Don Giussani e GP2
(in foto Giussani e G.P.II)

Qualcuno pensò che l’influenza di Cl, Comunione e Liberazione in Vaticano, con la non elezione del potente Angelo Scola nell’ultimo conclave conciliare, rimanesse eclissata. Per niente, essa rimase ancora più salda con l’elezione di Jorge Bergoglio, un loro vecchio seguace: sembrava estromessa dalla porta politica, ma è rientrata dalla finestra di una nostalgia spiritualoide.
Ciò si capisce ora nelle righe della nuova enciclica imbastita da Ratzinger e completata da Bergoglio, dove si legge sulla «fenomenologia dell’incontro nostalgico», motivo caro a don Giussani.
Ben inteso, la pastorale dell’incontro con Gesù, applicata da don Giussani per la conversione di una gioventù demotivata nella fede, si è dimostrata cattivante ed pure efficiente, specialmente nell’aridità inaudita del fumo di Satana sparso dal Vaticano 2º. E chi accompagnò i leitmotiv delle campagne religiose di CL sulle riviste «Sabato» e «Trenta giorni», sa quanto esse avvertivano contro i pericoli di un neo pelagianesimo che poteva derivare dal sentimento che aspira all’incontro, ma privo di base nella Dottrina dogmatica e morale: una fede nel vago incontro tra amici e non in quell’«incontro» che salda la fede dataci da Gesù Redentore, Maestro e Signore.
La differenza è sensibile, lo sapeva don Giussani, che pensava compensare tale rischio con l’attaccamento di CL al Magistero dogmatico infallibile e alla Chiesa gerarchica (anche se avversava il pensiero del card. Martini).
Il problema è che dopo il Vaticano 2º questa base era in fase di accelerata demolizione perché lasciata in mano a furiosi innovatori, sia della Liturgia sia della catechesi tradizionale. Perciò, inizialmente Cl s’è impegnata in attività controcorrente e anche a favore di tradizionalisti e integristi, pubblicando pure il Catechismo di San Pio X, tanto inviso dai conciliari. Ma dovevano sopravvivere … e stabilirono alleanze politiche anche con Craxi e Andreotti, da giustificare pelagianamente… poiché qualche volta il fine giustificherebbe i mezzi!
Ora, Bergoglio, quando era cardinale di Buenos Aires, già nel 1999 aveva presentato un libro di Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, El Sentido Religioso. Più tardi presentò un altro libro, e disse in quell’occasione:
“Ho accettato di presentare questo libro di don Giussani per due ragioni. La prima, più personale, è il bene che negli ultimi dieci anni quest’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacerdote, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della più profonda fenomenologia e, allo stesso tempo, più comprensibile della nostalgia come fatto trascendentale. C’è una fenomenologia della nostalgia, il nóstos algos, il sentirsi richiamati alla casa, l’esperienza di sentirci attratti verso ciò che ci è più proprio, che è più consono al nostro essere… Il libro che oggi si presenta, L’attrattiva Gesù, non è un trattato di teologia, è un dialogo di amicizia; sono conversazioni a tavola di don Giussani con i suoi discepoli. Non è un libro per intellettuali, ma… la descrizione di quell’esperienza iniziale, a cui mi riferirò più avanti, dello stupore che viene a galla dialogando sull’esperienza quotidiana provocata, affascinata dalla presenza e dallo sguardo eccezionalmente umano e divino di Gesù. È il racconto di un rapporto personale, intenso, misterioso e concreto allo stesso tempo, di un affetto appassionato e intelligente verso la persona di Gesù, e questo permette a don Giussani di arrivare come alla soglia del Mistero, di dare del tu al Mistero. Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro…”
