Quando l’inferno è sceso sul piccolo villaggio cristiano di Maaloula dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù, a difenderlo da tale assalto del gruppo terrorista islamico, collegato a «al-Qaida» (Washington Post) c’è solo l’Esercito regolare siriano di Assad; quello che la politica «alleata» vuole liquidare.
«Un residente rivela che dei ribelli barbuti al grido di “Allah è grande!” attaccarono le case dei cristiani e le chiese, sparando e uccidendo civili… corpi giacevano in mezzo alle strade. Maaloula è divenuta città fantasma. I cristiani rimasti furono sfidati: “convertitevi all’Islam o sarete sgozzati”
Intanto, Obama vive la sua piccola crisi piena di contraddizioni. Voleva fare l’umanista puro che castiga con la guerra i delitti inauditi – oltre la «linea rossa» – di Assad. Poi si pensò a dei bombardamenti chirurgici. Vuol evitare di finire vietato dal Parlamento come Cameron, ma non si rallegra di avere per solo «gran» alleato un frescone come Hollande, che prelude a delle sonore confusioni. Probabilmente è portato da altri a fare il duro, ma il puro, nemmeno col premio Nobel in tasca! Chi conta, in fondo, è quel lobby col quale aveva già preso impegni di attacco e che ora preme. Lui cerca di guadagnare tempo poiché forse è meglio fare come quel famoso Quinto Fabio Massimo detto “il temporeggiatore … Cunctator”, e cedere alla diplomazia, apparendo molto impegnato nei discorsi umanitari dei bambini uccisi dal cattivo Assad.
Comunque non sarà Obama a decidere, ma quelli capaci di clamorose «false flag»!
Il guaio è che senza l’esercito siriano, che succederà a 2 milioni di cristiani siriani che vivevano in pace con tutti i vicini? Sarà l’inizio della fine dei tempi dei cristiani?
In tutti questi fatti tragici, cos’è che di vero si può capire del momento attuale?
È inevitabile che i grandi conflitti di questa regione storica nell’ora presente siano legati alla profezia di un ritorno dopo due mila anni dell’antico Popolo eletto alla Terra a loro promessa. Profezia che s’intreccia proprio con quella di Gesù Cristo, il Messia rifiutato da questo Popolo sul quale ha allora annunciato:”Gerusalemme sarà calpestata dai Gentili finché i tempi delle nazioni siano compiuti” (Lc 21, 24).
Non prefigura tutto questo il preludio di un castigo finale, perché tutti peccarono?
Gerusalemme rappresenta gli Ebrei; chi le nazioni gentili? E di quale “tempo” si tratta?
Dal contesto la profezia riguarda il tempo della decadenza delle nazioni cristiane.
Questa profezia sembra realizzata dopo due mila anni da un lato con la creazione dello Stato di Israele, che nel 1967 ha preso Gerusalemme, mentre in quegli anni crollava la Cristianità col Vaticano 2º, che velatamente ammette la Parola divina in altre religioni.
Vi è un rapporto di questo fatto con Fatima per i cattolici fedeli che vedono negli anni 60 un nuovo tempo di aperture ad ogni religiosità, solo possibile perché il Papato era “tolto di mezzo” per un tempo (vedi l’ecatombe papale del Terzo Segreto di Fatima).
Vi è pure un rapporto nel piano politico, poiché nello stesso anno delle apparizioni di Fatima vi fu la “Dichiarazione Balfour” del 2 novembre 1917- in cui il ministro degli Esteri bri­tannico, lord Balfour, rendeva noto alla Federazione Sionisla the “Sua Maestà vede con favore I’i­stituzione di una Sede Nazionale in Palestina per il popolo ebraico e fare del suo meglio perche tale fine possa essere raggiunto». La lettera fu indirizzata a Sir Lionel Rotschild, ed è considerata l’atto di fondazione dello Stato d’Israele.
Oggi, nell’ordine internazionale il potere «cristiano» è rappresentato dalla superpotenza americana impegnata in guerre demenziali; mentre nell’ordine religioso è rappresentato dalla Roma della demolizione conciliare il cui degrado viene accelerato da Bergoglio.
E a comandare le operazioni di entrambe non sono i capi apparenti, ma la lobby sionista della Gerusalemme ripresa dai Giudei, che è nelle profezie dell’Antico Testamento ed è nel Nuovo con la decadenza delle Nazioni descritta da Gesù (Lc 21, 24).
