ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 4 dicembre 2013

“GESÙ PIANGE IN PARADISO PER LE PAROLE DEL PAPA”

1. . LA DESTRA USA CONTRO BERGOGLIO! - 2. TEA PARTY: “GESÙ PARLAVA ALL’INDIVIDUO, MAI ALLO STATO O ALLA POLITICA DEL GOVERNO. ERA UN CAPITALISTA, CHE PREDICAVA LA RESPONSABILITÀ PERSONALE, NON UN SOCIALISTA” - 3. LIMBAUGH IL PIÙ POPOLARE COMMENTATORE DELLA DESTRA ESTREMA: LA CHIESA FATTURA MILIARDI E PARLA DI POVERTÀ. IO SONO STATO VARIE VOLTE IN VATICANO: NON ESISTEREBBE, SENZA TONNELLATE DI SOLDI. È PURO MARXISMO, CHE ESCE DALLA BOCCA DEL PAPA” - 4. “LA CHIESA CATTOLICA AMERICANA HA UN BILANCIO ANNUALE DA 170 MILIARDI DI DOLLARI. PIÙ DI QUELLO CHE LA GENERAL ELECTRIC INCASSA OGNI ANNO. LA CHIESA È IL PRINCIPALE PROPRIETARIO EDILE A MANHATTAN. HANNO UN SACCO DI SOLDI. RACCOLGONO UN SACCO DI SOLDI. NON POTREBBERO OPERARE COME FANNO, SENZA UN SACCO DI SOLDI” -
Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
Papa Francesco è un marxista, e la Chiesa cattolica è ipocrita a criticare il capitalismo che la finanzia. Con la sua consueta violenza verbale, il commentatore radiofonico americano Rush Limbaugh ha scatenato una nuova polemica, dietro cui però si legge il risentimento più o meno esplicito del mondo conservatore Usa verso Bergoglio.
Il motivo dell'attacco è la «Evangelii Gaudium», che Limbaugh ha criticato in una trasmissione intitolata «It's Sad How Wrong Pope Francis Is (Unless It's a Deliberate Mistranslation By Leftists)», ossia «è triste quanto sbagli Papa Francesco (a meno che non sia una traduzione deliberatamente manipolata dalla sinistra)». Il più popolare commentatore della destra estrema, come al solito, non ha usato toni miti: «È triste, incredibile. Il Papa ha scritto, in parte, sui mali intrinseci del capitalismo. È triste perché fa capire che non sa di cosa parla, quando si tratta di capitalismo e socialismo».
Limbaugh ha descritto la «Evangelii Gaudium» come un assalto alla «nuova tirannia del capitalismo» e un attacco alla «idolatria del denaro», per poi criticarla così: «Io sono stato varie volte in Vaticano: non esisterebbe, senza tonnellate di soldi. Ma a parte ciò, qualcuno ha scritto questa roba per lui, o gliel'ha fatta arrivare. È puro marxismo, che esce dalla bocca del Papa. Capitalismo senza limiti? Non esiste da nessuna parte. Il capitalismo senza limiti è una frase socialista per descrivere gli Stati Uniti. Senza limiti, non regolati».
Limbaugh ha denunciato i mali del socialismo e i benefici del capitalismo, inclusa la «trickle-down economic», e si è dichiarato «sbalordito» dalle parole di Francesco: «La Chiesa cattolica americana ha un bilancio annuale da 170 miliardi di dollari. Penso sia più di quello che la General Electric incassa ogni anno. La Chiesa è il principale proprietario edile a Manhattan. Voglio dire: hanno un sacco di soldi. Raccolgono un sacco di soldi. Non potrebbero operare come fanno, senza un sacco di soldi».
Limbaugh è tanto popolare, quanto controverso. Nonostante sia incline a dare lezioni di morale, in passato era stato arrestato in Florida per abuso di sostanze stupefacenti, assunte attraverso un traffico di antidolorifici. Durante l'ultima campagna elettorale invece era stato costretto alle scuse pubbliche, quando aveva definito Sandra Fluke, una studentessa di Georgetown che appoggiava la riforma sanitaria di Obama, come una prostituta.
