Demolizione dei ‘santi’ moderni: Einstein..razzista?; Voltaire ‘antiebraico’; Allende? Eugenetica e massoneria; Dalai Lama ‘CIA e teocrazia’, Che Guevara anti-gay in Rolex
Breve critica del culto conformistico e dei suoi “santi”: la dubbia canonizzazione della modernità
di Andrea Giacobazzi
1. Introduzione. I divi moderni tra apologetica e propaganda.
«Idee confuse e acque torbide sembrano profonde» scriveva Gomez Dàvila.
Partendo
da questa torbidezza, risulta difficile non scorgere nell’avanzamento
della modernità la progressiva sostituzione della santità intesa in
senso tradizionale con un raffazzonato insieme di “santi” laici e
conformisti, elevati a modelli di riferimento per larga parte della
società.
Quello
che è stato correttamente definito come il “ceto medio semicolto” pare
abbeverarsi a queste fonti con l’ineludibile superficialità che
accompagna chi – in forza della scolarizzazione di massa – si sente
parte di un’élite inesistente nella realtà. Tra un improbabile vernissage e una puntata di Che tempo che fa, tra un articolo de L’Espresso
e la presentazione di un libro pseudoimpegnato, si forma - almeno in
campo italofono – la cultura del soggetto di cui stiamo parlando. I miti
che ne illuminano il cammino sono spersonalizzati, depurati di ogni
complessità, liofilizzati e serviti con capillare distribuzione, icone
pop che nella loro banalizzazione finiscono per far torto innanzitutto
alla memoria di chi rappresentano.
Lo
sviluppo di questi modelli (per dirne alcuni: Einstein, Che Guevara,
Allende, Voltaire, il Dalai Lama), ovviamente, non può reggere
un’analisi che approfondisca minimamente la loro natura. La nuova
religione, tutta moderna, che li annovera tra i “guru irrinunciabili” si
trova costretta a impegnare i suoi quasi ignari sacerdoti (giornalisti,
scrittori, conduttori televisivi) più nel celare i caratteri effettivi
di questi personaggi che non nel promuoverne l’autentica conoscenza.
Oltre ad un clero disorganizzato, questa fede mondana, moderna e
mediatica, non si esime dal proporre alcuni dogmi, con relative
pregiudiziali politiche: generalmente “antifasciste” quando si guarda a
“destra”, “antistaliniste” (se non “antisovietiche”) quando si volge a
“sinistra”. Abbondano, comprensibilmente, adepti “più realisti del Re”:
si pensi, tra i tanti casi che si possono citare, alle puntuali amnesie
che toccano i contatti di Gandhi (esponente di spicco del pantheon conformistico) con l’Italia fascista e le foto che lo ritraevano sorridente al fianco delle camicie nere.
Pur
tenendoci a debita distanza da un complottismo sterile, risulta
difficile non notare come la graduale sostituzione dei modelli di
riferimento per il popolo abbia accompagnato la disastrosa rivoluzione
spirituale[1]
cui stiamo assistendo nell’ultimo secolo. Riprenderemo il tema nelle
conclusioni, passiamo ora a vedere alcuni esempi relativi alla
sostanziale incoerenza di questi personaggi rispetto alla stessa fede
che li vuole incensare sugli altari della modernità.
2. Einstein e la “razza”
“Einstein, quando cercò rifugio in America, dovette compilare un modulo. Alla voce: razza? rispose: umana”.
Questo
è il mantra che viene ossessivamente ripetuto nella larga maggioranza
dei casi in cui si cita lo scienziato ebreo-tedesco. Per alcune sue
battaglie e per la sua storia personale non poteva non diventare
un’icona dell’antirazzismo e del dirittoumanismo.
La situazione – è facile immaginarlo – non è così lineare in tutta la vita del Nobel.
Come riconosce con lucidità John Stachel (Direttore del Center of Einstein Studies – Boston University) nel suo Einstein from B to Z,
il fisico – quando ancora viveva in Germania – “pareva aver accettato
l’allora prevalente visione razzista, invocando spesso i concetti di
razza e istinto e sostenendo che gli ebrei formavano una razza”[2]. L’anno prima (1920) di diventare premio Nobel, scriveva:
“L’antisemitismo
come fenomeno psicologico resterà con noi finché ebrei e non-ebrei sono
mescolati insieme. Dov’è il male in questo? Può essere grazie
all’antisemitismo che saremo in grado di preservare la nostra
sopravvivenza come razza, questo è in ogni caso ciò che credo”[3].
In
un’altra occasione rifletteva: “Le Nazioni con differenze razziali
sembrano avere istinti che lavorano contro la loro fusione.
L’assimilazione degli ebrei nelle nazioni europee… non riesce a
sradicare la sensazione di mancanza di parentela tra loro e quelli tra i
quali vivono. In ultima analisi, la sensazione istintiva di mancanza di
parentela è riconducibile alla legge della conservazione dell’energia.
