ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 3 agosto 2013

Il cristianesimo tiene la Russia unita,



 dice il cesaropapista Putin

Il capo del Cremlino non è un fervente ortodosso, ma sa usare le religioni per governare il paese. Ecco come

Se la Russia è diventata una grande potenza non è per uno zar, per una guerra o per un partito politico: il merito, semmai, è del cristianesimo. Queste sono le parole pronunciate dal capo del Cremlino, Vladimir Putin, lo scorso fine settimana, quando è volato a Kiev per i 1.025 anni dalla conversione del popolo russo.
Fu proprio da quella città che gli inviati di Volodimir il Grande partirono cercando una fede per il regno, e le cronache di san Nestore raccontano il loro viaggio fra chiese e minareti: prima visitarono i musulmani che erano lungo le rive del Volga, ma capirono in fretta che le regole dell’islam non erano adatte per i Rus’ di Kiev (“Bere è la nostra gioia, non possiamo esistere senza quel piacere”); poi vennero gli ebrei e i cattolici tedeschi, e neppure il loro credo incantò i consiglieri del re. Il miracolo avvenne a Costantinopoli, nella cattedrale di Santa Sofia, durante una cerimonia ortodossa (“Non sapevamo più se stavamo in paradiso o ancora in terra, e non siamo in grado di descrivere quella bellezza”, raccontarono gli inviati una volta di fronte al loro sovrano). Era il 987. Un anno più tardi Volodimir il Grande avrebbe ricevuto il battesimo in Crimea. Ma molti sostengono che il re dei Rus’ fosse interessato soprattutto alle nozze con la principessa bizantina Anna, sorella dell’imperatore Basilio II, divenuta sua sposa poco dopo la conversione (raccontando l’episodio in un museo di San Pietroburgo, una guida di nome Oktobryna spiega che in fondo la vicenda di Volodimir è la vicenda di tutta la Russia, “oggi ci dicono che dobbiamo essere cristiani, poi dobbiamo diventare atei e chissà che cosa succederà domani”).
Putin non pare molto interessato a questa versione della storia: venerdì, al momento di prendere la parola, ha spiegato che russi e ucraini “sono gli eredi di quel che è avvenuto a Kiev 1.025 anni fa”, e che questo, in un certo senso, fa di loro “un solo popolo”. Accanto al presidente russo c’erano il patriarca di Mosca, Kirill I, e il collega ucraino Viktor Yanukovich. La cerimonia si è tenuta nel monastero delle grotte di Kiev, uno dei luoghi più santi per l’ortodossia, e ha attirato migliaia di fedeli. Fra loro erano molti i volti noti, basti pensare che il magnate delle ferrovie Vladimir Yakunin ha pagato di tasca propria le spese necessarie per portare in Ucraina i frammenti della croce sulla quale è morto sant’Andrea.
La chiesa ortodossa ha una forza considerevole nella Russia di Putin, in molti casi la sua influenza supera anche i confini definiti dal diritto: la Costituzione stabilisce un rapporto di parità fra le grandi fedi del paese (cristianesimo, islam, ebraismo e buddismo), ma una legge approvata dalla Duma nel 1997, quando il presidente era ancora Boris Eltsin, riconosce all’ortodossia un ruolo speciale nella storia e nella cultura del paese. Secondo i canoni della dottrina ortodossa, il diritto pubblico e quello ecclesiastico dovrebbero formare un solo ordine giuridico, anche se questa “sinfonia di poteri” s’è trasformata spesso in una forma di cesaropapismo (lo spiega molto bene Giovanni Codevilla nel suo libro “Chiesa e impero in Russia”, pubblicato nel 2012 per Jaca Book). E così Kirill viene descritto come uno degli uomini più vicini a Putin, e lo stesso vale per i religiosi più in vista di Mosca, come il metropolita Ilarion, che presiede alla politica estera della chiesa ortodossa, o l’arciprete Vsevolod Chaplin, al quale sono affidati gli affari sociali. Putin non ha mai negato i rapporti con il patriarca, anzi, negli ultimi anni ha richiamato accanto a sé molti ministri conservatori e ha anche formato un ufficio per i rapporti fra lo stato e le diverse confessioni (a capo del gabinetto c’era fino alla primavera scorsa uno dei suoi collaboratori più stretti, Vladislav Surkov).
Non si può certo dire però che Putin sia un fervente ortodosso: il suo primo incontro con il cristianesimo è stato a lungo un segreto di famiglia, la madre lo ha fatto battezzare di nascosto quando era bambino e viveva a San Pietroburgo e lui stesso ha raccontato l’episodio in uno speciale andato in onda poche settimana fa sulla tv russa (era intitolato “Il secondo battesimo della Russia”). Nel reportage il capo del Cremlino ha attribuito al principe Volodimir la nascita dello stato centrale in Russia, un evento che, a suo dire, non sarebbe potuto accadere senza la decisione di abbracciare l’ortodossia. In un altro passaggio ha chiamato il comunismo una “versione semplificata” dei princìpi che tutte le religioni del mondo già praticavano da decine di secoli. Nei discorsi di Putin il fuoco della fede lascia sempre il posto al realismo, e manca nella sua vita pubblica un episodio che faccia pensare a una vera conversione. Eppure la religione occupa una parte decisiva nei suoi ragionamenti, fede e realpolitik avanzano di pari passo e questo non vale soltanto per il cristianesimo. In più di un’occasione il presidente russo ha difeso l’islam dagli attacchi un po’ avventati che sono partiti anche da alcuni suoi partner politici, per non parlare del legame con i leader del Caucaso, primo fra tutti quello (molto discusso) con Ramzan Kadyrov, il governatore ceceno cresciuto in una famiglia di religiosi e guerriglieri. Dopotutto i musulmani sono la minoranza religiosa più corposa in Russia, il loro numero oscilla fra i nove milioni delle stime nazionali e i venti messi in conto dai centri di ricerca europei, e i rapporti con la maggioranza cristiana non sono affatto semplici.
Ma l’attenzione nei confronti della fede ha spinto il Cremlino a migliori rapporti anche con le comunità ebraiche e con lo stato di Israele. All’inizio dell’anno Putin ha finanziato personalmente la nascita di un grande museo nel centro di Mosca dedicato alla storia dell’ebraismo russo. Un video proiettato all’ingresso spiega ai visitatori che la Bibbia ha offerto al popolo di Davide alcune regole semplici per restare unito a lungo: è esattamente quel che serve al capo del Cremlino per garantire un futuro al suo enorme paese.

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