ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 9 gennaio 2014

Prodit ridendo mores

Mons. Mogavero, il Pastore che tradisce

"Io sono il Buon Pastore. Il Buon Pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore" (Gv 10, 11-13)
Ancora mons. Mogavero. Vi ricordate il Vescovo di Mazara del Vallo, di cui si era già occupato a suo tempo il nostro Riccardo Facchini? Sì, proprio colui che alimentava una strisciante insubordinazione nei confronti di Benedetto XVI. Proprio lui, che da presidente del Consiglio per gli Affari Giuridici della CEI sparava un giorno sì e l’altro pure contro il Governo Berlusconi, impicciandosi anche della faccenda delle liste PdL alla Regione Lazio. O che, se preferite, allo scoppio della guerra in Libia si schierò a favore dei bombardamenti della NATO, allo scopo di far fuori il cattivo Gheddafi. O che – le sue perle non finiscono mai – ha prefato un volume di tono scandalistico sulla figura del Beato Giovanni Paolo II. O che posò con atteggiamento da consumato modello con indosso i paramenti liturgici donatigli da Giorgio Armani.
Insomma, questo campione di umiltà e di obbedienza al soglio pontificio, virtù che di recente sembra siano tornate nuovamente di moda presso certi ambienti catto-progressisti, ha abbandonato ogni freno inibitorio da quando al suddetto soglio è asceso il povero Papa Francesco. Come tanti altri avrà pensato: massì, questo qui parla di misericordia, non giudica gli omosessuali che cercano Dio, si preoccupa delle “nuove sfide” poste dai nuovi modelli di famiglia. Insomma, è uno dei nostri:dopo la brutta parentesi dell’oscurantista Benedetto XVI (e forse anche del Papa polacco), ricomincia la ricreazione!

Così, si è portato avanti con il programma: in un’intervista alla “Stampa” di domenica, ha affermato che “la legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi: senza creare omologazioni tra coppie di fatto e famiglie [ancora con questa favoletta…], è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto. Lo Stato può e deve [DEVE?] rispettare e tutelare il patto che due conviventi hanno stretto tra loro. Contrasta con la misericordia cristiana [sic!] e con i diritti universali il fatto che i conviventi per la legge non esistano. […] Senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili”. Una bella entrata a gamba tesa nel dibattito politico di questi giorni, animato dalla proposta di Renzi sul riconoscimento pubblico delle unioni di fatto, anche omosessuali.

Solo qualche giorno prima il vescovo di Parma Enrico Solmi, presidente della Commissione CEI competente proprio in materia di famiglia, aveva ribaditoalla Radio Vaticana l’orientamento tradizionale dei Vescovi italiani (no al riconoscimento delle unioni di fatto, sì ai diritti individuali). Soprattutto,l’intervista è uscita subito dopo che Padre Lombardi aveva fornito un necessario chiarimento alle parole del Papa sulle “nuove sfide” poste dalle unioni omosessuali. Il responsabile della Sala Stampa vaticana aveva parlato di forzature, addirittura di “strumentalizzazione” nell’interpretazione delle parole del Pontefice: “parlare di apertura alle “coppie gay” – aveva detto – è paradossale, perché il discorso del Papa è del tutto generale e perché perfino il piccolo esempio concreto mostrato dal Papa in merito (una bambina triste perché la fidanzata della sua mamma non la ama) allude proprio alla sofferenza dei figli”. Del resto, proseguiva Lombardi, “chi ricorda le posizioni da lui manifestate in precedenza in Argentina in occasione di dibattiti analoghi sa bene che erano completamente diverse da quelle che alcuni ora cercano surrettiziamente di attribuirgli”. Dunque, nessuna apertura a unioni che Padre Lombardi, nel suo comunicato, definisce addirittura “anomale”!(ricordate quanto scandalo suscitarono le parole di Benedetto XVI sulle forme di amore “deviato”?).