Così, appena trovatosi sul trono, le prime parole di Francesco furono per riprendere il tema: “Quando Gesù chiede a Pietro: «Mi ami?», «quel “sì” non era l’esito di una forza di volontà, non era l’esito di una “decisione” del giovane uomo Simone: era l’emergere, il venire a galla di tutto un filo di tenerezza e di adesione che si spiegava per la stima che aveva di lui – perciò è un atto di ragione» … è stato un atto ragionevole, «per cui non poteva non dire “sì”». Non si può capire questa dinamica dell’incontro che suscita lo stupore e l’adesione se su di essa non è fatto scattare – perdonatemi la parola – il grilletto della misericordia. Solo chi ha incontrato la misericordia, chi è stato accarezzato dalla tenerezza della misericordia, si trova bene con il Signore. Chiedo ai teologi presenti che non mi denuncino al Santo Uffizio né all’Inquisizione, però forzando l’argomento oserei dire che il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. Di fronte a questo abbraccio di misericordia – e continuo secondo le linee del pensiero di Giussani – viene proprio voglia di rispondere, di cambiare, di corrispondere, sorge una moralità nuova [?]. Ci poniamo il problema etico, un’etica che nasce dall’incontro, da quest’incontro che abbiamo descritto fino ad ora. La morale cristiana non è lo sforzo titanico, volontaristico, lo sforzo di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sfida solitaria di fronte al mondo. No. La morale cristiana è semplicemente risposta. È la risposta commossa davanti a una misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta” (riprenderò questo aggettivo). La misericordia sorprendente, imprevedibile, “ingiusta”, con criteri puramente umani, di uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e lo stesso mi vuole bene, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me e attende da me. Per questo la concezione cristiana della morale [nuova] è una rivoluzione, non è non cadere mai ma alzarsi sempre. Come vediamo, questa concezione cristianamente autentica della morale che Giussani presenta non ha niente a che vedere con i quietismi spiritualoidi [la lingua batte dove il dente duole] di cui sono pieni gli scaffali dei supermercati religiosi oggigiorno. Inganni. E neppure con il pelagianismo così di moda nelle sue diverse e sofisticate manifestazioni. Il pelagianismo, al fondo, è rieditare la torre di Babele. [Sì, quella conciliare. Sul sistematico pelagianesimo naturalista di tutta l’opera conciliare, si senta l’omelia in inglese di Mons. Dolan in questo sito: http://www.sgg.org/wp-content/uploads/2013/08/130811.mp3?utm_medium=email&utm_campaign=Modernists+or+Trads+Whos+Pelagian&utm_content=Modernists+or+Trads+Whos+Pelagian+CID_87e0beae91ddea9486a1caf507156d91&utm_source=Email%20marketing%20software&utm_term=Modernists%20or%20Trads%20Whos%20Pelagian ]
Bergohlio continua: “I quietismi spiritualoidi sono sforzi di preghiera o di spiritualità immanente [ancora la lingua batte dove il dente duole] che non escono mai da se stessi. Gesù lo si incontra, analogamente a 2000 anni fa, in una presenza umana, la Chiesa, la compagnia di coloro che Egli assimila a sé, il Suo corpo, il segno e sacramento della Sua presenza. Leggendo questo libro, uno rimane stupefatto e pieno di ammirazione davanti a un rapporto così personale e profondo con Gesù, e gli sembra che sia difficile per lui. Quando dicono a don Giussani: «Che coraggio bisogna avere per dire sì a Cristo!» oppure: «A me nasce questa obiezione: si vede che don Giussani ama Gesù e io invece non lo amo allo stesso modo». Lui risponde: «Perché opponete quello che voi non avreste a quel che io avrei? Io ho questo sì e basta, e a voi non costerebbe neanche una virgola di più di quello che costa a me… Dire sì a Gesù…. Si tratta di iniziare a dire Tu a Cristo, e dirglielo spesso. È impossibile desiderarlo senza chiederlo. E se uno incomincia a chiederlo, allora incomincia a cambiare. D’altra parte, se uno lo chiede è perché nel profondo del suo essere si sente attratto, chiamato, guardato, atteso.”
