l 22 dicembre 2005, otto mesi dopo la sua elezione, Benedetto XVI, presentando gli auguri natalizi, pronunciò un discorso di una certa importanza, che toccò alcuni punti essenziali del momento. Da allora quel discorso, per il suo contenuto, è stato considerato il discorso programmatico del nuovo Papa. Il 19 settembre scorso, il quotidiano della CEI, Avvenire, ha pubblicato il testo integrale dell'intervista del Direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, a Papa Francesco. L’intervista, condotta anche per conto delle altre testate della Compagnia di Gesù, è stata raccolta dal 19 al 23 agosto 2013, in quel di Santa Marta, albergo vaticano in cui alloggia il nuovo Papa. Nonostante la sua complessiva pochezza e la sua evidente povertà concettuale, questa intervista, pubblicata sei mesi dopo l’elezione di Bergoglio, si presenta come l’equivalente del discorso alla Curia di Benedetto XVI, poiché, per i punti che tocca, delinea con chiarezza il pensare e il sentire di questo nuovo Papa e, quindi, la linea direttrice del suo pontificato. L’intervistatore chiarisce che « Complessivamente abbiamo dialogato per oltre sei ore, nel corso di tre appuntamenti il 19, il 23 e il 29 agosto. Qui ho preferito articolare il discorso senza segnalare gli stacchi per non perdere la continuità. La nostra è stata in realtà una conversazione più che un’intervista…». Dal che si può dedurre che non si possa escludere una futura pubblicazione più corposa e particolareggiata di quanto oggi pubblicato, magari distribuita a mo’ di precisazioni correttive, che non guastano mai per esprimere il contorsionismo e la doppiezza dei moderni comunicatori di massa. Confessiamo che se non fosse per diversi punti particolarmente critici di questa intervista, siamo stati tentati di cestinarla, tanto è intrisa di luoghi comuni e di slogan più o meno articolati, ma siamo stati costretti a prenderla in debita considerazione per il semplice motivo che essa contiene così tante dichiarazioni anticattoliche che ci si chiede se è stato davvero un papa a profferirle. Il merito di tali dichiarazioni, peraltro, ci ha indotti a considerare che esse devono rappresentare, non solo ciò che pensa e crede Bergoglio, ma anche ciò che pensano e credono i cardinali che lo hanno eletto, non potendosi supporre che essi fossero all’oscuro dell’indole, del sentire e del credere dell’allora cardinale Bergoglio, noto arcivescovo di Buenos Aires. Anzi, è inevitabile ritenere che essi lo abbiano eletto proprio per queste sue caratteristiche, condividendole, approvandole e desiderando che fossero quelle del nuovo Papa e della nuova Chiesa che avevano e che hanno in mente. Per questi motivi abbiamo ritenuto che fosse più proficuo presentare le seguenti riflessioni distribuite in più parti, per permettere ai lettori di considerarle con una certa ponderatezza, non tanto per quello che scriviamo noi, quanto per quello che ha detto Papa Bergoglio. Seguiamo il testo pubblicato su Avvenire e incominciamo con la presentazione di padre Spadaro. |
Di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico? Sono necessarie riforme? Quali sono i suoi desideri sulla Chiesa dei prossimi anni? Quale Chiesa “sogna”?
«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate».
«Come stiamo trattando il popolo di Dio? Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade». «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio».
Un discorso che è un intero programma, una sorta di insegnamento “pastorale” autorevolmente espresso e accortamente divulgato attraverso i giornali.
Se si cogliessero delle frasi qua e là si potrebbe compilare un vademecum coerente, magari ortodosso, solo che con le rimanenti frasi verrebbe fuori un altro vademecum altrettanto coerente, ma eterodosso. Il discorso invece è unico, quindi l’insieme frammisto di ortodossia e di eterodossia lo connota, non solo come contraddittorio, ma in definita come non cattolico. È lo stesso processo discorsivo dei documenti del Vaticano II, a riprova del fatto che allora i vescovi non fecero un grande sforzo per licenziare dei testi controversi, contraddittorii e irricevibili, avallati come tali dall’allora papa regnante.
Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità.
La Chiesa cura le ferite dell’anima e siccome l’anima è l’anima di un uomo, la Chiesa ha misericordia per l’intero uomo, quindi anche per le sue sofferenze corporali. A volte questi nuovi preti della nuova Chiesa sembrano scoprire l’acqua calda e nel farlo assumono il piglio di chi ha scoperto una nuova grande verità.Eppure, anche il nuovo Catechismo conciliare ricorda che il buon cattolico deve praticare le opere di misericordia, sette di misericordia corporale e sette di misericordia spirituale. E queste 14 opere sono elencate con le corporali che precedono le spirituali, semplicemente perché la condizione ordinaria naturale dell’uomo è il punto di partenza da cui risalire fino al suo destino soprannaturale.
