ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 3 dicembre 2013

Riflessioni sul cafonal ecclesiastico

Il prete che diede del “tu” al papa e lo chiamò per nome. 

Il parroco di San Cirillo a Roma, nel salutare il Sommo Pontefice osa così rivolgerglisi: «…. grazie, Francesco, perché sei qui tra noi… avevamo davvero bisogno di un Papa che risvegliasse i nostri cuori dal lungo torpore della noia».

E ha detto tutto! Su se stesso e sull’altro papa. La rivoluzione inizia sempre con un “tu” e con un calcio in bocca a tutto quel che “c’era prima”. Ma non la “rivoluzione di papa Francesco”, la rivoluzione del cafonal clericale, dopo il quale viene il caos

di Antonio Margheriti Mastino

1001458_10200579178534774_422173223_n

  Il prete che dà del “tu” al papa e lo chiama per nome

E veniamo alla seconda cazzata della giornata (la prima la trovate ne “La Cuccia del Mastino).
Visita l’altro pomeriggio del Papa alla parrocchia romana San Cirillo Alessandrino, per le cresime a nove ragazzi. Sui quali è a questo punto lecito domandarsi “come” e su “cosa” siano stati catechizzati. Semmai lo sono stati.
Sì, se già il parroco nel salutare il Sommo Pontefice osa così rivolgerglisi – secondo uno stilema sentimentalistico ormai dominante sui media, perché è davanti la tv, ed è già grasso che cola, che si forma molto clero, non sulla dottrina – così, dunque, osa e dice: «…. grazie, Francesco, perché sei qui tra noi… avevamo davvero bisogno di un Papa che risvegliasse i nostri cuori dal lungo torpore della noia». E facciamo finta di non aver avvertito il calcio in bocca all’immediato e vivente predecessore di Francesco.

Le domande che sorgono a queste affermazioni di prete-medio sono tante, nessuna simpatica e vanno al di là del protocollo, ruotano tutte intorno a cose essenziali invece, ammesso che la stessa “forma”, l’educazione almeno, non siano “essenziali” all’Essenziale. E qui il cattivo esempio viene direttamente dal papa, i cui risvolti nefasti dell’andazzo che ha inaugurato, seppur in buona fede, si vedranno più in là, sul clero più che sui fedeli. Ma prima ancora che domande, suscita ricordi questo fatto. A me, almeno.

Quel puzzo di ipocrisia e ideologia clericale

Don Marco Ridolfo, parroco a San Cirillo Alessandrino, periferia Est di Roma, dove papa Francesco ha cominciato l'Avvento domenica 1 dicembre
Don Marco Ridolfo, parroco a San Cirillo Alessandrino, periferia Est di Roma, dove papa Francesco ha cominciato l’Avvento domenica 1 dicembre
Il ricordo di un giovane prete neppure troppo di “periferia esistenziale” che qualche anno fa dipingeva dal pulpito-palcoscenico con tinte rosse e va da sé sentimentalistiche Giovanni Paolo II, e lo faceva unicamente per dir male senza dirlo del papa in carica, che chiaramente non poteva che Benedetto XVI.
Pure costui, alla stessa maniera di questo prete di San Cirillo, improvvisò un sms rosa ad alta voce spedito «A te Karol… che ci hai fatto rivivere per un po’ in una Chiesa che è sembrata più umana, ma che è stata solo una dolce illusione, una meteora. Prima di ritornare nel buio inquisitorio, nella regola che prende il posto dei sentimenti, nella morte della gioia, nella noia». Già, incantò gli altri, ma non me che meglio degli altri sapevo come davvero stessero le cose. E fra poco saprete.
Così disse, dunque, e capite bene allora come io oggi sia sobbalzato sentendo la stessa canzona sbattuta in faccia al papa da questo pretaccio della malora, da tal cafone da sacrestia. E sono sobbalzato per una ragione precisa: per quel puzzo di ipocrisia e ideologia clericale disperse in un vuoto cosmico che mi suscitano immantinente il vomito.
Sì, infatti quel prete che io ascoltai all’epoca, sarà stato il 2006, mi meravigliò non poco. Mi meravigliò soprattutto la parola “sentimento” in bocca a lui, che non so perché mi sapeva di “pesca amorosa” e di fellatio. Ma m’impressionò specialmente la parola “noia”: mi chiedevo come facesse costui ad annoiarsi quando la mattina sul pulpito recitava a soggetto quel che gli pareva, di pomeriggio teneva comizi in sacrestia e giochi di gruppo sul sagrato, la notte poi entravano e uscivano marchettari dalla canonica. Più tardi se ne mise uno fisso in camera da letto. E il tutto, per giunta, a spese della parrocchia. E nonostante ciò si annoiava pure, ‘sto satrapo!
Cosa c’entrasse tutto questo con Giovanni Paolo, è difficile dire. Piuttosto che “annoiato”, forse, pensai, era “distratto”. Da “altro”. E poi va a finire che passando in fretta e furia dalla canonica all’altare ci si confonda… continuando a rivolgersi a un papa morto con lo stesso tono con cui ci si rivolgeva un attimo prima agli ospiti, magari notturni, della canonica, con gran confusione di “sentimenti” e di vestiti indossati per metà nel posto sbagliato al momento sbagliato, con un lenzuolo addosso sull’altare e una  casula a letto… Ma questo è un caso estremo, e non è certo quello di questo prete. E’ già una cosa!