Limbaugh però ha circa venti milioni di ascoltatori, ha un contratto da 400 milioni di dollari per condurre il suo show, e non è il solo a ragionare così. Tanto per fare un altro esempio Jonathon Moseley, esponente del Tea Party, ha scritto sul «World Net Daily» che «Gesù sta piangendo in Paradiso per le parole del Papa». Cristo in persona, secondo Moseley, aveva rigettato la teoria della redistribuzione, quando gli avevano chiesto se era giusto che un fratello condividesse con gli altri famigliari un'eredità ricevuta: «Gesù parlava all'individuo, mai allo Stato o alla politica del governo. Era un capitalista, che predicava la responsabilità personale, non un socialista».
Almeno un gruppo cattolico, la Catholics in Alliance for the Common Good, ha criticato Limbaugh e lanciato una petizione per denunciarlo, ma il mondo conservatore americano è in fermento dall'elezione di Francesco. Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI pensava di avere solidi alleati in Vaticano, tanto per come Papa Wojtyla aveva aiutato a demolire l'Urss, quanto per come lui e Ratzinger si erano impegnati contro l'aborto e nella difesa della vita.
Intellettuali tipo Richard John Neuhaus si erano convertiti dal protestantesimo, e filosofi come Michael Novak avevano esaltato la nuova dottrina economica della responsabilità, nonostante anche Giovanni Paolo e Benedetto non avessero mancato di denunciare gli eccessi del capitalismo. I conservatori cattolici ora sono rimasti sconcertati soprattutto dalle parole di Francesco sui temi della vita, e quelli protestanti sull'economia. Ad alzare la voce sono gli estremisti, ma la discussione è aperta.
«Ebbi un'insegnante verso la quale concepii rispetto e amicizia, era una comunista fervente». Lo ha raccontato Papa Francesco nell'intervista concessa ad Eugenio Scalfari.
«Spesso - ha rivelato il Pontefice - mi leggeva e mi dava da leggere testi del Partito comunista. Così conobbi anche quella concezione molto materialistica. Ricordo che mi fece avere anche il comunicato dei comunisti americani in difesa dei Rosenberg che erano stati condannati a morte».
«La donna di cui le sto parlando - ha aggiunto - fu poi arrestata, torturata e uccisa dal regime dittatoriale allora governante in Argentina».
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-ges-piange-in-paradiso-per-le-parole-del-papa-la-destra-usa-contro-67715.htm

Nueva izquierda bergogliana

La chiesa dall’anti comunismo all’anti trickle-down economy. La vera svolta della “Evangelii Gaudium”

Papa Francesco sta di nuovo creando un terremoto nella chiesa cattolica. Martedì ha reso noto la sua prima esortazione apostolica, dichiarando che c’è un nuovo nemico per la chiesa cattolica: il capitalismo moderno. “Alcune persone continuano a difendere le teorie trickle-down per le quali la crescita economica, incoraggiata da un mercato libero, avrà inevitabilmente successo nel creare maggiore giustizia e inclusività nel mondo”, ha scritto. “Quest’opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fede un po’ grezza e ingenua nella bontà data dall’esercitare quel potere economico e nei meccanismi  sacralizzati dell’attuale sistema economico”. Non poteva essere più chiaro. Il Papa ha assunto una posizione politica ferma contro le politiche economiche tendenti a destra, a favore del libero mercato, e la sua condanna sembra essere largamente concentrata sull’Europa e sugli Stati Uniti. Il suo esplicito riferimento alle politiche economiche “trickle-down” – caratteristiche di Ronald Reagan, di Margaret Thatcher, e dei loro successori politici – è solo l’inizio: attraverso le 224 pagine che descrivono il futuro della chiesa, egli condanna la disuguaglianza di reddito, “la cultura della prosperità”, e “un sistema finanziario che detta le regole piuttosto che seguirle”.