Poiché il ritorno vittorioso degli ebrei che sdegnarono Gesù Cristo fa da contrappunto al degrado spirituale del le Nazioni cristianizzate che apostatarono dell’unica Chiesa di Cristo, può tale profezia non trattare proprio dei tempi attuali per le nazioni ex cristiane? Perciò qui è opportuno rivedere quello che Gore Vidal e l’ebreo Israel Shahak hanno scritto sullo Stato d’Israele, cioè, il potere che rappresenta un vero castigo per il mondo.
Titolo originale: JEWISH HISTORY – JEWISH RELIGION, THE WEIGHT OF THREE THOUSAND YEARs. Traduzione italiana a cura del Centro Librario Sodalitium
Prefazione di Gore Vidal al libro di Israel Shahak
«Alla fine degli Anni Cinquanta, quel grande pettegolo e storico dilettante che era John F. Kennedy mi disse che nel 1948 Harry Truman, proprio quando si presentò candidato alle elezioni presidenziali, era stato praticamente abbandonato da tutti. Fu allora che un sionista americano andò a trovarlo sul treno elettorale e gli consegnò una valigetta con due milioni di dollari in contanti. Ecco perché gli Stati Uniti riconobbero immediatamente lo Stato d’Israele. A differenza di suo padre, il vecchio Joe, e di mio nonno, il senatore Gore, né io né Jack eravamo antisemiti e così commentammo quell’episodio come una delle tante storielle divertenti che circolavano sul conto di Truman e sulla corruzione tranquilla e alla luce del sole della politica americana. Purtroppo, quell’affrettato riconoscimento dello Stato d’Israele ha prodotto quaranta cinque anni di confusione e di massacri oltre alla distruzione di quello che i compagni di strada sionisti credevano sarebbe diventato uno stato pluralistico, patria dei musulmani, dei cristiani e degli ebrei nati in Palestina e degli immigrati europei e americani, compreso chi era convinto che il grande agente immobiliare celeste avesse dato loro, per l’eternità, il possesso delle terre della Giudea e della Samaria. Poiché molti di quegli immigrati, quando erano in Europa, erano stati sinceri socialisti, noi confidavamo che non avrebbero mai permesso che il nuovo stato diventasse una teocrazia e che avrebbero saputo vivere, fianco a fianco, da eguali, con i nativi palestinesi. Disgraziatamente, le cose non andarono così. Non intendo passare ancora una volta in rassegna le guerre e le tensioni che hanno funestato e funestano quella infelice regione. Mi basterà ricordare che quella frettolosa invenzione dello Stato d’Israele ha avvelenato la vita politica e intellettuale degli Stati Uniti, questo improbabile patrono d’Israele. Dico improbabile perché, nella storia degli Stati Uniti, nessun’altra minoranza ha mai estorto tanto denaro ai contribuenti americani per investirlo nella “propria patria”. È stato come se noi contribuenti fossimo stati costretti a finanziare il Papa per la riconquista degli Stati della Chiesa semplicemente perché un terzo degli abitanti degli Stati Uniti sono di religione cattolica. Se si fosse tentata una cosa simile, ci sarebbe stata una reazione violentissima e il Congresso si sarebbe subito opposto decisamente. Nel caso degli ebrei, invece, una minoranza che rappresenta meno del due per cento della popolazione ha comprato
o intimidito settanta senatori, i due terzi necessari per nullificare un comunque improbabile veto presidenziale, e si è valsa del massiccio appoggio dei media. In un certo senso, ammiro il modo in cui la lobby ebraica è riuscita a far sì che, da allora, miliardi e miliardi di dollari andassero ad Israele “baluardo contro il comunismo”. In realtà, la presenza dell’URSS e il peso del comunismo sono stati, in quelle regioni, men che rilevanti e l’unica cosa che noi americani siamo riusciti a fare è stato di attirarci l’ostilità del mondo arabo che prima ci era amico. Ancora più clamorosa è la disinformazione su tutto quanto avviene nel Medio Oriente e se la prima vittima di quelle sfacciate menzogne è il contribuente americano, all’opposto lo sono anche gli ebrei degli Stati Uniti che sono continuamente ricattati da terroristi di professione come Begin o Shamir. Peggio ancora, salvo poche onorevoli eccezioni, gli intellettuali ebrei americani hanno abbandonato illiberalismo per stipulare demenziali alleanze con la destra politico religiosa cristiana, antisemita, e con il complesso militare-industriale del Pentagono. Nel1985, uno di quegli intellettuali dichiarò apertamente che quando gli ebrei erano arrivati negli Stati Uniti avevano trovato “più congeniali l’opinione pubblica e i politici liberali” ma che, ora, è interesse dell’ebraismo allearsi ai fondamentalisti protestanti perché, dopo tutto, “c’è forse qualche ragione per cui noi ebrei dobbiamo restar fedeli, dogmaticamente e con l’ipocrisia, alle idee che condividevamo ieri?”