Questa è la situazione, caro mons. Mogavero. In più, numerose espressioni del laicato cattolico (ma non solo), riunite sotto l’ombrello della Manif Pour Tous Italia, hanno organizzato per questo sabato una manifestazione nazionale a Roma, proprio per dire no ai progetti volti a scardinare l’istituto familiare e a criminalizzare il dissenso dall'ideologia omosessualista (vedi la legge anti-omofobia). Siamo, se non lo si fosse compreso, nel bel mezzo di un’importante battaglia politica e culturale, nella quale la voce dei cattolici dovrebbe risuonare forte e chiara. E invece, mentre i poveri fanti si schierano, pronti a sostenere l’urto dello scontro, qualche generale, che dovrebbe guidarli dall’alto della propria autorità (di successore degli Apostoli), preferisce abbandonarli al loro destino, anzi si diletta addirittura nel colpirli alle spalle.

Si può tradire per paura, per stupidità o ignoranza, o semplicemente per malafede. Qualunque sia la ragione, il destino dei traditori in guerra è sempre stato tra i peggiori: negli ultimi secoli, ad esempio, si usava fucilarli alla schiena. Non è certo questa la sorte che auguriamo a mons. Mogavero, né è il proposito che nutriamo nei suoi confronti, ci mancherebbe altro. Peròcerto clero infedele deve cominciare a comprendere che la pazienza del “popolo di Dio”, per usare un’espressione ad esso cara, non è infinita. Non tutti siamo santi come Francesco d’Assisi, che raccomandava di baciare sempre le mani del sacerdote, per quanto delitti esse avessero commesso; inoltre dal Concilio Vaticano II, oltre che dal Magistero di Papa Francesco, abbiamo imparato ad abbandonare certe forme di clericalismo bigotto. Occhio, dunque, caro mons. Mogavero: di questo passo magari non prenderà schioppettate alla schiena, ma qualche bel calcio nel sedere non glielo toglierà nessuno.
http://www.campariedemaistre.com/2014/01/mons-mogavero-il-pastore-che-tradisce.html


Brasile, Bergoglio dona 3,6 milioni per i debiti della Gmg

Ci domandiamo: gli oltre 28 milioni di euro di debiti, contemplano anche i costi dell’esibizione del flash mob dei vescovi, diretti dal rapper brasiliano Fly di seguito ritratto in una sua foto di repertorio? ndr
GMG_2013_debiti_costi_Bergoglio_FLY_Flash_MobSecondo la stampa brasiliana il comitato organizzatore ha ricevuto una donazione per l’evento conclusosi con oltre 28 milioni di euro di debiti
REDAZIONE ROMA - La stampa brasiliana informa oggi che il Comitato organizzatore della Gmg/2013 (arcidiocesi di Rio de Janeiro) ha ricevuto una donazione di 3,6 milioni di euro di papa Francesco per aiutare a coprire il debito lasciato dal  grande raduno giovanile dell’anno scorso nel mese di luglio.
Secondo l’auditing della società Ernst&Young – fa sapere il blog Il Sismografo -, la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio si è chiusa con un debito di 28,3 milioni di euro (pari a 91,3 milioni di «reais»).
Una parte importante del debito è stata pagata con il ricavato della vendita di un importante immobile dell’arcidiocesi (in affitto per una clinica) e anche con donazioni (4 milioni di euro), abbonamenti, licenze commerciali e altri introiti minori. Il debito di 28,3 milioni di euro era così composto: 6,26 milioni di euro per fornitori e 22,92 milioni di euro per svariate spese generali. Vaticaninsider 4 gennaio 2014
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http://www.associazionelatorre.com/2014/01/brasile-bergoglio-dona-36-milioni-per-i-debiti-della-gmg/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=brasile-bergoglio-dona-36-milioni-per-i-debiti-della-gmg