Per questo motivo non può essere cancellata da qualsiasi quantità di
pressione. Le nazioni non vogliono essere fuse, vogliono andare ciascuna
per la sua strada. Uno stato di pace può essere ottenuto solo se le une
e le altre si tollerano e rispettano”[4].
Parlando
di alcuni effetti dell’assimilazione degli studenti ebrei tra i loro
coetanei arrivò a parlare di diverse “associazioni di studenti” e di
“riserbo cortese ma coerente rispetto ai Gentili [non ebrei]”: “Dobbiamo
essere consapevoli della nostra razza straniera e trarne le logiche
conclusioni. È inutile cercare di convincere gli altri della nostra
uguaglianza spirituale e intellettuale con argomenti razionali, quando
il loro atteggiamento non nasce affatto dalla ragione. Piuttosto
dobbiamo emanciparci socialmente, soddisfare i nostri bisogni sociali e
noi stessi. Dobbiamo avere le nostre società di studenti e adottare un
atteggiamento di riserbo cortese ma coerente rispetto ai Gentili. Vivere
in conformità col nostro stile e non imitando costumi che sono estranei
alla nostra natura. È possibile essere un europeo civilizzato e un buon
cittadino e al tempo stesso un Ebreo fedele che ama la sua razza e
onora i suoi padri. Se ricordiamo questo e agiamo di conseguenza, il
problema dell’antisemitismo, per quanto può essere di natura sociale, è
risolto”[5].
Einstein
ebbe anche significativi contatti con i vertici sionisti. Risulta
particolarmente curiosa una dichiarazione contenuta in una missiva
inviata dal dirigente tedesco Kurt Blumenfeld al futuro presidente
israeliano Chiam Weizmann il 15 marzo 1921. Lo scienziato era descritto
come “uomo dei più alti onore e solidità”, “interessato alla nostra
causa più fortemente a causa della sua repulsione per l’ebraismo
assimilato”[6].
Parlando poi di eventuali discorsi che avrebbe potuto tenere,
Blumenfeld mise in guardia il suo interlocutore: “Einstein is a poor
speaker and often says things out of naiveté that are unwelcome to us”[7].
Le
simpatie sioniste non devono stupire: nel giugno 1921 aveva
specificato, similmente a quanto già riportato, che “l’antisemitismo in
Germania ha anche conseguenze che, da un punto di vista ebraico possono
essere benvenute. L’ebraismo tedesco deve la sua esistenza continuativa
all’antisemitismo”[8].
Seppure
non senza oscillazioni ideologiche e con un’atteggiamento
“binazionale”, sul tema dell’adesione del fisico al “progetto nazionale
ebraico” sono necessarie diverse precisazioni. Ad esempio, la famosa
lettera al New York Times del 2 dicembre 1948 – firmata da molti
altri ebrei di spicco – in cui si attaccavano i “fascisti del sionismo”
del partito israeliano neorevisionista Herut (guidato da Menachem Begin, poi primo ministro negli anni ‘70),
non era, come a volte si sente, una condanna delle politiche del
governo dello Stato ebraico ma semplicemente un attacco ad un partito
minoritario. Quando la lettera fu pubblicata, le efferatezze del governo
laburista-sionista, consumate nel primo conflitto arabo-israeliano, si
susseguivano da molti mesi ma i firmatari non le avevano sostanzialmente
prese in considerazione. Fatta salva la conformistica condanna per
quella compagine d’opposizione “che nella organizzazione, nei metodi,
nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente
affine ai partiti Nazista e Fascista”, l’appello fu ipocritamente privo
di riferimenti agli altri movimenti che, essendo al potere, guidavano la
pulizia etnica della Palestina. Se questo non significa che Einstein
approvasse quei metodi, va detto che in ogni caso, quando lo Stato
ebraico venne fondato, lo scienziato “salutò l’evento con entusiasmo e
offrì generosamente il suo tempo per la raccolta di fondi”[9]. Lo scienziato nel 1948 arrivò a parlare, in relazione a questo evento, del “compimento di un antico sogno”[10]. Non solo: alle elezioni americane dello stesso anno supportò il Progressive Party
di Henry Agard Wallace, caratterizzato da posizioni nettamente
filoisraeliane, certamente più di quanto non lo fosse la dubbiosa
amministrazione di Washington.
Albert Einstein con i leaders sionisti Ben-Zion Mossinson, Chaim Weizmann (primo presidente israeliano) e Menachem Ussishkin, nel 1921. (Library of Congress, Bain Collection)
3. Voltaire: processabile per incitamento
Del
contributo illuministico all’avanzamento del razzismo moderno già molto
si è scritto. Si va dall’assunzione “dell’inferiorità naturale dei
negri rispetto ai bianchi [in Hume], all’equiparazione della nigrizia
con la stupidità [in Kant], alla generale accettazione dell’inferiorità
dei negri [in Monstequieu e Jefferson]”[11]. Lo stesso Voltaire pare affermare una forma di “suprematismo bianco”.
