno titolo.
Possibile che nessuno abbia mai detto a costoro che la Chiesa, fin dal suo nascere ad opera del Salvatore, se non fosse stata e rimasta “comunione” dei Suoi in Lui, non sarebbe mai stata LA Chiesa?
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1. Romano Amerio. Iota unum, Lindau 2009, 470
2. H. Rikhof, Il vaticano II e la "collegialità episcopale", 26
(*) Nota Magister sul suo Blog Settimo cielo: " ...Non è la prima volta che papa Jorge Mario Bergoglio fa capire d’essere intenzionato a rafforzare il ruolo del sinodo dei vescovi.
Ma questa volta si è espresso oralmente in una forma che – se messa per iscritto in anticipo – avrebbe fatto alzare il sopracciglio a qualche revisore della congregazione per la dottrina della fede. Perché un sinodo dei vescovi, istituto parziale e transeunte, non è la stessa cosa del collegio episcopale universale, costitutivo da sempre e per sempre della struttura della Chiesa". [...]
sabato 29 giugno 2013
La discontinuità: cioè la devirilizzazione della Liturgia e del sacerdozio nel Novus Ordo Missae
Stavo traducendo il testo che segue, ripreso da Rorate Caeli in quanto interessantissimo; ma mi sono appena accorta che ha già fatto un grande lavoro Esistenzialmente periferico. E dunque ne approfitto e lo pubblico anche qui, con molta gratitudine, con alcune integrazioni iniziali:
1. C'è un grande articolo di don Richard G. Cipolla sulla "devirilizzazione" della liturgia Novus Ordo:
che non ho il tempo di tradurre, ma di cui prendo appunti qui sotto.
Ciò a cui il cardinale si riferiva risiede nel nucleo stesso della forma Novus Ordo della Messa romana e nei scottanti e profondi problemi che hanno afflitto la Chiesa a partire dall'imposizione del Novus Ordo Missae
nel 1970. Si potrebbe essere tentati di cristallizzare la constatazione
del card Heenan come femminilizzazione della liturgia. Ma questo
termine sarebbe inadeguato e alla fine ingannevole dato che esiste un
aspetto mariano autentico della Liturgia che è senza dubbio femminile.
La liturgia porta la Parola di Dio, la liturgia offre il Corpo della Parola all'Adorazione e lo dà come Cibo.
venerdì 28 giugno 2013
Una Chiesa lacerata
Questo è quanto ho scritto sul Blog di Raffaella che riporta la lettura veramente dura e di totale chiusura di Cantuale Antonianum della Dichiarazione della FSSPX,
redatta in occasione del 25° anniversario delle ordinazioni da parte di
Mons. Lefebvre. Mi verrebbe da confutare punto per punto la stroncatura
di Cantuale; ma, credetemi, in questo momento prevale l'estenuazione per
la totale inutilità delle parole spese finora e da nessuno ascoltate e
la sofferenza per questa dicotomia che rischia di divenire, Dio non
voglia, incolmabile. E dunque, anche qui, mi limito a queste poche righe
essenziali, perché la vicenda e la situazione è quanto mai dolorosa e
anche pregiudizievole per la Tradizione e per la Chiesa tutta. Penso che
non ci resti che la preghiera e l'attesa. Da rilevare, che dai comunicati sia della Fraternità che della S. Sede la questione non è stata considerata comunque chiusa.
Io non aderisco alla FSSPX, ma amo la Tradizione "evolutiva"(1), che è "viva" - oltretutto non preconciliare soltanto, ma con tutti gli ineludibili 'distinguo' - e non "vivente" in senso storicistico : cioè mutevole secondo i tempi; cosa che Cantuale non coglie affatto nella sua 'lettura' preconcetta della dolorosa vicenda.Oltretutto, chi ha seguito da vicino l'evolversi della situazione, conosce che non c'è stato nessuno "schiaffo" al Papa, ma che la regolarizzazione canonica è mancata all'ultimo minuto, proprio il giorno della firma, per una inattesa stretta di freni del Card. Levada (leggi Curia ostica tanto nei confronti della FSSPX quanto di Benedetto) che ha posto un nuova inedita condizione inaccettabile.A me spiace che la Fraternità non abbia potuto cogliere quella opportunità perché oggi il fossato sembra ancora più grande, soprattutto se si leggono le varie sottolineature di Cantuale che si capisce come colgano le sfumature più ostiche e da un punto di vista davvero preconcetto.Soffro, come tanti, soprattutto per la dicotomia che si è creata nella Chiesa anche e purtroppo a prescindere dalla FSSPX e non mi resta che la preghiera e una fiduciosa (nel Signore) attesa.__________________
1. "Evolutiva", nel senso di autentico aggiornamento, che riguarda le contingenze e non certo le essenze. Mons. Gherardini parla, più propriamente, di sana “ermeneutica teologica evolutiva”.
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