Qui invece Bergoglio sottolinea che oggi la Chiesa ha bisogno di praticare le opere di misericordia corporale, come se non l’avesse mai fatto, e si ferma lì, come se la cura per lo spirito, la salus animarum, non fosse il compito primario, la suprema lex Ecclesiae.
Di questo, non v’è traccia nelle parole di Bergoglio: la sua preoccupazione primaria e quindi fondamentale è la cura delle ferite [del corpo], l’afflato sentimentale per la tiepidezza dei cuori, l’accostamento all’uomo com’esso è. Una sorta di filantropia che la Chiesa dovrebbe praticare a prescindere dalla conversione delle anime; una cura del destino terreno a prescindere dal destino celeste.
E Bergoglio tiene a precisare che: “Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso.”
Dal basso, dice Bergoglio, non bisogna stare a guardare se il malato dentro di sé è infetto, e mai che mai di infezioni spirituali, bisogna guardare alle sue ferite esteriori, … non come avrebbe fatto la Chiesa finora che “a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti.”E già, perché per Bergoglio la patologia dell’anima che viola i precetti della Chiesa, cioè i precetti di Dio, è una piccola cosa.
Bisogna invece che “i ministri della Chiesa siano innanzitutto … ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate.”
E dalla metafora dell’“ospedale da campo” ecco che passa al concreto e parla più chiaramente; i peccati, le ferite, i ministri della Chiesa devono curarli e nella confessione non possono cavarsela col richiamo alla violazione del Comandamento, come la Chiesa ha fatto per duemila anni, né con la negazione del Comandamento, come gli uomini di Chiesa fanno a partire dal Vaticano II. No – dice Bergoglio - “i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia.”Che significa?
Significa che “ammonire i peccatori” non sarebbe più per Bergoglio un’opera di misericordia spirituale, perché il primo annuncio è “Gesù Cristo ti ha salvato!”, quindi, detto questo, non serve più ammonire i peccatori, non serve più compiere un’opera di misericordia spirituale, serve solo essere misericordiosi.
Contraddizione?
Ma no!, niente contraddizione, solo coerenza dell’incoerenza, ma facile da capire, perché Bergoglio spiega chiaramente cos’è per lui la misericordia: “I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato.”
Dice proprio così: Dio è più grande del peccato. Cioè Dio, che è misericordioso, non si impermalosirebbe per il peccato, quando mai!, nella sua grandezza lo trascurerebbe e si concentrerebbe a lavare misericordiosamente le ferite del corpo del peccatore.
Se non avessimo letto i Vangeli, quasi quasi cascheremmo in questa subdola trappola para diabolica. Ma siccome, grazie a Dio, abbiamo fatto il catechismo e abbiamo letto i Vangeli, sappiamo, per certo, che è di fede che:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.» (Mt. 6, 24-34).
Abbiamo riportato per intero questo passo con le parole di Nostro Signore perché in noi aumenta l’impressione che certi preti moderni non li abbiano mai letti. Sembra però davvero improbabile, e quindi, leggendo queste parole di verità e confrontandole con quelle dette da Bergoglio, siamo obbligati a considerare che, non potendosi supporre che questi preti non sappiano leggere, si deve concludere che storpiano volutamente l’insegnamento del Signore, piegandolo alle loro personali concezioni materiali, e provando così che alla base di tutto questo sta un modo d’essere, e quindi di pensare, che è fortemente lontano da Dio e altrettanto fortemente vicino all’uomo. È il paradigma del Vaticano II che, come certificato da Paolo VI (discorso di chiusura del Vaticano II), ha inventato un “nuovo umanesimo” che riconosce i valori del mondo contemporaneo che “sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette”, fino al punto che “anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”.
Ed è da questo paradigma che fluiscono a ruota libera le parole di Bergoglio.
È da questo modo d’essere che scaturisce la sua incredibile affermazione “Questo è Vangelo puro”. Il “suo” vangelo puro, non certo il Vangelo di Nostro Signore. Vangelo che dice anche:
«Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt. 25, 34-46).