Conversi ad Dominum


Nella Chiesa antica c’era la consuetudine, che il Vescovo o il sacerdote dopo l’omelia esortasse i credenti esclamando: “Conversi ad Dominum” – volgetevi ora verso il Signore. 
Ciò significava innanzitutto che essi si volgevano verso Est – nella direzione del sorgere del sole come segno del Cristo che torna, al quale andiamo incontro nella celebrazione dell’Eucaristia. Dove, per qualche ragione, ciò non era possibile, essi in ogni caso si volgevano verso l’immagine di Cristo nell’abside o verso la Croce, per orientarsi interiormente verso il Signore.
Perché, in definitiva, si trattava di questo fatto interiore: della conversio, del volgersi della nostra anima verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente, verso la luce vera. 
Era collegata con ciò poi l’altra esclamazione che ancora oggi, prima del Canone, viene rivolta alla comunità credente: “Sursum corda” – in alto i cuori, fuori da tutti gli intrecci delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angosce, della nostra distrazione – in alto i vostri cuori, il vostro intimo! 
In ambedue le esclamazioni veniamo in qualche modo esortati ad un rinnovamento del nostro Battesimo: Conversi ad Dominum – sempre di nuovo dobbiamo distoglierci dalle direzioni sbagliate, nelle quali ci muoviamo così spesso con il nostro pensare ed agire. Sempre di nuovo dobbiamo volgerci verso di Lui, che è la Via, la Verità e la Vita. Sempre di nuovo dobbiamo diventare dei “convertiti”, rivolti con tutta la vita verso il Signore.


(Benedetto XVI – Omelia alla Veglia Pasquale 22 marzo 2008)

http://ungranellodisale.blogspot.it/
http://ungranellodisale.blogspot.it/2013/12/conversi-ad-dominum.html

sdoganiamo il peccato!!!!

Mer Gen 8, 2014 15:56 
Gli anglicani tolgono il “peccato” 

e il “Diavolo” dal Battesimo.

«Ma così sembra la benedizione

della Fatina buona»


La nuova formula già in uso è appoggiata dall’arcivescovo 

di Canterbury. 


« La Chiesa banalizza i suoi stessi insegnamenti»

justin_welby


Niente più “peccato”, niente più “Diavolo”. La Chiesa anglicana aggiorna la liturgia per quanto riguarda il rito del Battesimo e non chiederà più a genitori e padrini di «rifiutare il peccato» e «rinunciare al Diavolo». Secondo l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby (nella foto, ndr) la nuova formula, per ora facoltativa, sarà più facilmente «comprensibile» da tutti e al passo con i tempi.

NIENTE “SOTTOMISSIONE”. La nuova dicitura viene già usata in oltre mille parrocchie in Inghilterra. Così, invece che pentirsi e rinunciare al peccato e al Diavolo, i parenti dovranno «rinunciare al male, a tutte le sue forme e a tutte le sue false promesse». Secondo il nuovo testo, a genitori, padrini e madrine non verrà più chiesto di «sottomettersi a Cristo come Dio» perché «l’idea di sottomissione» oggi è «problematica», soprattutto per le donne.

SEMBRA LA «FATINA BUONA». Dure critiche sono arrivate dal vescovo anglicano di Rochester Michael Nazir-Ali, secondo cui si sta cercando di «ridurre il cristianesimo a citazioni facilmente digeribili». Un altro importante membro del Sinodo Generale, che ha preferito rimanere anonimo, ha affermato al Daily Mail: «Questa sembra più una benedizione da parte della Fatina buona che un rito della Chiesa. Il problema è che gran parte della Chiesa anglicana non crede più nell’inferno, nel peccato e nel pentimento. Pensano che sia sufficiente unire le mani e sorridere per andare in Paradiso. Ma questo non è quello che pensava Gesù».