Vista nel contesto dell’ultimo mezzo secolo di cattolicesimo romano, questa è una mossa radicale. Cinquant’anni fa, al tempo del Concilio Vaticano II, i leader della chiesa avevano silenziosamente indicato un nemico molto diverso: il comunismo. Ma il messaggio comunitario e populista di Papa Francesco dimostra quanto significativamente sia cambiata la rotta della chiesa in cinque decenni – e quanto il capitalismo abbia capillarmente sostituito il comunismo in veste di monolitica filosofia politica.
Nel 1962, all’apertura del Concilio Vaticano II a Roma, l’Europa era fortemente divisa.Nel suo libro “Che cosa è successo nel Vaticano II”, lo storico gesuita John O’Malley dipinge lo scenario: la Cortina di Ferro era caduta. Per il cattolicesimo essa aveva rappresentato, fra le altre cose, che persino le più semplici comunicazioni con i vescovi e i fedeli dell’Europa dell’est erano molto difficili e irte di pericoli. L’arresto e il processo del primate d’Ungheria, il cardinale József Mindszenty, nel 1948, aveva aperto gli occhi al pubblico sul comportamento brutale tenuto dal regime comunista nei confronti della chiesa. Lì, la soppressione ancor più brutale della rivoluzione da parte delle truppe russe nel 1956 fu solo l’ennesima conferma che non era possibile alcuna riconciliazione fra “il mondo libero” e il blocco sovietico. Tredici anni prima, alla fine della Seconda guerra mondiale, la Santa Sede aveva ufficialmente scomunicato i comunisti dalla chiesa cattolica e dichiarato che tale ideologia era agli antipodi dei principi cardine della fede. Ma alla vigilia del Concilio, non era altrettanto chiaro se la maggioranza della gerarchia cattolica avrebbe sottoscritto una dichiarazione simile. Diversi vescovi dai paesi comunisti non erano stati in grado di recarsi a Roma, dato che erano stati negati loro i visti. Anche se alcuni di loro, in particolare quelli del blocco orientale, insistevano per una dichiarazione netta contro il comunismo, il Concilio non prese mai in considerazione la proposta di prendere ufficialmente posizione.
Prima della sua morte nel 1963, il Papa che aveva convocato il Concilio, Giovanni XXIII, scrisse un’enciclica, la “Pacem in Terris”, che affrontava la questione della “pace universale”. Pur non condannando il comunismo, sosteneva la democrazia. “Il fatto che l’autorità provenga da Dio non significa che gli uomini non abbiano alcun potere nello scegliere chi debba governare lo stato, o nel decidere che tipo di governo vogliono”, scrisse. “Di conseguenza, l’insegnamento che ne deriva è coerente con qualsiasi forma democratica di governo”. L’anno seguente, il successore di Giovanni XXIII, Papa Paolo VI, fece una dichiarazione molto più chiara contro il comunismo nella sua enciclica “Ecclesiam Suam”: “Dobbiamo ripudiare quelle ideologie che negano Dio e opprimono la chiesa”, egli scrisse. “Queste ideologie sono spesso identificate con i regimi economici, sociali e politici; il comunismo ateista ne è un esempio lampante”. Anche se in termini in qualche modo solo difensivi, la chiesa aveva chiarito la sua posizione politica ed economica: rifiutava il comunismo, e in modo specifico la sua soppressione della religione, in favore dell’occidente e della democrazia – che erano strettamente legati ai principi economici del libero mercato. Molti anni più tardi, al Papa polacco Giovanni Paolo II fu attribuito il merito di aver aiutato a sconfiggere il regime comunista nella sua nazione, dove la chiesa cattolica dava ospitalità agli artisti e ai pensatori anti comunisti affinché tenessero discussioni e distribuissero scritti contro il regime.