Citazione volutamente lunga come la prima perché prova che il Vangelo non trascura questo aspetto della vita dell’uomo e della carità cristiana, ma lo include gerarchicamente nella conduzione di una vita retta e timorata di Dio, dove i “giusti” che hanno prima cercato il Regno di Dio agiranno di conseguenza come indicato dal Signore, mentre i “maledetti” non avranno agito come indicato dal Signore perché prima non hanno cercato il Regno di Dio.
Per secoli la Chiesa ha sempre insegnato che la prima preoccupazione dell’uomo dev’essere il timore di Dio e la sottomissione ai suoi Comandamenti, sono questi i fattori che permettono di piacere a Dio. Per far questo l’uomo dev’essere aiutato dalla società e dai fratelli, con uno Stato cristiano e la carità fraterna. Ma il presupposto per “ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”, come dice Nostro Signore, non è questo aiuto, bensì il fatto che ogni vero seguace di Cristo viva santamente, che sia ricco o che sia povero, che sia sano nel corpo o che sia malato, che sia nudo o che sia vestito, che sia libero o che sia imprigionato. Perché non è il fatto di essere oggetto della carità cristiana che salva, ma il fatto di essere fedele a Dio.
Qui invece Bergoglio sostiene che bisogna “riscaldare il cuore delle persone, … camminare nella notte con loro, … saper dialogare e anche … scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi”.
Non una parola sulla indispensabile conversione di coloro che vengono soccorsi, senza la quale ogni carità è vana. Anzi, dire che bisogna “scendere nella loro notte”, “nel loro buio” “senza perdersi”, significa prendere solo atto di questa notte e di questo buio, parteciparvi addirittura, lasciandoli inalterati; che è cosa nient’affatto caritatevole e nient’affatto cristiana.
Non è il fratello saziato che per ciò stesso va in Paradiso, ma è il fratello che, una volta saziato, ritorna a Dio, se se n’era lontano, o il fratello saziato che era già vicino a Dio indipendentemente dall’essere sazio o affamato.
Qui viene operata, prima una sminuizione dell’opera della Chiesa, anteponendo la carità alla fede, e poi un’inversione di essa, con la quale non sarebbe la Chiesa la guida degli uomini, ma gli uomini le guide della Chiesa… fino al punto che “I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade”.
L’inversione è palese, drammatica e dirompente, e viene introdotta subdolamente con un marchingegno linguistico: “i passi di Dio nel suo popolo” che, sintatticamente non significa un bel niente, ma dialetticamente dà per certa l’idea che là dove va il popolo, quella è la direzione voluta da Dio, fino a ricavarne la solita metafora assurda che sarebbero i pastori a dover seguire le pecore e non viceversa, perché “il gregge ha il fiuto per trovare nuove strade”.
Ovviamente, è più che evidente che qui Bergoglio non ha in mente un popolo santo prono nell’adorazione perpetua di Dio, ma il popolo attuale, e non solo il famoso “popolo di Dio” del Vaticano II, ma il popolo attuale nella sua totalità, comprensiva di “chi se n’è andato o è indifferente”, e sarebbe questo popolo che avrebbe “il fiuto per trovare nuove strade”.
Cosa per niente bizzarra, anzi comprensibilissima: basta guardare quello che accade da anni in seno a quelle che erano un tempo - funesto!? - le nazioni cattoliche, Argentina compresa: divorzi, famiglie distrutte, delinquenza giovanile, droga, aborti, depravazione casalinga, prostituzione maschile e femminile, culti satanici, sodomia, ecc.… tutte piaghe che tanti vescovi si limitano a lenire… tutte notti nelle quali tanti vescovi scendono per dialogare… tutti bui nei quali tanti vescovi si immergono senza perdersi, guidati come sono dal filo di Arianna che ormai è diventata sposa del Minotauro.
E su tutto questo Bergoglio appone il suggello del suo anello pastorale, che non a caso non è più volutamente d’oro, ma di ferro, simbolo dell’ultima età dell’umanità.
E Bergoglio chiude questa stupefacente tiritera con una confessione: Ma ci vuole audacia, coraggio.
Certo che ci vuole audacia… la stessa audacia di Lucifero che profferì il non serviam.
Penso a divorziati risposati, coppie omosessuali, altre situazioni difficili. Come fare una pastorale missionaria in questi casi? Su che cosa far leva? Il Papa fa cenno di aver compreso che cosa intendo dire e risponde.
«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». «Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».
«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». «Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».
«Dico questo anche pensando alla predicazione e ai contenuti della nostra predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».
«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione». «Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».