Carlo
Ginzburg rifletteva su questo tema: “Voltaire, che era senza dubbio un
razzista in senso lato, non aderì mai pienamente al razzismo in senso
stretto: ma vi arrivò molto vicino ogni volta che si trovò a parlare dei
neri. «La maggior parte dei negri, e tutti i cafri, sono sprofondati
nella stessa stupidità», scrisse nella Philosophie de l’histoire. Pochi anni dopo, nel 1775, aggiunse: «E vi marciranno per molto tempo»”.
Aggiungeva
che questo atteggiamento “nei confronti della questione della razza, e
più specificamente nei confronti dei neri, era largamente condiviso dai philosophes”[12].
Con
gli ebrei probabilmente era utilizzata una durezza persino maggiore.
Oggi scatterebbero “allarmi antisemitismo” per affermazioni ben più
moderate. Pur chiarendo che “non bisognava mandarli al rogo”, parlava
dei giudei dicendo: “Voi non troverete in essi che un popolo ignorante e
barbaro, che raggiunse dopo lungo tempo la più sordida avarizia e la
più detestabile superstizione e il più invincibile odio per tutti i
popoli che li tollerano e li arricchiscono”[13]. Alla voce “antropofago” del Dizionario filosofico disse che l’antropofagia era la sola cosa mancate al popolo israelitico “per essere il più abominevole popolo della terra”[14].
Cesare Medail, nel 1997 sul Corriere della Sera, riferiva l’uscita in libreria di un’operetta di Voltaire, che l’editore Gallone aveva sottotitolato: Il manifesto dell’antisemitismo moderno a cura del padre della tolleranza. Una “bestemmia laica”, ma il testo (la voce Juifs del Dizionario filosofico) era per lo meno ambiguo, “se è vero che fu usato contro gli ebrei nella Francia di Vichy”[15].
D’altro canto è bene ricordare che non tutti gli ebrei si lanciarono entusiasticamente tra le braccia degli illuministi.
Diversi
anni dopo la morte di Voltaire, in seguito ai fatti del 1789, se una
parte rilevantissima del giudaismo soccombette all’avanzata della
rivoluzione e ne ratificò gli esiti (si pensi al Sinedrio rabbinico
convocato da Napoleone), un’altra parte – affatto trascurabile – si
oppose, in nome della tradizione, al dilagare della “modernità” che gli
editti e le baionette francesi propagavano.
L’eminente rabbino Shneur Zalman di Liadi (detto l’Alter Rebbe - il Vecchio Rebbe - capostipite dell’importante dinastia Chabad)
non ebbe dubbi nell’appoggiare lo zar Alessandro I quando Napoleone
marciò sulla Russia: “Se Bonaparte sarà vittorioso, gli ebrei saranno
più ricchi e la loro posizione sociale migliorerà, ma il cuore del
nostro Padre celeste si allontanerà da loro. D’altro canto se il nostro
Zar Alessandro sarà trionfante, il cuore degli ebrei si avvicinerà al
Padre celeste, sebbene la povertà d’Israele aumenterà e la situazione
sarà peggiore”[16].
Questa
posizione è leggibile sia nell’ottica della consolidata abitudine
rabbinica all’ossequio del potere sia, lo abbiamo detto, nella
comprensibile resistenza antimoderna che le comunità più ortodosse erano
pronte a portare avanti. Il prof. Israel Shahak ci presenta non pochi
esempi di come gli israeliti europei accolsero con freddezza e
disappunto la nuova mentalità e le nuove norme “illuminate”. Giusto per
citare un caso, secondo Shahak, “Nicola I di Russia era notoriamente
antisemita e promulgò leggi antiebraiche in tutti i suoi stati, ma, al
tempo stesso rafforzò “legge e ordine”, non solo la polizia segreta ma
anche quella regolare e le gendarmerie locali, con il risultato che era
difficile ammazzare gli ebrei per eseguire gli ordini dei loro rabbini,
cosa che, nella Polonia di prima del 1795 era invece facilissima. La
storiografia “ufficiale” ebraica condanna Nicola sia per il suo
antisemitismo sia per aver impedito l’assassinio degli ebrei condannati a
morte dai rabbini”.
Ma
torniamo alla controversa icona di Voltaire. Lo scrittore francese
passò alla storia come uno dei più fieri critici del Cattolicesimo
Romano, la forza dei suoi attacchi era tale che lo portò a definire con
orrore e disprezzo la “setta cristiana”. Fu riconosciuto da molti come
il padre degli anticlericali ma – aspetto meno noto – alla fine dei suoi
giorni probabilmente tornò in comunione con la Chiesa. La genuinità di
questo evento è accettata da alcuni e respinta da altri, fatto sta che
in Le creature: ampio libro dell’uomo si riferisce che “si
contano due ritrattazioni di Voltaire, l’una del 30 marzo 1769, l’altra
del 2 marzo 1778. […] Nel 1778 dichiarò di essersi confessato dall’Ab.
Gauthier, e di aver domandato perdono a Dio ed alla Chiesa degli
scandali che avesse potuto dare”[17]. Il testo della ritrattazione fu pubblicato anche da Correspondance Littéraire, Philosophique et Critique, VOL. 12, (1753-1793), pp. 87-88.