Ai figli di contadini andati in seminario, si dava una educazione

Roncalli e Siri: sembrano due principi, perché da signori si serve la chiesa e ci si fa servi dei servi. Sembrano due principi ma sono il figlio di un contadino e il figlio di un portinaio. Entrati nella più grande, e vera, "democrazia" del mondo: la Chiesa.
Roncalli e Siri: sembrano due principi, perché da signori si serve la chiesa e ci si fa servi dei servi. Sembrano due principi ma sono il figlio di un contadino e il figlio di un portinaio. Entrati nella più grande, e vera, “democrazia” del mondo: la Chiesa.
Ma torniamo al prete di San Cirillo.
Lasciamo perdere il tu per tu, che già è un identikit di chi sia quel prete e su come la pensi. Soffermiamoci, qui pure, sulla “noia”. Siamo sicuri che questo prete non fosse piuttosto distratto?
Anzi no, voglio ritornare un attimo a quel modo di rivolgersi al romano pontefice, e gliene faccio colpa proprio a lui. Constato giornalmente che è diventato il regno del cafonal per antonomasia il mondo clericale, è endemica la cosa, anche se qualcuno pensa che “il povero parroco si è solo servilmente piegato allo stile trash inaugurato dal nuovo papato“. Ma mi pare lo abbia interpretato, non autorizzato da nessuno, in senso troppo letterale, e con intenti per nulla puliti.
Ad ogni modo: una volta ai figli dei contadini che entravano in seminario, gli si dava una educazione, come prima cosa; si spiegava loro come si sta al mondo, come ci si relaziona; tu non riuscivi, salvo certe tare fisiognomiche eredità di miseria atavica, a distinguerli da un prete figlio di principi: diventavano tutti dei signori, degli uomini che sapevano stare al mondo, che si abbassavano con i più piccoli e si inchinavano davanti a chi gli era superiore, da signori sempre, non da ruffiani. Questo gli insegnavano, ai figli dei contadini: per non restare o diventare irrilevanti. Per non sentirsi imbarazzati e inferiori in una qualsivoglia circostanza: perché avevano il dovere della “paternità”, e la paternità è autorevolezza.
Uno così, come questo prete di San Cirillo, finite le schitarrate, è condannato all’irrilevanza perché può ancora relazionarsi coi chitarristi liturgici e gli sfigati, ma mai col mondo: perché non ci sa stare. Non sapendo stare neppure al suo posto. È destinato a restare chiuso nel suo recinto, rotolandosi nella sua stessa lota, e macerando lui di “noia”.
Oggi se uno entra in seminario con una educazione, ne esce fuori un burino. E se entra da figlio del popolo, ne esce populista e demagogo da quattro soldi. Avido e ambizioso, per giunta, con l’episcopite acuta incorporata. E sfrontato. Ma non autorevole.
Mi ricorda il prof. Gaslini, da anni amico fb ma col quale continuiamo a darci del “Lei” anche lì,  mi ricorda ciò che sapevo benissimo: «Una volta, la Chiesa riusciva a trasformare anche gli umili in veri principi (Ottaviani, Siri e moltissimi altri lo hanno testimoniato), oggi, al massimo, riuscirebbe a trasformare un Principe del Sacro Romano Impero in un borgataro … segni dei tempi!».
Cui prodest?