«Dico questo anche pensando alla predicazione e ai contenuti della nostra predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».
Dopo aver tratteggiato la teoria della nuova Chiesa da lui perseguita, Bergoglio ne abbozza la pratica, toccando quei punti che attengono a quelli che si usa chiamare principi irrinunciabili… almeno fino a ieri.
I punti sono diversi e le affermazioni di Bergoglio sono per un po’ sorprendenti e per il resto aberranti. Li esamineremo uno la volta.
L’omosessualità
“A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo.”
Ora, a parte la pochezza di quel “feriti sociali” che la dice lunga sull’acume di Bergoglio, ci si chiede in quale Chiesa egli sia cresciuto e sia stato ordinato prete e consacrato vescovo. Certo non nella Chiesa cattolica, perché quest’ultima ha sempre voluto condannare il peccato contro natura, dal suo Fondatore, Nostro Signore Gesù Cristo, fino al Catechismo, cioè fino a Bergoglio.“Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei Cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel Regno dei Cieli.” (Mt. 5, 17-19).
Ora, senza contare il sesto Comandamento: Non commettere atti impuri; ecco uno di questi “iota” di cui parla Gesù: “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio. … Non vi contaminate con nessuna di tali nefandezze; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi.” (Lev. 18, 22 e 24).
Quindi, secondo le parole di Nostro Signore, Bergoglio sarà considerato minimo nel Regno dei Cieli.
E quanto ancora più minimo dev’essere considerato dai giusti sulla terra?
E San Paolo prosegue dicendo:
“le loro femmine hanno mutato l’uso naturale in quello che è contro natura, e similmente anche i maschi, lasciando l’uso naturale della donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri, commettendo uomini con uomini cose turpi, e ricevendo in loro stessi la condegna mercede del proprio traviamento.” … “i quali, pur conoscendo che secondo il giudizio di Dio quelli che fanno codeste cose son degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette.” (Romani, 1, 26, 27 e 32).
“Non v’illudete; né i fornicatori, né gl’idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti, … erediteranno il regno di Dio.” (1 Corinzi 6, 9 e 11).
“la legge è fatta non per il giusto, ma per gl’iniqui e i ribelli, per gli empî e i peccatori, per gli scellerati e gl'irreligiosi, per i percuotitori di padre e madre, per gli omicidi, per i fornicatori, per i sodomiti…” (1 Timoteo, 1, 9-10).
E San Giovanni Crisostomo (349 – 407) prosegue dicendo:
“Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l’anima viene più danneggiata e degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore fra tutte le passioni è la bramosia fra maschi.” … “Perciò non solo le loro passioni sono sataniche, ma le loro vite sono diaboliche.” … “Qualsiasi peccato tu nomini, non ne nominerai nessuno che sia uguale a questo, e se quelli che lo patiscono si accorgessero veramente di quello che sta loro accadendo, preferirebbero morire mille volte piuttosto che sottostarvi” (Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos; cfr. Patrologia Graeca, vol. 47, coll. 360-362).
E Sant’Agostino (354 - 430) prosegue dicendo: “I delitti che vanno contro natura, ad esempio quelli compiuti dai sodomiti, devono essere condannati e puniti ovunque e sempre. Anche se tutti gli uomini li commettessero, verrebbero tutti coinvolti nella stessa condanna divina.” (Confessioni, cap. 3, 8).
E San Gregorio Magno (540 - 604) prosegue dicendo: “Era quindi giusto che i Sodomiti, ardendo di desideri perversi originati dal fetore della carne, perissero ad un tempo per mezzo del fuoco e dello zolfo, affinché dal giusto castigo si rendessero conto del male compiuto sotto la spinta di un desiderio perverso” (Commento morale a Giobbe, XIV, 23).
E San Pier Damiani (1007 - 1072) prosegue dicendo: “Questo vizio non va affatto considerato come un vizio ordinario, perché supera per gravità tutti gli altri vizi. Esso infatti, uccide il corpo, rovina l’anima, contamina la carne, estingue la luce dell’intelletto, caccia lo Spirito Santo dal tempio dell’anima” (Liber Gomorhanus, in Patrologia Latina, vol. 145, coll. 159-190).
E San Bonaventura (1217 - 1274) prosegue dicendo: “Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò san Gerolamo commentando il salmo ‘È nata una luce per il giusto’, per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità” (Sermone XXI, In Nativitate Domini, inOpera Omnia, vol. IX, p. 123).