4. Dalai Lama e Tibet: teocrazia, conservatorismo, legami con la CIA
Altro
santino frequentemente ritrovabile nelle tasche del “ceto medio
semicolto” è quello Dalai Lama: dalla sua immagine viene fatto irradiare
un non meglio precisato dirittoumanismo misto ad una certa dose di inopportuno Peace&Love.
Tra
i suoi sostenitori “progressisti” è probabilmente poco noto che nel
1939 fu ribattezzato “Sacro Signore, Gloria gentile, Compassionevole,
Difensore della fede, Oceano di saggezza”[18]. I tibetani non mancano di rivolgersi a lui come “Sua Santità” o Yeshe Norbu che significa “gemma che realizza i desideri”.
Se
risulta veramente ardua un’apologia della politica sociale e religiosa
della Repubblica popolare cinese, non può non essere riconosciuto il
carattere oppressivo del Tibet prima del definitivo intervento di
Pechino. Il governo era amministrato da ufficiali laici e monaci. Gli
ufficiali laici erano normalmente reclutati dall’aristocrazia terriera
ed ereditaria che consisteva di circa 150-200 famiglie. Queste erano
internamente differenziate in un piccolo gruppo alto-aristocratico di
circa 30 famiglie definite Depön Mitra e altre 120-170 “comuni” o
basso-aristocratiche. Le più alte normalmente possedevano più proprietà
mentre le altre una sola. Sebbene l’aristocrazia fosse ereditaria, vi
erano famiglie che occasionalmente venivano aggiunte a questi ranghi, ad
esempio ogni famiglia di ogni nuovo Dalai Lama era elevata alla
nobiltà. Questa novella aristocrazia veniva dotata di possedimenti
terrieri e servi della gleba: in questo modo inevitabilmente sviluppava
gli stessi interessi della vecchia aristocrazia[19]. Ordinariamente i tibetani erano de facto
servi della gleba che lavoravano la terra a beneficio del “padrone”
monastico. Sebbene ci fosse un minuscolo “ceto medio” di mercanti e un
ancora più piccolo gruppo di “liberi contadini”, molti tibetani vivevano
come “schiavi virtuali” del proprietario terriero che poteva (e
talvolta voleva) maltrattarli in modo orribile. In larga misura, gli
insegnamenti buddhisti erano utilizzati per mantenere questo sistema
sociale ingiusto e inumano[20].
Ai
giorni nostri, in campo etico, la dottrina del Dalai Lama rimane
sostanzialmente conservatrice. Un’intervista di Alice Thomson,
pubblicata su The Daily Telegraph fu riportata su La Stampa del 3 aprile 2006[21].
“Troppe persone in Occidente hanno rinunciato al matrimonio”, disse il
leader tibetano. Sulle coppie omosessuali pare non avere dubbi: “Il mio è
un no assoluto. Senza sfumature. Una coppia gay mi è venuta a trovare,
cercando il mio appoggio e la mia benedizione. […] Una donna mi ha
presentato un’altra donna come sua moglie: sconcertante”. Sulla certa
sessualità slegata dalla procreazione: “Lo scopo del sesso è la
riproduzione, secondo il buddhismo. […] Non posso condonare questo
genere di pratiche”. Sull’aborto non sembra più morbido: “Incontro donne
che in passato hanno abortito perché pensavano che un figlio avrebbe
rovinato le loro vite. Un bambino sembrava loro insopportabile, ma
adesso sono diventate più vecchie e incapaci di concepire. Mi sento così
triste per loro”. Ancora nel 2012 rispondendo a una domanda sul
contrasto tra religione e scienza durante la conferenza stampa tenuta
oggi al Forum di Assago di Milano: “Meglio evitare in linea generale le
pratiche dell’aborto, della clonazione e dell’eutanasia. Però i casi
sono specifici e vanno analizzati uno per uno”[22].
Gli
aspetti storici e dottrinali, rappresentano ovviamente solo una parte
della questione. Se, come accennato, la figura del buddhista viene
spesso associata ad un sostanziale pacifismo buonista, risulterà
interessante osservare determinati rapporti politici e militari tenuti
in passato.
A
Camp Hale in Colorado era presente un’area di addestramento della CIA in
cui venivano preparati i guerriglieri tibetani. Il programma iniziale
terminò nel dicembre 1961 anche se il campo rimase aperto fino ad almeno
il 1966. Dopo la guerra Cina-India, la CIA sviluppò una stretta
relazione con i servizi indiani nell’allenare e rifornire i militanti
del Tibet. La CIA Tibetan Task Force continuò fino al 1974 l’operazione – nome in codice St Circus
– con il fine di infastidire i cinesi. Pare che negli anni ’60
l’operazione tibetana costasse a Washington più di 1,7 milioni di
dollari all’anno, essi includevano 500.000 dollari per i guerriglieri
(di cui 2.100 armati) e 180.000 al Dalai Lama[23].
