Ricorderò sempre la pungente staffilata lanciata da un adolescente al suo catechista: “È tutto bello quello che tu mi racconti... ma a me interessa solo che sia vero. Come faccio a saperlo?”.
E, alla goffa replica del precettore, così continuava: “Quando ero piccolo i miei genitori mi raccontavano di Babbo Natale… Per me quella storia era molto bella ma oggi so che Babbo Natale non esiste…”
Eravamo alla fine degli anni ‘70 e le Parrocchie, in pieno clima di aggiornamento post-conciliare, già si affannavano a destrutturare la Catechesi, diluendola in una dolciastra melassa di sentimentalismo irenizzante. Non si parlava più di Dottrina ma di “proposta”, diminuivano drasticamente i riferimenti al peccato, enfatizzando a dismisura l’idea di amore universale, sparivano l’Inferno e il Purgatorio a vantaggio di un Paradiso, tutto umano, da perseguire e realizzare su questa terra, ma, soprattutto, la pericolosa deriva filosofica che tende a ridurre la Fede ad una mera esperienza si stava ormai imponendo grazie anche alla complice connivenza di quei cattolici allora considerati più ortodossi, ovvero i ciellini.
Ma i ragazzi, ad onta di quei catechisti “pace e amore”, continuavano e continuano ancor oggi ad avere una gran fame di assoluto. Si pongono domande importanti e, in generale, sono disposti a discutere ed a ricercare risposte autentiche ai loro afflati. Chi, come il sottoscritto, ha svolto la professione di insegnante nelle scuole superiori, anche in zone degradate e socialmente poco evolute, se ne è potuto rendere conto in modo impressionante.
Gli adolescenti hanno infatti spesso un senso molto sviluppato di ciò che è vero o falso, di ciò che è giusto o ingiusto, di cosa siano il bene o il male. La loro percezione è certo acerba e bisognosa del sostegno degli adulti, la loro natura, come quella di tutti gli uomini, è certo ferita dal peccato originale, ma la loro vita è senz’altro più facilmente incanalabile verso il bene rispetto alla situazione degli adulti cresciuti lontano dalla Chiesa.
Non amano i compromessi, sognano l’amore eterno, si entusiasmano per gli ideali impegnativi, sono estremamente esigenti nei confronti degli amici e poco tolleranti verso chi sbaglia.
Quando poi capita loro di incontrare la morte, di un nonno o addirittura di un genitore, questa ricerca di assoluto esplode normalmente in modo impressionante.
Tutte queste caratteristiche della gioventù dovrebbero, se davvero si considerasse importante l’evangelizzazione delle nuove generazioni, indirizzare la catechesi verso un modello di Cristianesimo puro ed esigente, verso un ideale di vita eroico e impegnativo, verso una Fede piena ed integrale. Perché non avviene così?
Quando ci penso mi viene a volte il dubbio che, in realtà, a nessuno interessi davvero trasmettere la Fede ai giovani. Certi discorsi fumosi, giocati esclusivamente sul sentimentalismo e sull’umano, sull’esperienza della comunità o sulla gioia della festa, oltre ad essere falsi, non si rivelano neppure coinvolgenti. Tale approccio non può neppure fungere da “trampolino di lancio” verso il trascendente, semplicemente perché non apre a tale dimensione. Il risultato è pertanto la noia mortale dei discenti, che fa fuggire i potenziali fedeli del futuro.
Ciò che dunque viene realizzato per “attirare” i giovani, finisce per allontanarli, il linguaggio forzatamente “giovanilistico” appare loro grottesco ed insipido, la melassa vagamente moralisticheggiante li fa ridere.
“Certe feste in Parrocchia sono penose…” - sento spesso affermare da qualche ragazzino sul bus – “Se mi voglio veramente divertire vado altrove, se voglio parlare di cose serie discuto con i miei amici”.
Già... Le domande serie ognuno di loro, prima o poi, se le pone davvero, ma non c’è nessuno che li sappia indirizzare verso ciò che davvero conta.
Ma questi catechisti, questi Parroci, questi Vescovi credono ancora in qualcosa? Qual è il vero “primo annuncio” di cui questi poveri ragazzi hanno soprattutto bisogno nella loro vita sballottata, fra famiglie “allargate” e scuole impegnate a diffondere l’ideologia del gender?