. A questo punto, la sinistra americana si è divisa e quelli di noi che criticano i nostri ex -alleati ebrei per questo loro insensato opportunismo vengono subito bollati con i rituali epiteti di “antisemita” o di “odiatori di se stessi”. Per fortuna, la voce della ragione è ancora viva e forte e viene proprio dalla stessa Israele. Da Gerusalemme, Israel Shahak, con le sue continue e sistematiche analisi, smaschera la sciagurata politica israeliana e lo stesso Talmùd, in altre parole l’effetto che ha tutta la tradizione rabbinica sul piccolo Stato d’Israele che i rabbini di estrema destra di oggi vogliono trasformare in una teocrazia riservata ai soli ebrei. Shahak guarda con l’occhio della satira tutte le religioni che pretendono di razionalizzare l’irrazionale e, 1a studioso, fa risaltare le contraddizioni contenute nei testi. È un vero piacere leggere, con la sua guida, quel grande odiatore dei gentili che fu il dottor Maimonide! Inutile dire che le autorità israeliane deplorano l’opera di Shahak ma non possono far nulla contro un docente universitario di chimica in pensione, nato a Varsavia nel 1933 che ha passato alcuni anni della sua infanzia nel campo di concentramento nazista di Belsen. Nel 1945 Shahak andò in Israele; ha prestato servizio nell’esercito israeliano e non è diventato marxista negli anni in cui essere marxisti era di gran moda. Shahak era, ed è, un umanista che detesta l’imperialismo sai che si manifesti come il Dio di Abramo che come la politica di George Bush e, con lo stesso vigore, la stessa ironia e competenza, si oppone al nocciolo totalitario del giudaismo. Israel Shahak è un Thomas Paine più colto che continua a ragionare e, di anno in anno, ci rivela le prospettive che abbiamo e ci dà gli strumenti per chiarirci la lunga storia che sta alle nostre spalle… Shahak è il più recente, se non l’ultimo, dei grandi profeti.
«Inizio del primo Capitolo del libro di Israel Shahak – un’utopia chiusa?
«Questo libro, pur scritto in inglese e rivolto a chi vive fuori dallo Stato d’Israele, è, a suo modo, un completamento della mia attività politica come ebreo, cittadino d’Israele.
Cominciai nel 1965-1966 con una protesta che, a quel tempo, suscitò un notevole scandalo. Ero presente, un sabato (Shabbat), quando un ebreo ortodosso si rifiutò di mettere a disposizione il suo telefono, per chiamare un’ambulanza che portasse all’ospedale un non ebreo che aveva avuto un collasso. Invece di !imitarmi a pubblicare l’episodio sulla stampa, chiesi che il tribunale rabbinico di Gerusalemme si riunisse e considerasse il caso. Com’è noto, il tribunale è composto da rabbini nominati dallo Stato
d’Israele. Allora, chiesi se tale comportamento fosse legittimo alla luce della loro interpretazione della religione ebraica, e i rabbini risposero che l’ebreo in questione si era comportato con coerenza, o meglio secondo i dettami della fede, e citarono a sostegno un passo dell’autorevole Compendio delle leggi talmudiche, scritto in questo secolo. Da parte mia pubblicai tutti i dettagli dell’”incidente” sul quotidiano ebraico “Ha’aretz” il che provocò un vero e proprio scandalo su tutti i media. I risultati furono piuttosto negativi, almeno per me. Né le autorità rabbiniche israeliane né quelle della diaspora hanno mai smentito il principio secondo cui gli ebrei non possono violare lo Shabbat per salvare la vita di un gentile. Quelle autorità rabbiniche si limitarono ad aggiungere, con unzione pretesca, che se un gesto simile avesse messo in pericolo gli ebrei, la violazione dello Shabbat sarebbe stata lecita, ma solo per evitare dannose conseguenze a loro, non ai gentili. Partendo dalle conoscenze della mia giovinezza, mi misi a studiare le leggi talmudiche che regolano i rapporti tra ebrei e non ebrei arrivando a concludere che né il sionismo, compreso il suo versante laico, né la politica dello Stato d’Israele sino dalla sua fondazione, né quella degli ebrei della diaspora che lo appoggiano dall’esterno, sono comprensibili se non si considera