Quanto scritto fu ribadito recentemente anche da Webster Tarpley su Russia Today. Persino La Repubblica riferì, nel giungo 2012, di un’ampia inchiesta della Sueddeutsche Zeitung
che confermava e approfondiva questi fatti. Nell’articolo venne
riportata la dichiarazione di un veterano della resistenza tibetana:
“Uccidevamo volentieri quanti più cinesi possibile, e a differenza di
quando macellavamo bestie per cibarci, non ci veniva di dire preghiere
per la loro morte”[24].
5. Allende, massoneria ed eugenetica
Sebbene
venerato per anni come uno degli ispiratori del progressismo, anche
Allende dovette passare al vaglio della storiografia. Nel 2005 uscì il
libro di Víctor Farías intitolato Salvador Allende, antisemitismo y eutanasia.
Secondo l’autore la tesi di laurea con cui il giovane Allende si laureò
si sarebbe ispirata alle teorie positiviste di Cesare Lombroso, a
quelle razziali di Nicola Pende – che firmò in Italia il Manifesto della razza
– e alle teorie eugenetiche diffuse in Europa negli anni Trenta. Nel
libro si sostiene tra l’altro che vi fu un periodo della vita di Allende
in cui questi ”raccomandò la sterilizzazione e l’eutanasia, condannò
l’omosessualità, manifestò sentimenti antisemiti”. Il testo causò
l’indignazione della Fondazione Allende e un acceso confronto.
Se
è vero che nel 1937 fu tra i firmatari di un telegramma al governo
tedesco in cui si protestava contro la persecuzione degli ebrei, il suo
“antisemitismo” riguarderebbe in particolare la sua reazione alla
richiesta che Simon Wiesenthal gli rivolse nel 1972 per chiedergli
l’estradizione di un esponente del regime nazionalsocialista – Walter
Rauff – residente in Cile da alcuni anni.
Annota Sergio Romano sul Corriere della Sera:
“Quando
Wiesenthal chiese al Cile la sua estradizione, verso l’inizio degli
anni Sessanta, Rauff fu salvato da una sentenza della Corte suprema che
revocò il suo arresto. E quando il grande cacciatore di criminali di
guerra ripeté la richiesta, dieci anni dopo, Allende rispose che non
poteva contraddire il verdetto della corte: una decisione obbligata
secondo alcuni, una evidente dimostrazione delle sue vecchie simpatie
naziste secondo Farías. Siamo quindi di fronte a un processo indiziario
in cui i lettori del libro, probabilmente, saranno colpevolisti o
innocentisti a seconda delle loro convinzioni politiche”[25].
Aggiunge in seguito:
“L’eugenetica,
negli anni Trenta, andò molto di moda anche nei Paesi democratici (la
Svezia ad esempio) e non è sorprendente che un giovane medico, curioso e
ambizioso, ne fosse attratto. In secondo luogo è difficile comprendere
l’ospitalità offerta ai rifugiati tedeschi dal Cile e da altri Paesi
della regione senza tener conto della grande simpatia che la Germania
suscitò per molto tempo in America Latina e della grande influenza delle
comunità tedesche nel continente.
Per il Cile la Germania industriale, militare, accademica e scientifica fu un modello. Verso la fine degli anni Sessanta, quando il presidente cileno era il cristiano-democratico Eduardo Frei, assistetti a Santiago a una grande parata militare e vidi sfilare di fronte al palco delle autorità un esercito in cui tutto (stivali, alamari, passo di parata e persino «elmetti col chiodo ») sembrava uscito da un manuale del Reich guglielmino. È probabile che la comunità tedesca cilena abbia protetto Rauff e gli abbia assicurato l’impunità anche durante il regime socialista di Allende. Ma conviene ricordare che la stessa ospitalità fu garantita nel 1993, quando il generale Pinochet era ancora una personalità dominante della vita cilena, al leader della Repubblica Democratica Tedesca Erick Honecker che persino la Russia, due anni prima, aveva espulso dal suo territorio”[26]*.
Per il Cile la Germania industriale, militare, accademica e scientifica fu un modello. Verso la fine degli anni Sessanta, quando il presidente cileno era il cristiano-democratico Eduardo Frei, assistetti a Santiago a una grande parata militare e vidi sfilare di fronte al palco delle autorità un esercito in cui tutto (stivali, alamari, passo di parata e persino «elmetti col chiodo ») sembrava uscito da un manuale del Reich guglielmino. È probabile che la comunità tedesca cilena abbia protetto Rauff e gli abbia assicurato l’impunità anche durante il regime socialista di Allende. Ma conviene ricordare che la stessa ospitalità fu garantita nel 1993, quando il generale Pinochet era ancora una personalità dominante della vita cilena, al leader della Repubblica Democratica Tedesca Erick Honecker che persino la Russia, due anni prima, aveva espulso dal suo territorio”[26]*.
Fin
qui il dibattito. A lato di quanto scritto, paiono necessarie alcune
integrazioni. Se leggiamo direttamente la tesi di Allende è facile
notare come essa riferisca idee oggi considerate censurabili. L’
“omosessualità” interpretata come malattia e alcuni tentativi di cura
descritti in quelle pagine lasciano poco spazio ai dubbi sullo spirito
del tempo. Pur senza addentrarsi troppo in determinate questioni e senza
immedesimarsi troppo, il futuro presidente del Cile, descriveva un
tentativo di terapia che preveda “l’inserimento di pezzi di testicoli
nell’addome” del paziente.