L’AMBIGUITÀ E L’INVERSIONE CONCILIARE NELLA «LUMEN FIDEI»
L’inversione della «testimonianza bergogliona» riguardo alla conversione ormai è nota; è atteggiata d’indifferentismo ecumenista per ogni occasione.
Bergoglio ha scritto una lettera di auguri ai fratelli musulmani per la fine del Ramadan, pubblicata il 2 agosto, ma viene da chiedersi se essa era indirizzata ai Fratelli Musulmani intenti a liquidare i copti d’Egitto o agli altri fratelli musulmani che vogliono rimanere in contatto con l’Occidente ex cristiano?
Il fatto è che di fronte a un insanabile «scontro d’inciviltà» che alimenta oggi guerre civili in un mondo acefalo, da questa Roma vengono solo parole vane che evitano d’inquadrare i moti anticristiani del razzismo alla rovescia. (vedi http://www.youtube.com/embed/RWcVguB0GaY ) Oltre i delitti politici di Blair e compagnia bella, qui siamo a un sommo tradimento religioso!
Ma poiché il Papa cattolico è per definizione il primo testimone di Cristo contro ogni menzogna – per esempio del Corano – e i «papi conciliari», in speciale Wojtyla e Bergoglio, lodano apertamente il Corano e magari implicitamente anche il Talmud, dimostrano di non essere Papi cattolici. Da costoro, l’opera della Chiesa è ridotta a incontri ecumaniaci, se non nello spirito di Assisi, a quelli suggeriti da personali desideri soggettivi, affettivi di dialogo! Perciò essi appaiono come «papi» a quanti sono in una mezza luce della logica e della fede, che snerva la capacità di riconoscimento del sommo operatore di conversioni alla Parola del Signore.
Si tratterebbe di riconoscere nello stallo religioso presente l’occupazione del Luogo Santo da parte di chierici invasati dallo spirito anticristico; di capire che l’acefalia conciliare si conferma nel caos delle loro stesse opere e parole. Infatti, essi, da alta sede, operano la metodica inversione ecumenista del Mandato di conversione dato da Gesù Cristo per tutti i popoli. L’esito di quest’inversione cattolica si vede nella perdizione delle anime che si alastra ovunque e come mai prima.
E le contraddizioni continuano imperterrite: Si è visto come Ratzinger insisteva assurdamente sul «pericolo del relativismo» quando era lui stesso il gran teorico del sommo relativismo emanato dall’opera ecumenista che relativizza la Verità rivelata da Dio, da spalmare sulle diverse religioni (vedi Nostra aetate, ecc.).
Ora si vede Bergoglio che, associato a Ratzinger, lancia un’enciclica che, volenti o nolenti è gnostica e pelagiana – come si evince da una sua analisi pur sommaria ma realistica – insistere sul «pericolo del pelagianesimo», sì di quello altrui!
Veniamo a questa «Lumen Fidei» che inizia: “La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: « Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre » (Gv 12, 46).
Bello ricordo, ma la «dottrina» di questa Lettera si dimostra fondata, più che sull’incontro della Luce che è nella Verità, su un’altra idea personale d’incontro con la «luce» di quella «libertà religiosa» rivoluzionaria che … “non si impone che in forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore » (Dignitatis humanæ, Proemio)”, mentre apre a ogni credo e ideologia.
Qui già si pone un dilemma: allora a che serve l’autorità divina del Vicario di Dio, che impone con il suo Magistero definizioni dogmatiche per illuminare la fede e la morale dei singoli e delle società? Perciò, tale «asserzione conciliare bergogliona» appare subito come una velata accusa al magistero precedente, dogmatico, che ha sempre definito e imposto verità di Fede riguardanti l’uomo e perciò i limiti e il fine della libertà umana riguardo il suo bene e male.
