A UN ANNO DALLA RINUNCIA PAPALE: GIUSEPPE RUSCONI AL ‘SISMOGRAFO’
Il noto e prezioso blog cattolico “il Sismografo” ( www.ilsismografo.blogspot.it )- curato da Luis Badilla- – ha chiesto ad alcuni vaticanisti di riflettere su quanto avvenuto un anno fa, con la rinuncia al Papato di Benedetto XVI. Riproduciamo la risposta di Giuseppe Rusconi.
Quell’11 febbraio 2013, verso le 11.30, avevo lasciato una Sala Stampa vaticana sonnacchiosa, con tre o quattro colleghi che non sapevano come passare il tempo.
Tra loro ricordo chiaramente, chino come sempre sul suo computer, Andrès Beltramo Alvarez. E, tra i ragazzi dell’atrio, il super romanista Francesco Antinori. Preso il 62 per raggiungere la Sala stampa estera, vicino all’ingresso di via dell’Umiltà scorgo tre colleghi affannati e agitatissimi che escono dalla sede. “Ma dove andate così conciati?” Mi risponde con voce strozzata e occhi stralunati la tedesca Constanze Reuscher, corrispondente della Welt: “Il Papa si è dimesso!”. Dico io: “Ma sapete che oggi è anche il lunedì grasso, di Carnevale?” E loro all’unisono: “Nooo…è vero…. vieni con noi in Sala Stampa vaticana!”. Detto fatto… un taxi e in un baleno rieccomi là da dov’ero partito mezz’ora prima, in attesa del non invidiato padre Lombardi, che avrebbe cercato di rispondere in qualche modo alle nostre domande. Era colpito anch’io come tutti dalla notizia, e mi veniva un groppo in gola. Tuttavia, passata la prima emozione, ho creduto di comprendere subito i motivi della rinuncia di papa Ratzinger: da buon tedesco, da uomo razionale, ha capito che non ce l’avrebbe più fatta – fisicamente e psicologicamente – a sopportare il peso del timone della Barca di Pietro, costretta a navigare in un mare tempestoso non solo per gli scandali della pedofilia, non solo per le piccole meschinità di Vatileaks e dintorni, ma anche per il dilagare del relativismo nichilista in una società smarrita e dall’identità cristiana sempre più sbiadita. Papa Ratzinger aveva fatto molto, con coraggio, per far emergere i casi di pedofilia e cercare di evitare che si potessero ripetere. Aveva denunciato la “sporcizia” nel mondo ecclesiale e anche incoraggiato – con parole ben argomentate, chiare, nette, inequivocabili - i cattolici e i non cattolici a difendere la dignità umana promuovendo la dottrina sociale, ivi ben compresi i valori non negoziabili ridicolizzati dai cultori finanziariamente e massmediaticamente potenti dei nuovi ‘diritti’ contro la vita, contro la famiglia, contro l’educazione umana e cristiana. Una battaglia prima di tutto razionale, fatta in nome dell’uomo e del cattolicesimo. Poi, a poco a poco, papa Benedetto XVI si è sentito sempre più stanco, un fatto comprensibile data l’età. E ha meditato quella decisione già prefigurata oralmente e per iscritto in diverse occasioni. Non se l’è sentita di fare il Papa al 50%, sarebbe stato per lui irrazionale soprattutto in un momento così difficile per la Chiesa. Ha lasciato, è stato doloroso per lui ma anche per tanti. Si è creato un precedente (le rinunce dei secoli passati non sono paragonabili a quanto successo l’11 febbraio 2014) e questo ha aperto grandi interrogativi, cui non si può sfuggire, ma che non hanno ancora una risposta. Il 13 marzo è stato eletto un nuovo Papa, un cardinale gesuita e sudamericano, che somiglia molto, per certi versi, ai gesuiti delle ‘Reducciones’ del Paraguay immortalati nel famoso film ‘Mission’. E’ un gesuita sudamericano, che parla al cuore e si cura meno della norma (se non nei tratti fondamentali); è un gesuita sudamericano che cerca le periferie, vuole entrare in contatto con tutti, in primo luogo con la ‘carne di Cristo che soffre’, attento all’uomo che vive, lotta, soffre prima che all’uomo come essere razionale. Papa Francesco in questo primo anno ha certo conquistato le folle con parole e gesti semplici, quelle folle che si sentono orfane in un mondo spietato come il nostro. Si dovrà vedere, a media e lunga distanza, se alla sintonia dei cuori seguirà anche quella delle menti. Se alle emozioni, insomma, si accompagneranno anche le convinzioni. E’ in gioco il futuro della Chiesa.–www.rossoporpora.org – 10 febbraio 2014