Due anni prima che uscisse il libro di Farías, Ricardo Cruz-Coke sulla Revista Médica de Chile
scriveva che “Allende nacque in una famiglia borghese positivista e
radicale del secolo XIX. Uno dei suoi bisnonni, il Dr. Vicente Padin, fu
decano della Facoltà di Medicina nel 1863-64. Suo nonno, il Dr. Ramón
Allende Padin (1845-1884), medico capo nella Guerra del Pacífico e suo
padre, Salvador Allende Castro, avvocato, massone e radicale, fu tenente
di artiglieria della battaglia di Concón, nel 1891. [...]. Il futuro
presidente cileno, ripreso più volte in foto che lo ritraevano coi
paramenti massonici, entrò in loggia “nel 1929 e formò parte del gruppo
socialista Avance“[27]*.
Per
quanto concerne le sue posizioni scientifiche si ribadiva: “Allende
approfondì lo studio delle cause della criminalità, studiando con i
medici della Liga de Higiene Mental i progressi scientifici
dell’epoca. Le cause della criminalità si attribuivano all’azione
dell’eredità innata e alla sua interazione con fattori ambientali e
sociali. Allende proponeva per la prevenzione della criminalità la
correzione dei fattori sociali negativi e la sterilizzazione degli
insani affinché non trasmettessero i loro difetti ai discendenti, questo
concetto era molto in voga, in quell’epoca, in Germania e negli Stati
Uniti”[28].
Tra
la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta Allende fu ministro
della Salute nel governo del Fronte Popolare guidato da Pedro Aguirre
Cerda. In quegli anni “in Cile si creò una istituzione denominata Defensa de la raza y aprovechamiento de las horas libres
(Difesa della razza, e miglioramento delle ore libere, 1939), su
iniziativa del presidente Aguirre Cerda e altri. Nel frattempo Allende,
designò, in qualità di ministro, una commissione che studiasse un
Proyecto de Ley de Esterilización (Progetto di legge di sterilizzazione,
1940). Si tenga conto che mentre in Cile governavano i progressisti, in
Argentina no, Nell’uno e nell’altro Paese si definivano e delineavano formulazioni eugenetiche, come succedeva da altre parti”[29].
Nel
1939 il presidente Aguirre Cerda tenne un discorso segnalando che uno
dei sentimenti che doveva unire tutta la comunità nazionale era “l’amore
per la razza, la razza cilena”, a quel gruppo sociale, che “per noi è
tutto il nostro orgoglio, che ammiriamo e a cui vogliamo bene,
nonostante i difetti che può avere, come lo si fa verso la madre e la
bandiera. Fortificare la razza, formarla sana e fiorente, darle la gioia
di vivere, l’orgoglio di essere cileno è un sentimento che nessuno
dovrebbe negare a nessuno, indipendentemente dal mezzo che uno o l’altro
vedono come il più appropriato”[30].
L’adesione
di Allende alla massoneria, i progetti del governo di cui fece parte e
alcune sue posizioni che oggi risulterebbero sgradite a certi ambienti
progressisti non devono colpire, già abbiamo visto il caso di Voltaire e
dell’Illuminismo francese.
6. Che Guevara, “omofobo”[31] in Rolex
Tra gli dei del pantheon
moderno, quello che può vantare l’iconografia più ampia è certamente
Ernesto Guevara de la Serna: il volto del Che – su bandiere e magliette –
è tra i più stampati della storia. Dalle manifestazioni
filo-omosessualiste a quelle anti-banche l’effige di Guevara risulta
immancabile.
Partiamo
dai “gay”. Aviva Chomsky in A History of the Cuban Revolution
sottolinea come la sessuologia sovietica insieme al machismo
rivoluzionario cubano comportarono la repressione (ufficiale e non)
della non conformità sessuale nei primi decenni del nuovo governo,
toccando l’apice nella decade iniziale[32]. Come noto, in una parte rilevante di questo periodo, Guevara ebbe un ruolo importante nella dirigenza del Paese.
Non
pochi furono i maricones (termine con cui erano abitualmente definiti)
che furono deportati nelle Unidades Militares de Ayuda a la Producción
(UMAP), i campi di concentramento installati sull’isola[33].
Disse
Fidel Castro nel 1965: “Nulla impedisce ad un omosessuale di professare
l’ideologia rivoluzionaria e, come conseguenza, di esibire una corretta
posizione politica, eppure noi non arriveremo mai a credere che un
omosessuale possa incarnare le condizioni ed i requisiti di condotta che
ci possano permettere di considerarlo un vero rivoluzionario ed un vero
militante comunista. Una devianza di quel tipo si scontra con il
concetto che abbiamo di ciò che un militante comunista deve essere”[34].