Lo esprime in precisi termini accademici il Prof. Enrico Maria Radaelli in http://www.enricomariaradaelli.it/aureadomus/aculeus/aculeus_critica_lumen_fidei.html : «Il contrario, che è in fondo, la dottrina della Lumen Fidei non sarebbe e, «per la sua pericolosità, aberrante teologia “pseudopersonalista” entrata nel Vaticano II attraverso la caduta di quella forma dogmatica che, come tutti i venti concili precedenti dello stesso tenore di magistero (solenne, straordinario e universale), anche quello avrebbe dovuto avere, decadendo invece in una forma surrettiziamente pastorale che nemmeno pastorale fu, teologia di cui poi si fece ancor più latore il Beato (?) Papa Giovanni Paolo II, inficia, compromette, e, diciamolo pure: avvelena il magistero papale ed ecclesiale, specialmente deprivando il rapporto tra verità e uomo di quel carattere imperativo che si è illustrato necessario (in senso scolastico: ‘imprescindibile’), ossia insito nella natura stessa dell’antropologia umana, rapporto che, nei confronti dell’uomo, ha unicamente la verità, sicché le Lettere encicliche pubblicate successivamente a quell’assise – come d’altronde tutto il magistero elaborato e insegnato da lì a oggi – vengono sempre più chiaramente caratterizzate dalla volatilizzazione di quell’atmosfera pacificamente ma fermamente imperativa che, trasportando a piene mani verità e verità una sull’altra, e con ciò trasportando potente e travolgente amore, pervadeva tutto il magistero precedente, e vengono altresì caratterizzate dalla caduta di ogni specifica ingiunzione, specie quella richiesta dalle verità espresse, di essere prima di tutto amate – « Se mi amate, osservate i miei comandamenti » (Loc. cit.) –, e, in quanto amate, allora osservate e ossequiate nel loro comando, che è tale solo in quanto umile, limpido e casto portatore delle verità da seguire per la propria salvezza e della Realtà ultima da in tal modo procurarsi.»
Ora, quando dal magistero conciliare viene l’idea che la verità si può imporre all’intelletto solo in forza della sua propria e intrinseca potenza veritativa, omette pelagianamente le conseguenze del Peccato originale per cui solo i santi hanno coltivato l’abito eroico della volontà di sottomettere le proprie menti affinché la verità divina vi penetri. Ma per tale lieto «incontro» dovevano prima avere la sacrosanta certezza che fosse proprio la Buona Novella di Gesù, che avvertì: «badate di non essere ingannati perché verranno molti falsi Cristi e falsi profeti».
Sì, l’incontro va preceduto da un giudizio autorevole di fede nel vagliare attraverso la Chiesa quanto si conferma divino. Ecco la ragione della funzione magisteriale della Chiesa e del Papato stabilito dal Signore, che questa nuova «enciclica conciliare» elude ambiguamente a scapito del sicuro e vero incontro col Salvatore.
Può avere il potere delle Chiavi di Pietro chi dispensa dalla conversione a Cristo; chi indice lettere per supplirla con incontri d’indole sentimentale?
Ecco che la Sede della Roma cattolica si dimostra occupata da chi manifesta solo ambiguità di fronte a un mondo demenziale, svelando con la sua fatuità l’orrenda acefalia romana attuale. I raggi d’Amore infinito del Signore non arrivano in una sinistra luce d’ecumenismo spiritualoide, ma nello splendore della Dottrina e della Liturgia fondate sulla Sua Parola indelebile e sul Mistero ineffabile del Suo Sacrificio di Amore, perpetuato nella Santa Messa cattolica. Emblematicamente essa ora torna a subire una cupa persecuzione nella sua forma tradizionale, a favore di quel Novus Ordo che “si allontana in modo impressionante dalla teologia cattolica”.
Tutto a conferma della fatuità conciliare che violenta la dogmaticità cattolica.
L’ EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele

http://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=12432