l’influsso decisivo che hanno queste leggi e la visione del mondo che esse creano ed esprimono. Da allora, la mia convinzione è stata drammaticamente rafforzata, persino in astratto, dalla politica perseguita dopo la Guerra dei sei giorni e in particolare dall’apartheid imposto dal regime d’Israele nei territori occupati e dall’atteggiamento della maggioranza degli ebrei nei confronti dei diritti dei palestinesi. Con queste affermazioni non voglio ignorare le considerazioni politiche o strategiche che condizionano la classe dominante d’Israele. Dico solo che la politica israeliana di oggi è un’interazionc tra considerazioni realistiche, secondo me sia valide che sbagliate, morali e immorali, e influenze ideologiche. Queste ultime esercitano un peso maggiore nella misura in cui sono meno discusse e “portate alla luce”, denunciate. Tutte le forme di razzismo, discriminazione e xenofobia sono più forti ed hanno un maggior peso politico se sono date per scontate e accettate come qualcosa di naturale dalla società che le pratica. Ancora di più se la discussione è proibita, sia formalmente che per tacito accordo. Quando il razzismo, la discriminazione e la xenofobia prevalgono tra gli ebrei e sono rivolte contro i non ebrei, alimentate da motivazioni religiose, riproducono fedelmente il caso opposto, cioè l’antisemitismo con le sue radici religiose. Oggi mentre il secondo è ampiamente discusso, l’esistenza stessa del primo è generalmente ignorata, più fuori di Israele che entro i suoi confini.
Definiamo lo Stato d’Israele. Se non si mette in discussione il prevalente atteggiamento ebraico nei confronti dei non ebrei, non è dato capire neppure il concetto stesso di “stato israeliano” (Jewish State), come Israele preferisce definirsi. La generalizzata mistificazione che, senza considerare il regime apartheid dei territori occupati, definisce Israele come una vera democrazia, nasce dal rifiuto di vedere cosa significa per i non ebrei lo “stato israeliano”. Sono convinto che Israele in quanto Jewish State è un pericolo non solo per se stesso c per i suoi abitanti, ma per tutti gli ebrei e per gli altri popoli e stati del Medio Oriente e anche altrove. Sono altresì convinto che altri stati o entità politiche del Medio Oriente che si proclamano “arabi” o “musulmani”, definizioni analoghe a quella di “stato israeliano”, rappresentano anch’essi un pericolo. Comunque mentre di quest’ultimo pericolo tutti ne parlano, quello implicito nel carattere ebraico dello Stato d’Israele è sempre taciuto e ignorato. Fin dalla sua fondazione, il concetto che il nuovo Stato d ‘Israele era uno “stato israeliano” fu ribadito da tutta la classe politica e inculcato nella popolazione con ogni mezzo.»
Questo è il tema dell’ora presente affrontato nei nostri articoli in portoghese e italiano.
Si tratta del fatto che non si può comprendere la storia umana, e gli eventi attuali, senza considerare il Popolo, che ne è al centro, gli Ebrei. E questi non possono comprendere il loro presente e futuro senza la Parola di Nostro Signore Gesù Cristo, specialmente in Luca 21, 24: «E cadranno sotto il filo della spada e saranno menati prigionieri in tutte le nazioni, e Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi delle nazioni siano compiuti.» Gore Vidal testimonia il potere raggiunto oggi dagli Ebrei (col tempo delle nazioni cristiane compiuto), poiché se gli USA è la superpotenza visibile, la lobby ebraica è la megapotenza invisibile, che governa la prima e le nazioni ex cristiane con l’Alta Finanza. Ma Israel Shahak indica perché il mega potere israeliano è squilibrato e precario: perché privo di qualsiasi universalità, come emerge chiaramente dal loro atteggiamento radicalmente chiuso verso il mondo dei non ebrei.
Il fatto è che davanti a tale quadro di conflitti, di segno apocalittico, solo un evento di enorme dimensione potrà portare la generazione presente alla tanto attesa conversione dei cuori che riporterebbe un po’ di pace sulla terra.
Come si sa, però, Dio ottiene dai peggiori mali i migliori esiti.
Che sia fatta la Sua Volontà per il bene dei padri come dei figli; per tutti quanti sapranno riconoscerLa anche nei grandi castighi che incombono, esclamando:
Benedetto Colui che viene nel Nome del Signore!
L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
http://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=12824