BATTESIMO BANALIZZATO. «Se si esclude il peccato originale e il pentimento, non resta quasi niente – continua – La nuova formula distrugge il significato del Battesimo e colpisce al cuore l’intera idea della necessità del Battesimo». Nazir-Ali aggiunge: «La Chiesa banalizza i suoi stessi insegnamenti, tanto è ansiosa di far sentire tutti a casa e di non offendere nessuno». Così il vero senso del Battesimo, insiste il vescovo, «è stato rimpiazzato da un “benvenuto” che non ha nessun fondamento nelle promesse che Dio ha fatto o nella fede dei genitori e della Chiesa».
http://muniatintrantes.blogspot.com/2014/01/sdoganiamo-il-peccato.html

Il prete che sfruttava e picchiava i bisognosi: Don Ciotti. Il beniamino dei giacobiniE don Ciotti picchiò il lavoratore che chiedeva il giusto. Lui, il professionista dell’antimafia delle chiacchiere, che ingrossa solo il volume di affari di Libera. Lui, il prete che sino all’altra settimana cantava “bella ciao” e “bandiera rossa” a messa. Lui, l’adoratore più che di Dio di quella Costituzione che inizia con un “L’Italia è un paese fondato sul lavoro”. E a quanto pare pure il circo di Ciotti è fondato sul lavoro: sullo sfruttamento almeno. E sulla violenza ai lavoratori. Sono anni che domandiamo di indagare sulla condizione dei giovani che lavorano nelle sue strutture… perché la magistratura e la finanza torinese non vanno a fare un controllo? Chissà chissà…



Qualsiasi altro sacerdote, al suo posto, sarebbe maltrattato dalla stampa. Ma non lui: don Ciotti, infatti, è intoccabile. Pure quando mostra che dietro il “paladino dell’antimafia” si nasconde un uomo che dirige in modo poco corretto le sue associazioni. Come mostra il recente caso dell’uomo da lui picchiato solo perché voleva essere assunto con un contratto regolare.

di Marco Margrita

Marco MargritaCosa direbbe il “giornalista collettivo” – dando fiato ed argomenti ai complottasti di varia sfumatura – di un sacerdote che guida un’organizzazione che ha generato o sostenuto una rete di opere sociali, a cavallo tra profit e no-profit, condizionando il modello di welfare (e la partita dei finanziamenti) di più di un Ente Locale? E se questo sacerdote, poi, godesse di una grande visibilità mediatica e di una trasversale “buona stampa”, facendo pesare la propria firma su giornali anche importanti? E se, amcora, lo stesso avesse avuto – c’è chi dice come ideologo, quasi – rapporti stretti con i protagonisti dei processi per mafia?
Nulla di buono, probabilmente. Se solo questo sacerdote non fosse don Luigi Ciotti e l’organizzazione in questione non fosse il “Gruppo Abele” o l’onnipresente “Libera” che ne è filiazione.

non si muove foglia che don Ciotti non voglia…

"Tengo tutti in pugno", sembra dire don Ciotti in questa curiosa immagine.
“Tengo tutti in pugno”, sembra dire don Ciotti in questa curiosa immagine.
Cappellano dell’antimafia militante, ha in Gian Carlo Caselli (istruttore del “processo storico” a Giulio Andreotti) un organico sostenitore. Non si può non ricordare, poi, la vicinanza ad Antonio Ingoia. La galassia donciottina (associazioni, cooperative, fondazioni e comunità) è campione nel ricevimento di finanziamenti pubblici in terra subalpina (e non solo).
Don Ciotti pratica con la stessa solennità palchi e pulpiti, oltre che studi televisivi, lo si ricorda addirittura comiziante ai girotondi morettiani. La politica, quindi, è faccenda frequentata. E non solo nella poesia (vendoliana, probabilmente, nel caso) dei massimi sistemi, ma pure nella prosaica prassi elettorale.
Si viene eletti, sotto la Mole, in forza del legame con il sacerdote e del mondo associativo che gli è nato intorno (e certo non senza il supporto di denaro pubblico e privato). Si pensi a Davide Matiello (collocato dal Pd in posizione sicura alla Camera, alle ultime elezioni politiche, in “quota don Ciotti”) o al ras locale di Sel Michele Curto (segretario provinciale di Sel e capogruppo a Palazzo di Città, con un passato come referente per l’area europea di “Libera” e fautore di un rapporto organico tra il partito di Vendola ed il movimento No Tav).
Questi sono due casi, ma nelle varie sinistre, tira forte e “pesa” l’eticismo post-cattolico di don Ciotti. Pavlovianamente plaudito, per altro, anche da ogni Arcivescovo che sulla cattedra di San Massimo sia succeduto il Michele Pellegrino che volle “don Luigi parroco dalle strada”.