E San Tommaso d’Aquino (1224 - 1274) prosegue dicendo: “L’intemperanza è sommamente riprovevole, Innanzitutto perché ripugna sommamente all’umana eccellenza … Secondariamente perché ripugna sommamente alla nobiltà ed al decoro” … “Ma i vizi che violano la regola dell’umana natura sono ancor più riprovevoli. Essi vanno ricondotti a quel tipo di intemperanza che ne costituisce in un certo modo l’eccesso, è questo il caso di coloro che godono nel cibarsi di carne umana, o nell’accoppiamento con bestie, o in quello sodomitico” (Summa Theologica, II-II, q. 142, a. 4); e aggiunge: “nei peccati contro natura in cui viene violato l’ordine naturale, viene offeso Dio stesso in qualità di ordinatore della natura” (Summa Theologica, II-II, q. 154, a. 12).
E Santa Caterina da Siena (1347 - 1380), riferendo gli insegnamenti ricevuti da Gesù stesso, prosegue dicendo: “Non solo essi hanno quell’immondezza e fragilità, … ma quei miseri non raffrenano quella fragilità: anzi fanno peggio, commettendo il maledetto peccato contro natura. Quali ciechi e stolti, essendo offuscato il lume del loro intelletto, non conoscono il fetore e la miseria in cui sono; poiché non solo essa fa schifo a Me[Gesù], … ma dispiace anche ai demoni, che di quei miseri si sono fatti signori.” (Dialogo della divina Provvidenza, cap. 124).
E San Bernardino da Siena (1380 – 1444) prosegue dicendo: “Non v’è peccato al mondo che più tenga l’anima, che quello della sodomia maledetta; il quale peccato è stato detestato sempre da tutti quelli che sono vissuti secondo Iddio” … “Come della gloria di Dio ne partecipa più uno che un altro, così nell’Inferno vi sono luoghi dove vi sono più pene e ne sente più uno che un altro. Più pena che un altro, sente uno che sia vissuto con questo vizio della sodomia, perché questo è il maggior peccato che ci sia” (Predica XXXIXin Prediche volgari, pp. 896-897 e 915).
E San Pietro Canisio (1521 - 1597) prosegue dicendo: “Come dice la Sacra Scrittura, i sodomiti erano pessima gente e fin troppo peccatori. San Pietro e san Paolo condannano questo nefasto e turpe peccato. … Di questa turpitudine mai abbastanza esecrata sono schiavi coloro che non si vergognano di violare la legge divina e naturale” (Summa Doctrina Christianae, III a/b, p. 455).
E San Pio V (1504 - 1572) prosegue dicendo: “Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza indugi quelle cose che, sia con l’autorità delle Sacre Scritture che con gravissimi esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all’ira: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della bestemmia e l’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze.” … “Sappiano i magistrati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazione.” … “Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l’ira divina piombò sui figli dell’iniquità, verrà consegnato per punizione al braccio secolare, e se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato privato di ogni grado” (Costituzione ApostolicaCum primum, 1 aprile 1566, in Bullarium Romanum, t. IV, c. II, pp. 284-286).
E prosegue dicendo: “Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin dal principio del Nostro Pontificato (Costituzione Cum primum), stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito consegnato all’autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in questo abisso” (Costituzione ApostolicaHorrendum illud scelus, 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, t. IV, c. III, p. 33).
E il Catechismo Maggiore promulgato nel 1910 da San Pio X (1903 – 1014), insegna:
966 D. Quali sono i peccati che si dicono gridare vendetta nel cospetto di Dio?
R. I peccati che diconsi gridar vendetta nel cospetto di Dio sono quattro:
1. omicidio volontario; 2. peccato impuro contro l'ordine della natura; 3. oppressione dei poveri; 4. fraudare la mercede agli operai.
967 D. Perché si dice che questi peccati gridano vendetta al cospetto di Dio?
R. Questi peccati diconsi gridare vendetta al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi.
E perfino il Catechismo della Chiesa Cattolica promulgato nel 1992 da Giovanni Paolo II (1920 - 2005) – che Bergoglio canonizzerà tra poco – insegna:
2336 - La Tradizione della Chiesa ha considerato il sesto Comandamento [non commettere atti impuri] come inglobante l’insieme della sessualità umana.
2357 – L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. … Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. … In nessun caso possono essere approvati.
E lo stesso Giovanni Paolo II, nell’enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993), affermerà, al n° 81:
Insegnando l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi, la Chiesa accoglie la dottrina della Sacra Scrittura. L’Apostolo Paolo afferma in modo categorico: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio» (1 Cor 6,9-10).