http://www.rossoporpora.org/rubriche/papa-francesco/339-a-un-anno-dalla-rinuncia-papale-giuseppe-rusconi-al-sismografo.html
L’elogio del rabbino
Skorka: “Un grande gesto” le dimissioni di Ratzinger, “una lezione da vero leader”
ALVER METALLIBUENOS AIRES
Alla vigilia delle dimissioni di Benedetto XVI, quando lo incontriamo nella sinagoga della comunità rabbinica Benei Tikvá di cui è rabbino da quasi quarant’anni, Abraham Skorka ha la mente divisa tra il papa che lascia e quello che gli succederà. Verso il primo nutre una rispettosa ammirazione, cresciuta a distanza e alimentata di letture, verso il secondo una affettuosa amicizia, cementata da una puntuale frequentazione. “Un grande gesto, una lezione da vero leader” dichiara riferendosi alle dimissioni di Ratzinger, che hanno aperto la strada all’amico Bergoglio. Non si esonera dal dire “che molti politici dovrebbero imparare” dal Papa tedesco. E neppure che il gesto rivoluzionario che ha compiuto sarà “matrice” per il futuro.
Sa bene che senza le dimissioni di Ratzinger non ci sarebbe stata l’elezione di Bergoglio, e tante altre cose. Tra cui il viaggio nella sua patria spirituale previsto a maggio, per cui si è speso fin dall’inizio. Il rabbino Skorka è prudente al momento di fornire conferme, ma anche così il suo sogno, quello di accompagnare il Papa regnante nel pellegrinaggio in Terra Santa, lo definisce una “possibilità” concreta.
Insiste sulla parola pellegrinaggio. “La prima volta che ne abbiamo parlato venne utilizzato proprio questo termine” ricorda. Per poi aggiungere subito – e non a caso - che “il viaggio non deve essere politicizzato”. Vuole invece “contribuire a un avvicinamento delle due parti. Tanto israeliti come palestinesi abbiamo una componente nazionale e religiosa; l’idea è che il Dio della pace possa essere invocato con parole e gesti che sgorghino dal cuore e non dalla forza delle armi”.
Anche per questo dichiara di “non capire” la frase attribuita al rabbino argentino Sergio Bergman – riportata dall’Agenzia ebraica di informazione (Ajn) - che vede in Papa Francisco il "Che Guevara dei palestinesi" e nel viaggio un appoggio “alla lotta e diritti” dei palestinesi. “Se veramente l’ha pronunciata” chiarisce una e più volte. Una frase che “non mi piace” torna a dire condizionando il giudizio alla sua veridicità, anche perché contraddittoria con quanto scritto da Bergman nel proprio blog. Il rabbino della Congregazione Israelita argentina si rivolge a Bergoglio chiamandolo “il mio rabbino”, “un maestro che mi ha ascoltato, orientato, consigliato su come vivere la mia vocazione di servire tanto il Creatore come le sue creature nella sfida del bene comune”. Sfida a cui Sergio Bergman risponde dalle fila di Proposta Repubblicana (Pro), una alleanza di tendenza liberal conservatrice capeggiata dall’attuale sindaco di Buenos Aires Mauricio Macri.
Abraham Skorka riferisce di aver “parlato con il Papa privatamente”; e di essere certo che il suo sarà “un messaggio di pace, equilibrato e molto attento a non ferire nessun tipo di sensibilità. Sarà innanzitutto un pellegrinaggio” ribadisce. “Che Guevara ha avuto ideali grandi di giustizia sociale, di rettitudine, ma c’è un aspetto, quello delle armi, che non condivido. Anche noi vogliamo la giustizia sociale per i nostri popoli, ma attraverso il dialogo e un cambiamento profondo di atteggiamento. La storia dell’umanità ci insegna che tutte le grandi rivoluzioni che si sono affermate con spargimento di sangue hanno lasciato una scia di odio, e alla fin fine sono fallite. La rivoluzione reale è creare un uomo nuovo”.
http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/skorka-ratzinger-31999/
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