Alla luce di questa tensione di lungo corso fra la chiesa e il comunismo, la postura aggressivamente anticapitalista di Papa Francesco appare ancora più rimarchevole. Il vescovo di Roma non solo ha condannato ciò che considera il fallito libero mercato – egli ha condannato l’etica e l’ideologia sottostanti alle economie di libero mercato. “La cultura della prosperità ci indebolisce; siamo eccitati se il mercato ci offre qualcosa di nuovo da comprare”, scrive Francesco. “Allo stesso tempo, tutte le vite che non riescono a svilupparsi a causa della mancanza di opportunità ci sembrano una mera rappresentazione; non riescono a commuoverci”. Egli scrive: “E’ vitale che i leader di governo e quelli finanziari facciano attenzione e allarghino i loro orizzonti, lavorando in modo da assicurare che tutti i cittadini abbiano un lavoro dignitoso, istruzione e assistenza sanitaria… Mentre i guadagni di una minoranza crescono esponenzialmente, anche il gap che separa la maggioranza (delle persone) dalla  prosperità della quale gode tale minoranza si allarga sempre più… Di conseguenza, essi rifiutano il diritto degli stati, che devono anche vigilare sul bene comune, di esercitare una qualsiasi forma di controllo. E’ dunque nata una nuova tirannia, invisibile e spesso virtuale, che impone unilateralmente e implacabilmente le sue leggi e regole”.
“Una nuova tirannia,” infatti. Chiaramente, Francesco non considera più il comunismo una significativa minaccia ideologica, il che è ancora più significativo date le sue origini argentine. Anche se i dittatori di sinistra hanno avuto un’influenza spropositata sulla politica e l’economia dell’America latina dello scorso mezzo secolo, il Papa sembra vedere una minaccia ben più grande nella politica e nell’economia di una regione differente: quella degli Stati Uniti e dell’Europa.
In termini di “strategia della chiesa”, per così dire, questo obiettivo appare particolarmente significativo. Lungo lo scorso decennio, i leader della chiesa cattolica romana hanno combattuto una crisi dopo l’altra, incluse numerose accuse di abusi su minori. In Europa, le comunità cattoliche registrano un calo delle presenze nella frequentazione della chiesa e dell’interesse nell’intraprendere la vita sacerdotale, specialmente dopo le recenti rivelazioni in Irlanda sugli abusi nei confronti dei bambini di scuole ed orfanotrofi diretti dalla chiesa.
Ma l’affiliazione alla chiesa cresce più a sud, in America latina e in Africa.Significativamente, queste sono regioni con economie in via di sviluppo che sono state colpite in modo particolarmente duro dalle crisi finanziarie degli scorsi cinque anni. Forse questo trend fa parte della motivazione papale. I luoghi dove il corpo della chiesa sta crescendo più rapidamente sono anche quelli dove vivono le persone più povere al mondo – persone che sono vittime del capitalismo di libero mercato, dice Francesco. L’attuale crisi finanziaria può portarci a trascurare il fatto che essa ha avuto origine in una profonda crisi umana: la negazione del primato della persona umana! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vello d’oro (cfr. Esodo, 32, 1-35) è tornata in una veste nuova e spietata, nell’idolatria del denaro e nella dittatura di un’economia impersonale che manca di un scopo veramente umano. La crisi mondiale che colpisce la finanza e l’economia mette a nudo i loro squilibri e, soprattutto, la loro mancanza di una preoccupazione genuina per l’essere umano; l’uomo viene ridotto semplicemente a uno dei suoi bisogni: il consumo.
In parte, potrebbe incanalare una frustrazione diffusa nel suo gregge. La disoccupazione giovanile ammonta al 40 per cento in Italia e al 56 per cento in Spagna – due delle nazioni più cattoliche d’Europa. Anche se la Grecia non è una nazione a predominanza cattolica, continua a essere un simbolo di un più ampio malcontento sulle politiche economiche europee di austerity. Le dure parole di Francesco sembrano catturare questo spirito di protesta contro l’ordine economico dominante.