Ci scusiamo con i lettori per la lunghezza di queste citazioni, ma partendo dall’affermazione di Bergoglio, secondo cui “la Chiesa non vuole fare questo”, cioè condannare l’omosessualità e gli omosessuali, queste citazioni ci permettono di affermare in tutta tranquillità che Bergoglio mente.
Ora, se mente sapendo di mentire o mente per ignoranza, nulla cambia sul mentire e sulla gravità della menzogna che, prima ancora di essere una menzogna nei confronti dei fedeli, è una menzogna nei confronti di Dio, visto che questa intervista pur non avendo i requisiti formali dell’insegnamento magisteriale è stata fatta ed è stata presentata come fosse un’enciclica.
E non è temeraria la nostra considerazione, perché, quando Bergoglio precisa che
“ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo”, questo suo dire rivela che in realtà egli approfitta del suo stato di capo della Chiesa, o di vescovo di Roma, come ama chiamarsi, per sciorinare affermazioni senza senso; poiché se per lui il “vescovo di Roma” è nessuno, ne consegue che noi che siamo veramente nessuno abbiamo un’autorevolezza anche maggiore di “questo vescovo di Roma”; soprattutto quando “questo vescovo di Roma” si permette di affermare: “Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo”, cosa che è palesemente falsa, come si vede dalle citazioni precedenti.
Ed è inutile che poi cerchi di aggiustare la frittata chiamando in causa, improvvidamente, Dio stesso: “Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”.
Questo maldestro e temerario tentativo di mettere Dio di fronte alla drastica alternativa “o affetto o condanna”, è non solo squallido, ma soprattutto blasfemo, poiché Dio non sceglie mai secondo le categorie mentali di un Bergoglio qualsiasi, ma secondo la sua perfetta giustizia, dando ad ognuno il suo: ai “benedetti del Padre mio” “il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” e ai “maledetti” il “fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt. 25, 34-46).
Ed è su questo principio di giustizia, che viene da Dio, che si fonda il sacramento della Confessione, non sulle opinioni umane come afferma Bergoglio: “Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo.”
Affermazione equivoca, perché è logico che il confessore deve valutare “caso per caso”, se non altro perché ha di fronte singole persone, diverse l’una dall’altra, e non una folla che confessa dei peccati generici; ma è altrettanto logico che quel “caso per caso” corrisponde a “peccato per peccato”, e il confessore valuta la gravità del peccato commesso e confessato da quella persona, ed è sulla base di questa gravità che assolverà con la corrispondente penitenza la persona o non la assolverà affatto per la sua impenitenza. Perché il confessionale non è “il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo”, ma il luogo dove si amministra il sacramento sulla base del comando di Nostro Signore:
“A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.” (Mt. 16, 19).
“In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.” (Mt. 18, 18).
“Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi.” (Gv. 20, 22).
“sarà legato o sciolto… i peccati saranno rimessi o non rimessi” dice il Signore, perché il confessore non è un notaio che registra i peccati confessati, magari dicendo: “chi sono io per giudicare” o tenendo presente che ognuno deve seguire la sua coscienza fino in fondo.
No, Il confessore è colui che, su mandato di Cristo, valuta, quindi giudica, e in base a questo assolve o non assolve, cioè lega o scioglie il peccatore, qui in terra e lì in Cielo, in nome e per conto di Nostro Signore.
Il peccatore, non il peccato, che è stato sconfitto una volta per tutte dal Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo.
Il peccatore, che è una persona, e verso la quale non si prativa semplicemente la misericordia, ma la giustizia di Dio, come Lui stesso ha comandato ed ha disposto.
Questo non impedisce al cristiano di nutrire pietà per il peccatore, né di usargli misericordia in terra, ma nel far questo, guai a lui se lo facesse disattendendo la giustizia, perché diventerebbe complice del peccatore e sostenitore del peccato.
E diventerebbe sostenitore del peccato anche quando si limitasse ad esercitare misericordia supponendo, erroneamente, che il confessionale sia “il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo”. Perché Bergoglio dimentica di precisare: “meglio che possiamo di quanto dobbiamo”. Senza questa aggiunta resta l’uomo peccatore che fa del suo meglio per non peccare, ma continua a peccare, diventando un peccatore impenitente sulla base della sua intima incontrollata natura, come dice San Paolo:
“…infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.” (Romani, 7, 19-23).
