La vera enciclica papa Francesco la pubblicherà l’anno prossimo e sarà sulla povertà. Perché questo è il tema che maggiormente gli sta a cuore nel momento in cui la crisi attanaglia a livello planetario i poveri e gli impoveriti. Non a caso il segretario papale, don Xuereb, commentando la visita a Lampedusa, ha detto: “Mentre a Nord ci sono i ricchi che sprecano, dall’altra parte c’è un Sud che lascia tutto per tentare la fortuna e spesso trova la morte”. Lumen Fidei, l’enciclica scritta a quattro mani con l’ex pontefice Ratzinger – Francesco lo riconosce espressamente nell’introduzione – è invece un atto politico.
Benedetto XVI aveva lasciato l’enciclica incompiuta e si trattava di neutralizzare ogni eventualità, anche la più lieve, che restasse traccia di un magistero bipolare. La “parola” dell’ex contro le “parole” del pontefice regnante.
Francesco aveva e ha altri programmi. Rimodellare a fondo lo Ior, riorganizzare la Curia, riformare il Sinodo dei vescovi, mettere in piedi un meccanismo di governo collegiale con l’episcopato. Ma Ratzinger ha avuto la poco felice idea di inventarsi il titolo di “papa emerito”, pretendendo la veste bianca invece di indossare il saio grigio da monaco e di chiamarsi solo – nobilmente – “padre Benedetto”. E allora Bergoglio ha dovuto affrontare in questi mesi anche questo problema. Ha spiegato che Benedetto XVI, abdicando, ha ascoltato la voce del Signore, lo ha abbracciato come un fratello in pensione, lo ha messo sullo stesso inginocchiatoio a Castel Gandolfo, ieri se lo è portato insieme alla benedizione di una statua dell’arcangelo Michele all’interno del Vaticano, e dunque l’enciclica scritta a quattro mani (un inedito assoluto nella storia dei papi) è un modo affettuoso ed elegante di chiudere la partita. Seppellendo ogni ombra di dualismo papale.
Nel testo le mani diverse si notano. Ratzinger cita Nietzsche e Dostoevskij, discetta sulla debolezza della ragione che non produce luce abbastanza quando nega la fede.
Bergoglio insiste sull’impegno paziente a perdonare, sulla fede come “lampada che non è una luce
che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi”. Suo è, insomma,l’approccio piano e conversevole che affascina i pellegrini in San Pietro. “Cammino” è una delle sue parole chiave. E dunque il “credente non è arrogante”, la fede lo stimola alla “testimonianza e al dialogo con tutti”. La fede non deve nemmeno unicamente “servire a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta a edificare le nostre società”, favorisce un cammino verso un futuro di speranza. Nota il vescovo teologo Bruno Forte (in un libro di commento edito da “La Scuola” con il contributo anche del filoso umanista agnostico Salvatore Natoli) che per Francesco il credente non può mai chiudersi nel proprio “Io”, disinteressandosi del bene comune.
Ma d'altronde questa era anche la posizione di Benedetto XVI fin dalla sua prima enciclica Deus
Caritas est.
Nel sostenere il legame inscindibile tra verità e amore, Ratzinger e Bergoglio si
incontrano. “Senza amore – è detto nell’enciclica Lumen Fidei che avvia a conclusione l’anno della fede – la verità diventa fredda, impersonale, oppressiva”. Ma in ultima analisi Francesco non ama “ragionare” di fede. Ama fondamentalmente – e credenti e non credenti lo hanno subito colto – un cristianesimo realmente praticato con solidarietà e misericordia. Ecco perché nell’enciclica (al di là di citazioni enciclopediche tradizionali anche sull’amore coniugale tra uomo e donna) vengono esaltati come esempi San Francesco e Teresa di Calcutta. Perché nei lebbrosi e nei poveri “hanno capito il mistero che c’è in loro”. Quello che conta per il papa argentino è una fede che insegna al cristiano a riconoscere il volto di Dio “attraverso il volto del fratello”. C’è molta inquietudine in vasti settori conservatori del cattolicesimo – non solo in alcuni settori vaticani – per il nuovo corso, per il rivolgimento, verso cui Bergoglio sta portando passo dopo passo la Chiesa. Bergoglio vuole traghettare l’enorme struttura ecclesiastica dal cattolicesimo imperiale romanocentrico a una Chiesa-comunità.
Proclamando santi in autunno Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, rilancia le idee guida del Concilio e chiude simbolicamente l’epoca delle discussioni (e delle repressioni) del dopo-Concilio. “La fede – sancisce nell’enciclica – non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la
dilatazione della vita”.
Questo coraggio del futuro spaventa i conservatori, timorosi di cambiamenti troppo grandi. Perciò
insistono nel dire nei corridoi vaticani che la “Chiesa è sempre la stessa, mentre ogni papa ha il suo stile personale”. Non si tratta di stile. Si tratta di obiettivi.
Bergoglio lavora per il cambiamento.
Prossima tappa: la nomina del segretario di Stato e del ministro degli esteri. Poi, forse, un
allargamento del consiglio della corona degli otto cardinali. Ma il terrore più grande lo provano in
Curia i monsignori citati per motivi di carrierismo, sesso e corruzione nel grande dossier segreto su Vatileaks. Il papa che ha decapitato lo Ior, non avrà timore di far cadere la testa di qualche prelato.
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201307/130706politi.pdf
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