Ma indicano anche qualcosa di importante sul cambio di rotta ad allontanarsi dagli Stati Uniti e dal capitalismo di stile europeo dal punto di vista geopolitico. La dichiarazione del Papa segna un importante riallineamento ideologico per la chiesa di Roma. Nel dichiarare che la chiesa è contraria al libero mercato, il Papa ha dato notevole peso e legittimazione ai gruppi progressisti e alle politiche di governo di sinistra. Se non fosse stato già chiaro, il pronunciamento conferma che gli spettri della chiesa del XX secolo stanno svanendo, quantomeno in Vaticano. Il Papa ha ufficialmente dichiarato che c’è un nuovo nemico.
di Emma Green
*Questo articolo è stato pubblicato dall’Atlantic il 26 novembre scorso (Traduzione di Sarah Marion Tuggey)
http://www.ilfoglio.it/soloqui/20921
ho letto con attenzione lo spazio che il Papa dedica nella Evangelii Gaudium ai problemi economici della contemporaneità. Un campo decisamente minato per ogni Pontefice. In questo caso, tuttavia, il Papa ha preferito non servirsi della retorica propria delle pontificie commissioni, ha voluto, piuttosto, esprimere con decisione la sua personale posizione; una novità insieme interessante e stimolante perché nel farlo il Papa parte da premesse in larga parte condivisibili. Sono le conclusioni ad apparire, al contrario, decisamente insostenibili. Magari le mie opinioni sembreranno azzardate, ma in mezzo agli Osanna qualche Miserere non guasta.
Partiamo da un dato fattuale. Oggi viviamo in un contesto economico connotato dalla drammatica trasformazione dei paesi occidentali da paesi di produttori e consumatori in paesi di consumatori di prodotti realizzati altrove. Con la conseguente perdita progressiva di ricchezza delle masse, la creazione di una élite sempre più ricca (controllori e promotori della produzione sono in gran parte sempre occidentali), cui corrisponde per riflesso la mancata emersione dei paesi che oggi producono dalla loro condizione di sottosviluppo e la nascita di un sempre più vigoroso conflitto sociale fra popoli che ambiscono non semplicemente alla ricchezza, quanto alla partecipazione allo spettacolo globale dei consumi, e popoli in fase di benessere declinante.
Al Papa questa realtà sembra piuttosto chiara. Ma non intende approfondire in una esortazione sull’evangelizzazione i suoi moventi e le sue dinamiche, finendo così per banalizzare i problemi. In particolare instaura tutto il suo discorso sulla natura di due categorie sociali: i ricchi e i poveri. Ora, ciò che mi stupisce è che il Papa guardi ai ricchi e ai poveri come a due veri e propri “stati”, non come a condizioni provvisorie della natura umana, realtà flessibili determinate dalla libera capacità di intrapresa dell’uomo. E partendo dalla dialettica tra questi stati ne evince un quadro sempre gestito su registri contrapposti: i ricchi non hanno etica, i ricchi creano un mondo iniquo, i ricchi creano un mondo squilibrato. I poveri invece sarebbero assetati di giustizia, di equità sociale e per raggiungere questi valori positivi serve in generale la panacea dell’etica. Il tutto con un unico scopo: favorire la felicità umana e la valorizzazione della dignità dell’uomo che attualmente sarebbero strette nelle mani dei soli ricchi.