Quel professore “simpatico” che non rispettavamo

Papa Francesco accolto nella parrocchia romana di San Cirillo. Fortuna che almeno si son messi una talare i preti...
Papa Francesco accolto nella parrocchia romana di San Cirillo. Fortuna che almeno si son messi una talare i preti…
Siamo sicuri che la presunta “simpatia” – che poi, spesso, è solo impudenza e maleducazione – equivalga all’essere rispettati? Io non direi, e lo dico per esperienza diretta, no.
Ricordo come fosse ieri quando alle scuole medie o al liceo entrava in aula il solito professore che faceva l’amicone e ci diceva di primo acchito «niente “Lei” qui, datemi del “tu». E quella sarebbe stata la sua rovina.
Noi, infatti, si stava al gioco, ma lo ritenevamo tra di noi patetico e lo compativamo; quel professore ci stava “simpatico”, certo, ma non lo rispettavamo. Non lo temevano e non lo rispettavamo, e ne approfittavamo per fare quel cacchio che ci pareva in aula, in bagno;  seguire le lezioni o fare i compiti a casa manco a parlarne… del resto, non riusciva neppure a tenerle più le lezioni, e i compiti non riusciva a darceli. E lui, a quel punto, ridottosi a nostro pari, messosi al nostro livello non aveva più la forza, l’autorevolezza, né il coraggio di imporci nulla… Non senza rimediare, da parte nostra, un beffardo “mavaffanculo”. Allora per non avere questa pubblica umiliazione, rinunciava del tutto a richiamarci ai nostri doveri, obblighi anzi. Non aveva più manco le palle per mandarci dal preside, alle volte avesse rimediato due sberle. E lo avremmo fatto, avesse osato. Ma già il fatto che era diventato il nostro “simpatico” zimbello, questo gli bastava a neutralizzarlo.

 La rivoluzione inizia sempre con un “tu” 

Il papa e il prete del "tu"
Il papa e il prete del “tu”
Di quel professore lì oggi non ricordo neppure più  il nome, tanto è stato irrilevante; ma soprattutto perché non è riuscito a insegnarmi niente. Tutto era partito da quel “tu”. Oggi, però, ricordo benissimo i nomi dei professori che credevamo di “odiare”: quelli che esigevano il “lei”, talora ci davano del “lei”, e se il caso ci davano pure calci in culo e schiaffoni in faccia, oltre a mandarci, come non bastasse, dal preside a farci sospendere, dunque rimediando pure le mazzate dei genitori. Ce li ricordiamo perché li “odiavamo”, ma per dire che li “temevamo”. Ossia, in altre parole, li rispettavamo. Ricordiamo ancora oggi il loro nome e tutto, sì, non abbiamo dimenticato: perché ci hanno insegnato, con le buone o le cattive – quasi sempre con le cattive – qualcosa. Ne ricordiamo il nome con gratitudine, e con affetto, adesso; alle stessa maniera come un tempo, ancora alunni, i loro nomi li avevamo impressi a caratteri di sangue nel cervello, di notte diventavano incubi e di giorno risentimento. Erano riusciti ad essere Maestri. Bacio quelle mani che mi hanno schiaffeggiato e fatto uomo, allora. Uomo che sa stare al mondo.
Ecco immaginate tutto questo, ed applicate lo stesso schema ai rapporti fra istruttori e seminaristi, tra preti e vescovi, tra preti vescovi e papa. E tra fedeli e prete. Fate somme e sottrazioni, e noterete che il risultato non muta. È la stessa identica cosa. Dove manca l’educazione, prima o poi viene a precipitare tutto il resto. E dal “tu” è un attimo arrivare al “ma vai a cagare vecchio rincoglionito!”, rivolto dal seminarista al rettore del seminario, dal prete al vescovo, dal vescovo al papa, da tutti contro tutti. Ora provate a immaginare lo stesso schema applicato, che so, all’esercito, ai rapporti fra gerarchie nell’Arma, tra guardie svizzere: il risultato non muta. Il kaos!
L’educazione è fatta per l’uomo, come l’uomo è fatto per essere educato. Con le buone o le cattive. Il tutto spesso inizia da un “tu” al posto del “lei”.

