Una poderosa sanatoria pastorale vistata dal Papa gesuita
Una qualche legittimazione del divorzio, nella comunionalità misericordiosa, è probabilmente giudicata necessaria nella chiesa di Francesco. Le parole in concistoro del cardinale Kasper, fine teologo, in piccolissima parte esposte alla conoscenza pubblica, lo dicono e non lo dicono. Il Papa ha escluso un procedimento caso per caso, casistico o casuistico, ma quella è l’inevitabile direzione. Si vedrà poi con i sinodi imminenti sulla famiglia, cioè sull’antropologia postmoderna, in quell’aria da Vaticano III che spira da un anno e va rinfrescando come fanno certe brezze che all’improvviso diventano tempeste.
Ma la sanatoria della famiglia patchwork non può fermarsi lì, con l’ostia ai divorziati risposati, salvo un periodo di penitenza che salvi il peccato e la grazia di Dio. Bisogna avere una linea pastorale misericordiosa anche verso il matrimonio omosessuale, ovviamente quello civile che è in dispiegata affermazione per ogni dove, e l’adozione dei figli da parte di coppie dello stesso sesso o metodi surrogatori di concezione dei medesimi. L’amore misericordioso e il pluralismo del dialogo sociale la vincono necessariamente sui criteri non negoziabili di vita, di cultura e di dogmatica ecclesiale cattolica. D’altra parte, Dio non è cattolico e io non sono nessuno per giudicare. La chiesa celebra la democrazia ciudadana alla Zapatero, le maggioranze hanno sempre ragione, anche quando hanno torto, e occorre conformarsi al loro volere con animo lieto e gentile.
Ci sono buone ragioni per tutto questo. Più ancora che buone, termine senza molto significato nel pluralismo etico, ragioni forti, fortissime. Le espone sulla Civiltà Cattolica appena uscita, magnifica e antica rivista dei gesuiti pubblicata in perfetto italiano da centocinquant’anni e sempre vistata dalla segreteria di stato vaticana, padre GianPaolo Salvini S.I., che ne fu direttore per lunghi anni prima di padre Antonio Spadaro S.I., e che come tutti i gesuiti ha vasta cultura teologica e politica e una globale esperienza pastorale. Salvini riprende e interpreta, e il momento scelto per l’articolo è a suo modo perfetto, un documento vecchio di quasi un anno, messo a disposizione dei lettori, di una commissione della Conferenza episcopale francese presieduta da Jean-Luc Brunin, vescovo di Le Havre. Oggetto: il mariage pour tous, cioè la legge, approvata poco prima nella Francia di François Hollande, che autorizza i matrimoni omosessuali e le adozioni generalizzate di figli nella République e fa obbligo ai pubblici funzionari comunali di conformarsi. Alla legge seguì, e non è ancora terminata, una controffensiva sociale del mondo cattolico, con manifestazioni di protesta imponenti e obiezioni di coscienza e altro, che si estendono di recente a misure di uniformazione laicista dell’ideologia di stato nella scuola pubblica, specie in materia di sesso e di aborto e di matrimonio e di negazione della differenza di genere.
Padre Salvini dice che il sale del documento dei vescovi di Francia è il tono, e sconfessa implicitamente il grido o la piattaforma della piazza che si è opposta, con il contributo di un settore soltanto dell’episcopato francese, alla rivoluzione del costume inaugurata dal presidente socialista più minoritario di tutti i tempi, il bell’Hollande. Un dialogo musicale con il mondo secolarizzato in cui, qui interpreto ma sulla falsariga dello scritto, ciascuno ha il suo posto prefissato, il ritmo del pensiero e della passione perfettamente scandito, una melodia sfumata e ritualizzata come nelle danze del Settecento, insomma la democrazia come minuetto del diritto e scelta coreografica delle maggioranze in cui ai cristiani cattolici tocca la posizione di minoranza sconfitta, ispirata alla sottomissione e al dialogo che tiene fermi i contenuti del loro credo e della loro etica, ma piegandoli alla marcia inarrestabile e progressiva della realtà civile.
La linea dei gesuiti, dunque del Papa, è questa. Riconquistare il mondo mimeticamente. Imitandolo nelle sue pulsioni di libertà e di interiorità spirituale senza conseguenze sulla vita etica, sul modo di organizzare le società occidentali, sul senso stesso di ciò che è bene e di ciò che è male. E padre Salvini S.I. osserva che il fenomeno è ormai maturo e inarrestabile: decide la libertà di coscienza, che secondo i papi di centocinquanta anni fa è un “delirio” (Gregorio XVI, Mirari vos) e secondo i papi del dopo Concilio è il fondamento e il pilastro della vita cristiana e della sua proiezione nel mondo secolare. Francesco in Santa Marta se l’è nuovamente presa con la fede come ideologia. Certo, la fede trinitaria non c’entra con le leggi francesi, per quanto giacobine. E’ sovraordinata a tutto il resto. Ma il resto, in particolare ma non solo per chi non ha una fede confessionale, per chi cerca la grazia nella vita di qua e non in quella di là, ha una sua importanza. Tutti abbiamo un’idea non dico del mondo nella sua giusta forma, e definitiva, concetto totalizzante e bellissimo, ma del mondo parziale in cui viviamo: e a molti di noi sembra, senza stare lì a paganeggiare con le ideologie, senza predicare una religione civile che ha avuto peraltro grandi meriti storici, che la differenza di genere è un concetto biblico secolarizzato in millenni di esperienza ed è un concetto non negoziabile, “maschio e femmina li creò”, come hanno insegnato papi anche del Novecento e del XXI secolo. Per non parlare della vita umana innocente, dal ventre di donna al letto di un ospedale.
Le forme di vita cristiana, i movimenti della società, la cultura cattolica in ambiente basso clericale o laico non possono certo non risentire di questa svolta che seppellisce pratica pastorale e dottrina di secoli. Prenderanno le misure della loro autonomia sociale dall’ecclesiale, e forse sarà una buona novità. Per quanto ci riguarda, siamo felici di continuare con rispetto a fiancheggiare i cristiani cattolici e la loro chiesa, anche se i nostri argomenti non siano graditi e accettati.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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