Tutto ciò mi provoca una tristezza infinita.
E, alla goffa replica del precettore, così continuava: “Quando ero piccolo i miei genitori mi raccontavano di Babbo Natale… Per me quella storia era molto bella ma oggi so che Babbo Natale non esiste…”
Eravamo alla fine degli anni ‘70 e le Parrocchie, in pieno clima di aggiornamento post-conciliare, già si affannavano a destrutturare la Catechesi, diluendola in una dolciastra melassa di sentimentalismo irenizzante. Non si parlava più di Dottrina ma di “proposta”, diminuivano drasticamente i riferimenti al peccato, enfatizzando a dismisura l’idea di amore universale, sparivano l’Inferno e il Purgatorio a vantaggio di un Paradiso, tutto umano, da perseguire e realizzare su questa terra, ma, soprattutto, la pericolosa deriva filosofica che tende a ridurre la Fede ad una mera esperienza si stava ormai imponendo grazie anche alla complice connivenza di quei cattolici allora considerati più ortodossi, ovvero i ciellini.
Ma i ragazzi, ad onta di quei catechisti “pace e amore”, continuavano e continuano ancor oggi ad avere una gran fame di assoluto. Si pongono domande importanti e, in generale, sono disposti a discutere ed a ricercare risposte autentiche ai loro afflati. Chi, come il sottoscritto, ha svolto la professione di insegnante nelle scuole superiori, anche in zone degradate e socialmente poco evolute, se ne è potuto rendere conto in modo impressionante.
Gli adolescenti hanno infatti spesso un senso molto sviluppato di ciò che è vero o falso, di ciò che è giusto o ingiusto, di cosa siano il bene o il male. La loro percezione è certo acerba e bisognosa del sostegno degli adulti, la loro natura, come quella di tutti gli uomini, è certo ferita dal peccato originale, ma la loro vita è senz’altro più facilmente incanalabile verso il bene rispetto alla situazione degli adulti cresciuti lontano dalla Chiesa.
Non amano i compromessi, sognano l’amore eterno, si entusiasmano per gli ideali impegnativi, sono estremamente esigenti nei confronti degli amici e poco tolleranti verso chi sbaglia.
Quando poi capita loro di incontrare la morte, di un nonno o addirittura di un genitore, questa ricerca di assoluto esplode normalmente in modo impressionante.
Tutte queste caratteristiche della gioventù dovrebbero, se davvero si considerasse importante l’evangelizzazione delle nuove generazioni, indirizzare la catechesi verso un modello di Cristianesimo puro ed esigente, verso un ideale di vita eroico e impegnativo, verso una Fede piena ed integrale. Perché non avviene così?
Quando ci penso mi viene a volte il dubbio che, in realtà, a nessuno interessi davvero trasmettere la Fede ai giovani. Certi discorsi fumosi, giocati esclusivamente sul sentimentalismo e sull’umano, sull’esperienza della comunità o sulla gioia della festa, oltre ad essere falsi, non si rivelano neppure coinvolgenti. Tale approccio non può neppure fungere da “trampolino di lancio” verso il trascendente, semplicemente perché non apre a tale dimensione. Il risultato è pertanto la noia mortale dei discenti, che fa fuggire i potenziali fedeli del futuro.
Ciò che dunque viene realizzato per “attirare” i giovani, finisce per allontanarli, il linguaggio forzatamente “giovanilistico” appare loro grottesco ed insipido, la melassa vagamente moralisticheggiante li fa ridere.
“Certe feste in Parrocchia sono penose…” - sento spesso affermare da qualche ragazzino sul bus – “Se mi voglio veramente divertire vado altrove, se voglio parlare di cose serie discuto con i miei amici”.
Già... Le domande serie ognuno di loro, prima o poi, se le pone davvero, ma non c’è nessuno che li sappia indirizzare verso ciò che davvero conta.
Ma questi catechisti, questi Parroci, questi Vescovi credono ancora in qualcosa? Qual è il vero “primo annuncio” di cui questi poveri ragazzi hanno soprattutto bisogno nella loro vita sballottata, fra famiglie “allargate” e scuole impegnate a diffondere l’ideologia del gender?
Tutto ciò mi provoca una tristezza infinita.
di Marco Bongi
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