La
questione della conformità sessuale nella rivoluzione cubana non è
certamente il solo tema che farebbe storcere il naso dei radical chic e
dei manifestanti “antifascisti” con la maglietta del Che. Sebbene non
classificabili come strettamente razzisti, alcuni suoi commenti sui
negros sembrano ben lontani dal politicamente corretto. Il biografo Jon
Lee Anderson ricorda che quando, nel suo viaggio giovanile, Guevara
arrivò nel quartiere negro di Caracas espresse pareri stereotipici che
riflettevano “l’arroganza e la sufficienza” bianca e “in particolare
argentina”[35].
Disse
in quell’occasione: “I negri, quei magnifici rappresentanti della razza
africana che hanno conservato la loro purezza razziale a causa di una
mancanza di affinità col lavarsi, hanno visto il loro territorio invaso
da un nuovo tipo di schiavo: il portoghese. E le due antiche razze hanno
iniziato una difficile vita insieme caratterizzata da liti e
sciocchezze di ogni genere. Il disprezzo e la povertà li uniscono nella
lotta quotidiana, ma il diverso modo di affrontare la vita li separa
completamente, il negro indolente e sognatore, spende i suoi soldi nel
bere e nelle frivolezze, l’europeo ha una tradizione di lavoro e di
risparmio, che lo segue fino a questo angolo d’America e lo spinge a
progredire, anche indipendentemente delle proprie aspirazioni
individuali”[36].
Anche
quando nel 1965 il Che prese parte alle lotte del Congo in sostegno dei
Simba, il giudizio sugli africani che combattevano al suo fianco non
era dei migliori, parlando della prevalente carenza di disciplina,
ricordava che in una specifica occasione fu impossibile utilizzare
tiratori congolesi, i quali “non sapevano tenere le loro armi e non
volevano imparare”[37]. Il 5 ottobre diede anche una lavata di capo ai dirigenti locali sottolineando “mancanza di disciplina, atrocità commesse, caratteristiche parassitarie dell’esercito”[38].
Leggendo i diari di Guevara in Congo, il Che
emerge come uomo d’ordine. Complessivamente il suo percorso politico e
militare pare più prossimo a certi esponenti del fascismo di quanto non
lo sia ai radical chic che lo sbandierano. Del resto lo stesso
socialismo sovietico ha caratteri più sovrapponibili a certo
nazionalismo sociale che non alla “sinistra europea”.
Per quanto sui generis, il Che
fu anche banchiere. Il 25 novembre 1959, fu nominato presidente della
Banca nazionale cubana. Nemmeno pareva tormentato da smanie pauperiste: “Guevara aveva comprato un certo numero di Rolex in Germania e li aveva dati ai suoi uomini più fidati, tenendone uno per sé”[39].
7. Conclusioni
I
titoli che sono stati scelti per i paragrafi, sono volutamente pungenti
ma utili a bilanciare l’ipocrisia storiografica di chi canonizza queste
figure. Il Che certamente non può essere storicamente archiviato
come un semplice “omofobo in Rolex” ma ancor meno può risultare
convincente la liturgia politicamente corretta che grava sulla sua
persona. Stesso discorso per tutti gli altri.
Uno
degli aspetti problematici, lo abbiamo accennato nell’introduzione, sta
nella dissoluzione della complessità dovuta alla frettolosa
santificazione pubblica di questi soggetti. Particolarmente stridente
con la propaganda che li avvolge è anche il fatto che gli elementi
descritti in queste pagine fossero spesso già noti al momento della loro
collocazione (avvenuta quando erano ancora in vita) nel Pantheon della “nuova religione” moderna.
La
lista che abbiamo riportato è ridotta e vale solo a titolo d’esempio:
mai come oggi le “pie” congregazioni deputate alla canonizzazione di
viventi sono attive e zelanti. Si pensi a ciò che ha rappresentato il
“Nobel per la Pace”, titolo affibbiato, tra gli altri, ad diversi
criminali di guerra e guerrafondai professionali.
Forse
inconsciamente Jovanotti cantava: “Io credo che a questo mondo esista
solo una grande chiesa/ che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre
Teresa/ passando da Malcolm X attraverso Gandhi e San Patrignano/ arriva
da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano”. Se si
seguisse questo principio, il Cattolicesimo e i Suoi santi potrebbero
ambire ad essere, al massimo, una parte poco significativa del nuovo
culto mondialista, in cui il “prete di periferia” è affiancato al Nobel
con le mani sporche di sangue o al massone cileno.
[1] Il tema di una certa “teologia della sostituzione” – in quei casi di stampo olocaustico – era già stato trattato in Antisemitismo e altre fobie. Dall’ebraismo virtuale all’Israel’s never ending Holocaust [Free Ebrei, giugno 2012] e in Lo smarrimento di David, rabbinato, antisemitismo e storia ebraica (con qualche riferimento cinematografico) [Rinascita, 17 maggio 2013].
[2] John Stachel, Einstein from B to Z, Center of Einstein Studies – Boston University, Springer, 2002, p. 68
[2] John Stachel, Einstein from B to Z, Center of Einstein Studies – Boston University, Springer, 2002, p. 68
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Albert Einstein, The World As I See It, Filiquarian Publishing, 2006, pp. 122-123.