Purtroppo la realtà – e non certo da oggi, bensì da epoche immemori – è ben più scandalosamente prosaica. Come spiegare infatti al Papa che i “migranti” (parola così carica di commozione), ad esempio, che oggi giungono in Europa non sono semplicemente assetati di equità e giustizia sociale, ma sono molto spesso illusi dal fantasmagorico bengodi del consumismo occidentale? Come spiegargli che queste masse in movimento si spostano e rischiano la vita consapevolmente per poter garantire un arricchimento più spedito alle loro famiglie nella madrepatria (quanti miliardi di euro transitano ogni giorno dai money transfer europei alla volta del resto del mondo?) e per poter godere di un telefonino che nelle polverose vie del loro villaggio africano mai potranno ammirare, per poter restare imbambolati dinanzi alle vertiginose minigonne delle donne occidentali che in Pakistan possono solo sognare, per contare modelli di macchine che da loro non esisteranno mai, per poter in sintesi immergersi nel paradisiaco immaginario dei consumi occidentali e della stessa deriva morale occidentale? E questo discorso naturalmente vale anche per gli occidentali “nuovi poveri”. Tutti intrappolati nella bolla dell’esteriorità, del benessere, della tecnologia, dell’apparire e dell’avere. Tutti. E quando si esprime il desiderio di “liberare” i poveri e i Paesi poveri allargando ad essi il benessere, si cade nell’errore di pensare che il benessere non solo consista nel “modello” occidentale, ma che questo modello possa essere concepito senza lo sfruttamento di qualcuno. E’ l’intero sistema economico capitalistico a non lasciare scampo. A generare un mondo diviso fra indifferenti nel benessere e indigenti intrappolati nella loro condizione, senza vie d’uscita, perché la società libertina, dell’io elevato ad unico metro della realtà e della morale, non conosce solidarietà, non conosce valori alternativi a quelli che incrementano l’egoismo e cristallizzano il proprio status. In più questa società altamente specializzata ed industrializzata, non conosce più aree di sussistenza. La produzione del cibo è pressoché totalmente incontrollabile, è inserita in una macchina industriale alla quale il “povero” (ma anche il ricco) non può accedere con la stessa facilità di cui poteva godere solo un secolo fa. E quando l’uomo non ha più controllo alcuno della produzione alimentare il cibo che non è più frutto del lavoro, diventa una sorta di riempitivo di innumerevoli vuoti morali e sociali. Di qui l’osceno spreco di risorse alimentari dell’occidente che nella realtà non è uno spreco, ma una prevista conseguenza dell’industrializzazione alimentare. Senza quello spreco molte aziende del settore food non sopravviverebbero e neppure molte aziende del settore pubblicitario. E ciò significherebbe un numero elevato di disoccupati, quindi una creazione di nuova povertà. E senza la ricchezza dell’industria, senza le risorse della produzione, neppure la Chiesa potrebbe avvalersi di risorse finanziarie (per lo più donazioni di chi gode di un benessere più o meno ampio) per prendersi cura dei poveri. Una società nella quale viga semplicemente la logica della solidarietà è una utopia. Perché, al fondo, la solidarietà non è un imperativo sociale, ma morale, riguarda la mia, la tua anima, interroga l’intimo, non gli stati e neppure le economie che ne ignorano logicamente il significato.
Chi è la vittima e chi è il carnefice, dunque? Non saremo forse proprio tutti carnefici di noi stessi e non sarà che poveri e ricchi siano tutti sulla stessa barca… alla deriva? Questo il Papa non lo può dire. Perché ha un effetto più consolatorio descrivere un mondo diviso fra masse sempre più povere e ricchi sempre più potenti. Ed è bello ergersi a paladini dei poveri che sembrano sempre più relegati ai margini della società. Il problema è che oggi non parliamo di poveri emarginati o esclusi da una società gaudente. Parliamo di intere società ridotte in stato di povertà (il mio cuore va alla Grecia). E la povertà non è solo quella del denaro (non dovevamo smetterla di idolatrare il denaro?), ma è anche e soprattutto quella dello spirito. E ad essere poveri di spirito sono oggi tutti, ricchi e poveri, potenti e loro schiavi. E questo perché? Perché non esiste più una viva autorità spirituale in grado di richiamare tutti a principi non meramente sociali e di riscatto mondano o economico, ma a principi metafisici, spirituali, che riguardino il nostro destino di anime e non solo di uomini. Se si guarda all’uomo come un essere bramoso di benessere e felicità su questa terra, si finirà per inseguire una utopia. Abbiamo invece bisogno di qualcuno che spezzi le catene dell’intero sistema, ricordandoci la nostra uguaglianza di anime poste sotto il giudizio di Dio.