Tutto il resto è “noia”. Quando hai smesso di pregare

Sua Santità impartisce la cresima in parrocchia
Sua Santità impartisce la cresima in parrocchia
Torniamo ancora una volta al prete di San Cirillo… non che ce ne fossimo davvero allontanati.
Ma poi, chiedeva qualcuno, da quando il Papa deve “sollevare” i suoi fedeli dalla “noia”? Già, da quando? Da qualche mese, pare. E a quando, allora, eleggere direttamente Checco Zalone al Soglio? Se è diventato “intrattenimento” il papato, come pare qualche prete si sia convinto, almeno quel tanto che basta per giustificare i suoi di show, sul pulpito e, Dio non voglia, sull’altare, allora tanto vale chiudere i seminari e aprire agenzie per aspiranti cabarettisti.
Ma cosa ha combinato in tutti gli anni precedenti questo prete? Dove aveva la testa, oltre che fra gli “Amici” di Maria de Filippi? Cosa ha insegnato a quei ragazzi che ieri si sono cresimati col papa, semmai abbia voluto e sia riuscito a insegnargli niente, ammesso avesse davvero qualcosa da insegnargli… e aveva, a quanto mi dicono, ben poco?
Don Angelo, un prete, mi dice: «Un vecchio arcivescovo sul letto di morte ebbe a dire: “I guai sono iniziati da quando dalle stalle li abbiamo ricevuti per le Cattedrali!’” Commento amaro ma calzante per certi modi di parlare, vestire e … misericordia!»
E frate Roberto, cercando di smorzare la polemica da una parte e dall’altra, prova a spiegare: «Paragoni è sempre poco saggio farne. La noia è, nella persona e nelle Comunità, segno dell’assenza di Spirito Santo, probabilmente pregato troppo poco da tutti. Forse al parroco era venuta in mente questo triste brano: “La mia parrocchia è divorata dalla noia, ecco la parola. Come tante altre parrocchie! La noia le divora sotto i nostri occhi e noi non possiamo farci nulla. Qualche giorno forse saremo vinti dal contagio, scopriremo in noi un simile cancro. Si può vivere molto a lungo con questo in corpo” (dalla prima pagina di un romanzo fondamentale, scritto da un laico molto in gamba, QUI  gratuito).
Ma don Angelo lo puntella, forse con parole disarmate, ma vere… perché la verità è sempre disarmata: «Solo alla scuola del tabernacolo si riceve forza per non soccombere al terribile quotidiano!». Credo sia così.
Ma la verità più vera di tutti l’ha detta il giovanissimo Daniele Premoli, presidente dell’Associazione Alessandro Maggiolini, ed è condensata in una domanda riferita all’impudente prete di San Cirillo:
 «Siamo sicuri che non siano annoiati dalle sue prediche?»
http://www.papalepapale.com/develop/il-prete-che-diede-del-tu-al-papa-e-lo-chiamo-per-nome-riflessioni-sul-cafonal-ecclesiastico/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=il-prete-che-diede-del-tu-al-papa-e-lo-chiamo-per-nome-riflessioni-sul-cafonal-ecclesiastico

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.