E nessuno dice niente

A Torino don Ciotti conta molto.
A Torino don Ciotti conta molto.
Qui nessuno, però, forse perché il nostro non dedica energie al tema dei principi non negoziabili ed è da decenni si è sistemato sul comodo divano del dissenso (che tanti consensi borghesi produce), lamenta e denuncia indebite ingerenze.
Nella Torino azionista ed azionaria (per dire: La Stampa non ama certo i preti, ma per don Ciotti fa sempre eccezione, salvo poi, in quasi tutti gli altri casi… confermare la regola) non si può dirne male. Veda il lettore quale interprestazione dare alla formula.

Calci e pugni del  “professionista della bontà”

Sempre pronto a puntare l'indice contro qualcuno. Ma ora c'è chi lo punta su di lui.
Sempre pronto a puntare l’indice contro qualcuno. Ma ora c’è chi lo punta su di lui.
Accade così che sia quasi nullo il clamore intorno alla vicenda di Filippo Lazzara, un lavoratore siciliano impegnato nell’associazionismo che ha presentato denuncia ai carabinieri (la quale, per la cronaca, è stata successivamente ritirata) proprio contro il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti. Lazzara aveva depositato l’esposto nel 2011, ma lo ha reso pubblico solo negli ultimi giorni dell’anno appena trascorso, pubblicando la notizia sulla propria bacheca Facebook. I fatti: ancora nel 2010, Filippo lavorava con un contratto a tempo indeterminato in un supermercato a Partinico, in provincia di Palermo. Conosce don Ciotti e dopo un confronto col prete si convince a denunciare per infiltrazioni mafiose l’impresa per cui lavora, pesantemente collusa con alcune cupole. Nonostante la promessa di un impegno, non gli viene offerto nulla più di un passaggio da un’associazione all’altra, senza alcuna regolarizzazione. Non solo, quando riesce ad incontrare il sacerdote per esporre la sua situazione, si prende pure spintoni e calcioni
«Oltre a essere stato picchiato – ha spiegato Lazzara a Libero -, mi hanno fatto terreno bruciato intorno. Non avevo un lavoro e non sapevo dove sbattere la testa. Lui è un intoccabile. Denunciare lui è come denunciare Nelson Mandela. Chi mi crede? Chi starà dalla mia parte? Per me tutte le porte si sono chiuse. Per il peso che ha, in certi ambienti, don Ciotti è come il Papa. Ma ricevere dei cazzotti dal Papa è una cosa che ti lascia scosso. Se questa è l’antimafia».
Si potrebbe parlare, se si usassero gli stessi criteri per tutti, di una lobby. Ma, ovviamente, non sta bene quando si parla dei “professionisti della bontà”. Così, anche i malpancisti di sinistra, di fronte al peso politico di don Ciotti e dei suoi, il massimo di critica che riescono ad esprime è individuare il rischio «una super lobby della società civile in grado di esercitare notevole influenza sui gruppi dirigenti dei partiti e nell’establishment progressista».
Pesi e misure. Come sempre, diversi caso per caso, in questo strano Paese.



by claudiac

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