Torniamo però alle parole del Papa. In particolare ai paragrafi seguenti. Leggiamoli insieme attentamente:
“55. Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! [al contrario la crisi antropologica nasce dall'affermazione del primato dell'uomo demiurgo] Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. 56. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice [siamo proprio sicuri che sia felice? Cos'è dunque la felicita? Forse l'essere più vicini al benessere e al denaro?]. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria [due concetti nettamente separati]. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta.”
Ora, anzitutto dovremmo comprendere come uscire dall’idolatria del denaro. Di certo non se ne esce redistribuendo il denaro o ampliando il potere d’acquisto della maggioranza dei cittadini del mondo. Potere d’acquisto vuol dire infatti proprio questo: potere di consumare. E mi sembra che il Papa non auspichi una società di consumatori totali. Dunque c’è qui una potente contraddizione, un loop logico. Come dire, da un lato “basta denaro e basta consumismo”, e dall’altro “più denaro per tutti e più consumi per tutti”. E tutto ciò pare piuttosto contraddittorio. Tanto più che il problema sembra incardinato per il Pontefice nella mancata ingerenza degli Stati negli affari economici. Nella mancata regolamentazione. E invece il problema sta nel totale asservimento degli Stati alle esigenze della finanza e del sistema bancario, nell’asservimento degli Stati alle dinamiche del debito, ma anche nell’asservimento dell’uomo alla logica dell’economia come unico metodo di liberazione sociale. Cosa fanno gli Stati oggi se non rubare ai cittadini per preservare le loro strutture burocratiche e di potere? E in che modo possiamo pensare che l’ambiente non sia rispettato per ordine dei potenti, quando noi per primi, da banali consumatori, produciamo quotidianamente montagne di rifiuti, inquiniamo senza sosta, obbedendo ai nostri desideri tecnologici, alimentari o per mero diletto? Sono forse le masse umane vittime di piccoli gruppi feroci di potere, o non sono esse complici e con esse tutti coloro che dovrebbero trasferire ai popoli l’esercizio della virtù, il valore della provvisorietà della vita terrena e dell’eternità dell’anima?
Non è la condizione sociale, né la dimensione del portafoglio, né la condizione di equità o iniquità a determinare la liberazione o la salvezza dell’uomo. Non è dunque neppure lo sforzo encomiabile per avere un mondo più giusto e meno diviso fra ricchi e poveri a poter costituire una via evangelica. Se vogliamo evangelizzare dobbiamo liberarci dalle catene dell’economia e dobbiamo aiutare gli uomini di buona volontà non solo ad esercitare virtù e misericordia, ma dobbiamo additargli un bene che è al di sopra delle miserie umane, al di là dei limiti sociali, molto molto più potente del banale potere di una umanità decadente. Questa è la vera sfida.
