Intervento sì o no? Le diplomazie dei cristiani del medio oriente si muovono preoccupate. E in ordine sparso
I no della chiesa russa e i timori del patriarca dei maroniti. Il dramma copto e la prudenza del Vaticano tra realismo e umanitarismo. Re Abdallah incontra Francesco
“Ancora una volta, come nel caso dell’Iraq, gli Stati Uniti si comportano da giustizieri internazionali”, dice al sito Asianews il metropolita Hilarion, presidente del dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. “Ancora una volta, migliaia di vittime saranno sacrificate sull’altare di un’immaginaria democrazia. Primi fra tutti, i cristiani, che rischiano di diventare gli ostaggi principali della situazione e le principali vittime delle forze estremiste radicali, che con l’aiuto degli Stati Uniti andranno al potere”. E’ chiara la posizione della chiesa ortodossa russa riguardo la reazione annunciata lunedì dal segretario di stato americano, John Kerry, all’attacco con armi chimiche sferrato la scorsa settimana nella periferia di Damasco. Una posizione, tradizionalmente e prevedibilmente, succube alla linea politica della Russia e incapace di analisi più articolate della situazione dei cristiani mediorientali. A Mosca non vogliono sentire ragioni: l’attacco, grande o piccolo che sia, più o meno esteso, con o senza mandato Onu, non s’ha da fare.
A Roma, invece, le posizioni sono più sfumate. I toni meno perentori di quelli usati da Hilarion. Certo, l’Osservatore romano lunedì denunciava come “le voci di un intervento armato dei paesi occidentali si stiano facendo sempre più insistenti e meno frenate da doverosa prudenza”, e il patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, continua a scongiurare interventi in Siria, perché “a pagare il prezzo più alto sarebbero sempre i cristiani”. Il copione, aggiungeva qualche giorno fa a Radio Vaticana il porporato libanese, è il solito: “Quando si verifica il caos o quando c’è una guerra, in generale i musulmani si scatenano contro i cristiani, come se i cristiani fossero sempre il capro espiatorio”. Un esempio? Si guardi “all’Egitto, dove sono stati i Fratelli musulmani ad attaccare le chiese dei copti e i copti stessi”. Il problema, diceva Raï, “è la mentalità di certi musulmani, che attaccano i cristiani senza nemmeno sapere il perché”.
Eppure, nella realtà cattolica, non tutti sono disposti a mantenere un profilo prudente, in attesa degli eventi e degli sviluppi decisi dalle cancellerie. Lo dimostra l’intervento duro – e in qualche modo inusuale per un diplomatico – del nunzio a Damasco, mons. Mario Zenari: “Io in questi ultimi giorni, vedendo quelle terribili immagini che ci hanno tutti sconvolti, sentivo il grido di questi bambini, di queste vittime innocenti, questo grido verso il Cielo e un grido verso la comunità internazionale. Non possiamo rimanere muti così, di fronte a questo grido, a questo appello”, spiegava a Radio Vaticana Zenari. “Dobbiamo fare in modo che non si ripetano mai più, mai più!, questi crimini, questi massacri. La comunità internazionale deve fare di tutto perché non si vedano più queste immagini che ci hanno sconvolto”. A ogni modo, spiega il nunzio in Siria, “bisogna trovare i mezzi più adatti e più opportuni, che non complichino la situazione”, ma è chiaro che “qui la gente è stufa”. Calma, predica invece da Ginevra l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu: “Mi pare che per arrivare a una giusta soluzione si debba evitare una lettura parziale della realtà della Siria e del medio oriente in generale. Ho l’impressione che la stampa e i grandi mezzi di comunicazione non considerino tutti gli aspetti che creano questa situazione di violenza e di continuo conflitto. Abbiamo visto in Egitto il caso dei Fratelli musulmani, dove l’appoggio indiscriminato a loro ha portato ad altra violenza. Ci sono degli interessi ovvi: chi vuole un governo sunnita in Siria; chi vuole mantenere una partecipazione di tutte le minoranze”, spiega mons. Silvano Maria Tomasi.
Insomma, le posizioni non sono univoche. Da una parte il timore che una volta caduto Assad, la minoranza cristiana si trovi alla mercé dei gruppi integralisti islamici. Dall’altra, la convinzione che così non si possa più andare avanti. Dopotutto, da vent’anni – nel 1993 Giovanni Paolo II scrisse una lettera all’allora segretario generale dell’Onu, Boutros Boutros Ghali, in cui si sottolineava che “l’autorità del diritto e la forza morale dell’Onu costituiscono le basi sulle quali si fonda il diritto d’intervento per salvaguardare la popolazione presa in ostaggio dalla follia mortale dei fautori della guerra” – il Vaticano ha ammesso la liceità dell’intervento umanitario, benché i dubbi sulla sua attuazione siano ancora laceranti. Oggi serve equilibrio, diplomazia, anche nei toni. Papa Francesco lo sa, e per questo reitera in ogni circostanza pubblica gli appelli perché “cessi il rumore delle armi” e perché “la comunità internazionale si dimostri più sensibile” a quanto avviene in Siria. Un messaggio che guarda anche all’Egitto, alla situazione dei copti guidati dal patriarca Tawadros II, che lo scorso maggio è stato ricevuto in Vaticano da Bergoglio. In quella circostanza non sfuggì l’estrema prudenza usata dal Pontefice nel suo saluto all’ospite giunto a Roma. Si evitò ogni riferimento all’attualità, agli incidenti seguiti alla caduta di Hosni Mubarak due anni fa. E così oggi, con riferimento agli incidenti del Cairo dopo la deposizione di Morsi e all’evoluzione della crisi siriana. Il Papa non rinuncia a fare la sua parte. Non gli bastano i rapporti che ogni mattina gli vengono recapitati sul tavolo di lavoro, ma vuole farsi un’idea diretta su ciò che sta accadendo, sulle mosse della diplomazia e le posizioni dei paesi arabi coinvolti. Di certo, giovedì prossimo chiederà informazioni e sostegno al re giordano Abdallah II, che incontrerà per la prima volta in Vaticano.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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