[6] Kurt Blumenfeld, Im Kampf um den Zionismus: Briefe aus 5 Jahrzehnten,
Deutsche Verlags-Anstalt, 1976, p. 67. [“Einstein ist von höchster
Ehrlichkeit und Gründlichkeit und ist am stärksten für unsere Sache
durch die Abneigung gegen das assimilatorische Judentum interessiert”].
[7] John Stachel, Einstein from B to Z, Center of Einstein Studies – Boston University, Springer, 2002, p. 79.
[8] Albert Einstein, Einstein on Politics: His Private Thoughts and Public Stands on Nationalism, Zionism, War, Peace, and the Bomb, Princeton University Press, p. 151; Cfr.:
[9] Joan Comay, Who’s Who in Jewish History: After the Period of the Old Testament, Routledge, 2002, p. 123.
[10] Karen C. Fox, Aries Keck, Einstein A to Z, John Wiley & Sons, p. 145.
[11] Carter A. Wilson, Racism: From Slavery to Advanced Capitalism, SAGE, 1996, p. 14.
[12] Carlo Ginzburg, Il filo e le tracce: vero, falso, finto, Feltrinelli Editore, 2006, p. 123.
[13] Voltaire, Dictionnaire philosophique, Vol. 5, 1829, Parigi, pp. 462-463.
[14] Voltaire, Oeuvres complètes de Voltaire, Vol. 7, Chez Thomine et Fortic, Paris, 1821, p. 274.
[15] Cesare Medail, Voltaire, ovvero la tolleranza si è fermata al ghetto, Corriere della Sera, 9 dicembre 1997, p. 33.
[16] Gerard L. De Gré, The Social Compulsion of Ideas: Toward a Sociological Analysis of Knowledge, New Brunswick: Transaction Book, 1979, p. 48.
[17] Raimondo Sabunde, Le creature: ampio libro dell’uomo, Reggio, 1818, p. 195.
[18] James Z. Gao, Historical Dictionary of Modern China (1800-1949), Scarecrow Press, 2009, p. 90.
[19] Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet, 1913-1951: The Demise of the Lamaist State, University of California Press, 1989, p. 6.
[20] Natalie Goldstein, Religion and the State, Infobase Publishing, 2010, p.
[21] Sandro Magister, Parla il papa? No, è il Dalai Lama, http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/
[22] Dalai Lama: meglio evitare in generale aborto, clonazione, eutanasia, 27/06/2012, Libero.
[23] Pushpa Adhikari, China: Threat in South Asia, Lancer Publishers, 2012, p. 27; cfr.: Elizabeth Van Wie Davis, Ruling, Resources and Religion in China: Managing the Multiethnic State in the 21st Century, Palgrave Macmillan, 2012.
[24] Tibet, svelati dossier sulla guerriglia “I soldi della Cia al Dalai Lama”, 09/giu/2012, Repubblica.
[25] Sergio Romano, Allende e i suoi pretesi peccati di gioventù, 18/ott/2007, Corriere della Sera.
[26] Ibidem. *Di certi rapporti tra le dittature militari sudamericane e il blocco sovietico si era già trattato in Note sulla complessità della storia: spunti per ovviare alle semplificazioni propagandistiche [Rinascita, 4 aprile 2013].
[27] Ricardo Cruz-Coke, Revista Médica de Chile, vol. 131, 2013, p. 810.*Il
sito della fondazione Allende, sull’adesione alla Massoneria, dichiara:
“Allende se une a esta asociación filosófica en 1935”.
[28] Ibidem.
[29] Norma Isabel Sánchez, Alfredo G. Kohn Loncarica, La Higiene Y Los Higienistas En La Argentina: 1880-1943, Sociedad Científica Argentina, 2007, p. 213.
[30] Bernardo Subercaseaux, Historia de las ideas y de la cultura en Chile , Volume 3, Editorial Universitaria, 2004, p. 106.
[31]
Inutile dire che è da rigettare totalmente il significato che
correntemente viene attribuito a questo neologismo. Sembrava opportuno
citarlo e virgolettarlo ad uso di coloro che oggi ne sventolano l’effige
avanzando richieste circa i pretesi “diritti omosessuali”.
[32] Aviva Chomsky, A History of the Cuban Revolution, John Wiley & Sons, 2011, p. 146.
[33] Ibidem.
[34] Ibidem.
[35] Jon Lee Anderson, Che Guevara: A Revolutionary Life, Grove Press, 1997, p. 92.
[36] Ibidem.
[37] Ernesto Guevara, The African Dream: The Diaries of the Revolutionary War in the Congo, Grove Press, 2000, p. 38.
[38] Paco Ignacio II Taibo, Senza perdere la tenerezza. Vita e morte di Ernesto Che Guevara, Il Saggiatore, 2012, p. 625.
[39] Juan I. Siles del Valle, Gli ultimi giorni del «Che». Il nostro sogno era così grande, Dalai editore, 2009, p. 17.
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