Quando il Papa invece si lancia in filippiche un po’ démodé contro la “corsa agli armamenti” ripropone la solita contrapposizione fra ricchi e poveri mentre la reale ragione delle guerre è non solo il controllo delle risorse che possano prolungare il benessere di chi l’ha già raggiunto, ma anche l’imposizione di una monolitica governance mondiale fondata sugli stessi disvalori e sulla stessa visione dell’uomo. Perciò ci si arma, perciò si esercita un controllo serrato sugli individui, perché tutti possano pensarla allo stesso modo, ossia convergere verso l’univoca realtà del potere teso a creare una dimensione umana totalmente, radicalmente nuova. Il Potere che cerca il controllo della vita e della morte dell’uomo, della riproduzione, della sessualità, dei consumi, degli interessi, dello sviluppo culturale, del destino delle nazioni. Ecco il vero Moloch da combattere. Un Moloch che non è semplicemente amorale ma sommamente immorale. E la dialettica fra ricchi e poveri non è che una interessante scenografia non nuova, un corollario drammatico ma inevitabile di questa lotta del Potere contro l’uomo. Se gli Stati poi non regolamentano la finanza la ragione sta nell’accesso al potere che è regolato dall’intreccio diabolico fra politica, mezzi di comunicazione, impresa, finanza e banche. Tutti coloro che scalano la vetta del potere in ognuno di questi ambiti finiscono per essere accomunati da una medesima visione, da un univoco spirito, che li induce a preservare e incrementare l’attuale disordine sociale cui corrisponde d’altro canto un ferreo ordine di potere. Questo intreccio non lo si infrange con i richiami e la moral suasion. Lo si infrange chiamandolo per nome. Lo si infrange denunciandone le alchimie sociali, denunciandone l’opera di manipolazione dell’uomo esercitata su tutti i fronti. E creando d’altro canto piccoli semplici ricettacoli di santità spirituale.
Ma il Papa, in verità, arretra proprio laddove avevano avanzato (sotto il fuoco di fila del nemico) i suoi predecessori. I temi cosiddetti morali sono l’ultima frontiera. E non occorre ricordare che dobbiamo essere sempre gioiosi per obliterare l’ultima vera trincea della Chiesa che lotta contro il Potere che si sta organizzando sempre più in una univoca e centralizzata macchina di deformazione dell’umanità. Spostandosi sul piano del conflitto sociale ed economico il Papa ripercorre battaglie di retrovia, pronuncia espressioni che andavano bene sulla bocca di uno studente militante sessantottino – penso a “l’uomo a una sola dimensione” (citazione del marxista Marcuse) -, ma non pare cogliere l’essenziale veleno della società contemporanea che è il disordine, il caos morale e sociale, la perdita di autorità, la perdita delle idee, la perdita della bellezza, la perdita dell’identità. Anche, in ultimo, la perdita del cielo.
Ecco perché fatalmente le esortazioni del Papa sembrano non mostrare ancora il cielo nell’opera di evangelizzazione e rischiano di trasformare l’attività della Chiesa in edulcorante dei malesseri sociali. Che cattura i sentimenti delle masse perché le deresponsabilizza e le giustifica nelle loro rivendicazioni sociali ed economiche, ma non lascia intravvedere in tutto ciò il Regno dei Cieli la cui porta è stretta non solo perché possano passarvi solo i poveri o i sofferenti ma perché l’uomo facilmente dimentica di essere creatura sottomessa e obbediente del Signore.
“Tutti restano quasi unicamente atterriti dagli sconvolgimenti, dalle stragi, dalle rovine temporali. Ma se consideriamo i fatti con occhio cristiano, com’è dovere, che cosa sono tutti questi mali in paragone della rovina delle anime? Eppure si può dire senza temerità essere tale oggi l’andamento della vita sociale ed economica, che un numero grandissimo di persone trova le difficoltà più gravi nell’attendere a quell’uno necessario all’opera capitale fra tutte, quella della propria salute eterna.” Pio XI, Lettera Enciclica Quadragesimo Anno, 1931.
In copertina: Hans Memling, Il Giudizio Universale (1471), particolare. Il giorno del giudizio avremo angeli che ci traggono dalla parte della salvezza e demoni che si contendono le nostre anime. L’amore del Signore cerca di salvarci sempre, ma la nostra forza, la nostra volontà nell’operare in vita secondo la Sua legge, ci aiuteranno a districarci fra luce e tenebre in quel momento definitivo. Sembriamo vivere come se nulla possa accaderci e come se la misericordia del Signore possa superare indenne ogni nostro impegno. Diventiamo perfino accidiosi nel gradito compiacimento del perdono. Ma il Signore ci vuole forti e vigili. Dall’agone di questa vita, dipende la nostra eternità nella salvezza o nella dannazione. 
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