La preventiva giustificazione di Bergoglio, poi, è peggiore della successiva equivoca affermazione appena vista, poiché introduce una nuova categoria della fede: l’ingerenza spirituale. Un’assoluta novità che demolisce in toto la missione della Chiesa e con questo i comandi di Nostro Signore: “La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile.”
Questa premessa spiega bene perché Bergoglio si lasci andare ad uno strafalcione dopo l’altro, come quelli che abbiamo visto e che vedremo ancora.
Qui egli afferma due cose assurde eppure possibili in una logica anticattolica:
la prima che la Chiesa è un ente qualsiasi che esprime opinioni, al pari dell’uomo della strada al bar dello sport;
la seconda che il libero arbitrio prevale su queste opinioni; cosa che potrebbe pure aver una qualche giustificazione, se fosse vero che la Chiesa esprime opinioni e se si parlasse correttamente di libero arbitrio informato dalla grazia santificante, ma evidentemente Bergoglio non riesce ad arrivare fin là.
In effetti, però, né la Chiesa è un ente qualsiasi, ma un’istituzione divina assistita dallo Spirito Santo, né il libero arbitrio è sempre informato dalla grazia santificante, come ricorda sempre San Paolo, al contrario:
la Chiesa ha il dovere di comandare agli uomini, in nome e per conto di Cristo, di fare il bene e fuggire il male, esercitando così non una “ingerenza spirituale”, ma un’azione salutare per il bene delle anime;
il libero arbitrio è connotato dal peccato originale, così che dev’essere regolato dalla volontà di fare il bene seguendo gli insegnamenti della Chiesa.
Un papa che non sa queste cose non deve stare a Roma, sul Soglio di Pietro, ma in una parrocchia, sul banco dei catechizzanti; perché in quel posto, a Roma, fa solo danno alla Chiesa, riducendola a mera opinionista e azzerando la sua missione evangelizzatrice, e procura la perdizione delle anime dei fedeli.
Divorzio e aborto
E Bergoglio, ormai lanciato a briglia sciolta, si esibisce in un’altra capriola dottrinale: “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”
Già, che cosa fa il confessore? Bergoglio non lo dice, ma da buon gesuita lo lascia intuire, fidandosi forse della coscienza di chi leggerà questa sua enciclica mediatica.
Un “matrimonio fallito” dice Bergoglio, lasciando intendere che quando Nostro Signore comanda: “Non avete letto che il Creatore … disse: … l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto” (Mt. 19, 4-6), non si riferisce al matrimonio tra un uomo e una donna, ma solo ai matrimonii riusciti, lasciando ai coniugi di quelli falliti la possibilità di fare come pare loro o, come dice Bergoglio, “come meglio possono”.
Qui, Bergoglio non contraddice la legge di Dio e quindi della Chiesa, la stravolge semplicemente aggiogandola ai cavalli forsennati del laicismo e dell’ateismo imperanti; non peritandosi di spacciare questa stoltezza come insegnamento della Chiesa, invece che come mera stolta opinione del vescovo di Roma venuto dalla [per la] fine del mondo.
Logicamente, questa donna, che forse sarà un’amica fraterna di Bergoglio, “ha pure abortito”, cosa che a Bergoglio non fa la minima impressione, perché non spende una parola sull’argomento.
Non solo, ma dopo aver abortito ed aver cancellato il suo matrimonio, venendo meno all’impegno preso davanti a Dio e agli uomini, ecco che questa donna ci riprova, con un altro uomo, con cui fa cinque figli; tranquilla, come se fosse tutto normale, tanto che “vorrebbe andare avanti nella vita cristiana”.
Ma scusi, signor papa, pardon signor vescovo di Roma, ma come fa questa sua amica (?) a voler continuare una cosa che ha deliberatamente rotto e in maniera pervicace? Come può pretenderedi “andare avanti nella vita cristiana”, se è stata lei a smettere di vivere una vita cristiana? Come può pretendere di “andare avanti nella vita cristiana”, nella Chiesa cattolica, se è stata Lei a separarsi dalla Chiesa contraendo un nuovo matrimonio?
Forse la risposta non ce l’ha neanche Bergoglio, visto che lascia in sospeso il suo stesso interrogativo: “cosa fa il confessore?”, e allora lascia al confessore il compito di sbucciare la patata bollente.
Ma non può frenarsi dal buttare lì, quasi inavvertita, un’altra bombetta puzzolente, tanto il carnevale ormai c’è tutto l’anno.
“Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli”, dice Bergoglio, infilando nel suo ragionamento un dato importante, ma buttato lì secondo le migliori tecniche delle moderne facoltà di “scienza della persuasione occulta”.
Oh, bella!, dice Bergoglio, in definitiva questa donna “adesso è serena con cinque figli”, cioè, in fondo, poverina, ha trovato la serenità e per di più ha fatto cinque figli… mica uno, cinque. Quale maggior merito?
Così che spunta, quando meno te lo aspetti, un’altra nuova categoria della fede: si può anche peccare, perfino gravemente, ma se poi si fanno cinque figli ci si riscatta… figuriamoci se poi se ne fanno 10… vuoi vedere che si va dritti dritti in Paradiso?
Una sorta di nuova lettura della Genesi: così che dove sta scritto: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra” (9, 1), andrebbe letto, forse secondo l’ermeneutica della riforma nella continuità: “tu, donna, pensa a fare figli, in qualunque modo, con qualunque uomo, basta che si riempia la terra… e tu, uomo, pensa ad ingravidare la donna, qualunque donna, basta che si riempia la terra…”.
Una forzatura? Certo che è una forzatura, ma è Bergoglio che la fa quando tira fuori la storia stucchevole dei cinque figli, per solleticare un certo sentimentalismo da quattro soldi e fare accettare meglio la sua difesa del divorzio.
Una difesa del divorzio che si accompagna alla relativizzazione di aborto, ecc.: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione”.
In fondo Bergoglio, a modo suo, è onesto, perché precisa che tutto è relativo, sia i dogmi, sia la morale: “Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti”, afferma, e lo fa alla luce di quello che ha detto prima: “Ma quando se ne parla [di aborto, matrimoni omosessuali e uso dei metodi contraccettivi], bisogna parlarne in un contesto”.
Che, tradotto in termini spiccioli, significa: non esiste il dogma e la morale, supposti derivanti da Dio, ma solo la dottrina e la morale di situazione: tutto va visto in un contesto!
Caro papa, pardon vescovo di Roma, ma se tutto va visto in un contesto, già col Vangelo potremmo fare i primi distinguo, essendo il contesto del Vangelo distante duemila anni dal contesto attuale! Ma allora anche il vescovo di Roma non ha più ragion d’essere, perché il contesto è cambiato!
E non se ne venga fuori con la storia della volontà di Dio, perché è proprio Lei che sta insegnando che la volontà di Dio, espressa nell’insegnamento della Chiesa, non conta più tanto, sia perché può essere letta in tanti modi, anche contraddittori, come abbiamo visto finora, sia perché non tutti gli insegnamenti hanno uguale valore e devono essere vagliati in base al contesto.
Per ultimo, per adesso, ci soffermiamo brevemente su un’affermazione che è una confessione. Bergoglio non intende assumersi la responsabilità derivante dal suo stato, non intende adempiere al suo dovere di stato: “Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione”.
Che significa?
Forse che da quando la Chiesa ne ha parlato, gli uomini, e i fedeli, non hanno più violato i precetti della Chiesa, che sono i comandi del Signore?
Forse che Nostro Signore non ha comandato a Pietro, per tre volte: “pasci i miei agnelli”, “pasci le mie pecorelle”, “pasci le mie pecorelle” (Gv. 21, 15, 16 e 17), ma gli ha solo affidato il compito di stampare un catechismo e venderlo nelle librerie?
La leggerezza di Bergoglio è sintomo della sua irresponsabilità, perché un papa non deve mai smettere di predicare il Vangelo e con esso di insegnare cos’è lecito e cos’è illecito, cos’è bene da seguire, perché le anime si conducano in Paradiso, e cos’è male da fuggire, perché le anime non precipitino nell’Inferno.
E questo deve farlo sempre, continuamente, insistentemente, vigorosamente, come dice San Paolo a Timoteo: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.” (2 Timoteo, 4, 1-2).
E questo San Paolo lo diceva 2000 anni fa.
Forse che oggi non sarebbe più valido? Per il cambio del “contesto”?
O forse non è maggiormente necessario e urgente oggi, che viviamo nei tempi profetizzati dal santo Apostolo: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.” (2 Timoteo, 4, 3-4).
Un papa che sia un papa, un vescovo che sia un vescovo, un prete che sia un prete, un uomo di Chiesa che sia un uomo di Chiesa, non può esimersi, neanche con un sofisma, dal seguire docilmente e minutamente quanto raccomandato dal santo Apostolo: “Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.” (2 Timoteo, 4, 5).
Adempi il tuo ministero, dice San Paolo!
(segue)
parte prima
parte seconda
parte terza
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