Papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013, giorno in cui annunciò le sue dimissioni (Ansa) |
UN ANNO DOPO LA RINUNCIA DI BENEDETTO XVI
Ecco i custodi del segreto di Ratzinger
I testimoni di un grande addio
I testimoni di un grande addio
Dal manoscritto allo stupore dei cardinali
Le 24 ore che hanno cambiato la Chiesa
Le 24 ore che hanno cambiato la Chiesa
Cominciano ad addensarsi le nubi, una luce cinerea piove dalle vetrate che danno sul cortile di San Damaso e rischiara appena le logge di Raffaello. Palazzo Apostolico, lunedì, 11 febbraio 2013. Al terzo piano Benedetto XVI si è svegliato poco dopo le sei, alle 6.50 è uscito dalla sua stanza verso la cappella privata per celebrare la messa quotidiana, prima di colazione, assieme alla piccola «famiglia» pontificia: i segretari Georg Gänswein e Alfred Xuereb e le quattro «Memores Domini» che lo aiutano nell’appartamento, Loredana, Carmela, Cristina e Rossella.
Il Papa lascia, la notizia sui siti internazionali
Il Papa lascia, la notizia sui siti internazionali
Alle 9 il Papa è nel suo studio. Tutto procede come ogni giorno, solo che non è un giorno come gli altri. Si prepara un temporale, a Roma, poche ore più tardi farà il giro del mondo la foto di un fulmine che cade sulla sommità della Cupola di San Pietro. Di un «fulmine a ciel sereno», la voce arrochita, parlerà anche Angelo Sodano, Decano del Collegio cardinalizio, il primo a prendere la parola dopo che Benedetto XVI ha annunciato, alle 11.41, la propria «rinuncia» al ministero petrino. «Fratres carissimi, non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita communicem...». Il Papa ha convocato i cardinali per la canonizzazione degli 813 martiri di Otranto uccisi dagli ottomani il 14 agosto 1480 e di altre due beate, e va avanti imperturbabile secondo programma. Ma alla fine prende ancora la parola, dispiega due fogli e comincia a leggere a fior di labbra, poco più di un sussurro nel silenzio assoluto.
«Carissimi fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa...». Mentre Joseph Ratzinger pronunciava la sua Declaratio, nella Sala del Concistoro al secondo piano del Palazzo, tra i cardinali allineati lungo gli arazzi raffaelleschi del Penni ce n’erano alcuni che si guardavano sgomenti e altri che non avevano capito, «declaro me ministerio renuntiare», il biblista Gianfranco Ravasi lo racconterà a dimostrazione di quanto la conoscenza del latino stia scemando anche nella Chiesa, o magari è solo incredulità, «ma che ha detto?». Sodano parla a nome di tutti e interpreta il sentimento comune, lo stupore che di lì a pochi minuti diverrà planetario. Eppure il cardinale, fin dalla vigilia, è uno dei pochissimi ad essere consapevole di ciò che si prepara.
Papa Benedetto XVI lascia il pontificato
Papa Benedetto XVI lascia il pontificato
Domenica, pomeriggio. La Declaratio non ha la data di lunedì ma del 10 febbraio, domenica. Joseph Ratzinger l’ha scritta di persona, come d’abitudine a matita, al pomeriggio. Dopo l’Angelus ha avvertito il Decano e il segretario di Stato Tarcisio Bertone, che lunedì mattina portano con sé una copia del testo e ne seguono la lettura parola per parola. E ancora lo sanno il Sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu e monsignor Georg Gänswein, segretario particolare del Papa. L’indomani toccherà a padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, il compito arduo di spiegare e affrontare i media di tutto il mondo. Le ultime «dimissioni» di un Papa risalgono al 4 luglio 1415, Gregorio XII, e tutti grazie a Dante hanno presente il gesto di Celestino V, il 13 dicembre 1294. C’è la suggestione del 28 aprile 2009, quando Benedetto XVI andò all’Aquila devastata dal terremoto e seminò il panico nel seguito varcando la porta santa della basilica pericolante di Collemaggio, era previsto un omaggio sulla soglia ma lui volle posare il suo pallio sulla teca con le spoglie del Papa del «gran rifiuto». Ma qui non entrano in gioco potenze esterne, impossibile fare paralleli con la Declaratio «in piena libertà» di Ratzinger.
Lunedì, alba . Il giorno è arrivato, nel Palazzo l’attività si fa convulsa fin dall’alba, solo allora esce dall’appartamento privato del Papa quel foglio che non ha reali precedenti nella vicenda bimillenaria della Chiesa. Lo scandalo di Vatileaks insegna, non si può rischiare una fuga di notizie. Il testo scritto della Declaratio diffuso dal Vaticano intorno a mezzogiorno contiene tre errori come altrettanti indizi. Benedetto XVI ha affidato il manoscritto alla segretaria Birgit Wansing, l’unica persona in grado di decifrarne la calligrafia minuta e nervosa. Solo dall’alba di lunedì comincia in Segreteria di Stato il lavoro di trascrizione del testo latino e delle traduzioni in italiano, inglese, tedesco, francese, spagnolo, portoghese, polacco e arabo. Quando Ratzinger lo legge, nella Sala del Concistoro, dice correttamente «vita», all’ablativo, ma all’inizio del testo distribuito c’è il genitivo «vitae» e più oltre un’altra concordanza sbagliata, l’accusativo «commissum» (ma questo lo legge anche il Papa) anziché il dativo «commisso». E poi, sintomatica, l’indicazione dell’inizio della sede vacante, la sera del 28 febbraio: l’inesistente «hora 29» invece delle 20 annunciate da Benedetto XVI. La fretta: in ogni tastiera il numero 9 è giusto accanto allo zero.
Lunedì, ore 10.46 . Il Pontefice, alle 10.55, lascia l’appartamento, scende in ascensore alla seconda loggia ed entra nel salone, il passo breve e un po’ malcerto, l’aria patita ma lo sguardo determinato. Alle 11.41 i cardinali impallidiscono. Cinque minuti più tardi, alle 11.46, il lancio Ansa della vaticanista Giovanna Chirri informa il mondo delle dimissioni. «Iterum atque iterum», sillaba Benedetto XVI. Ratzinger spiega di aver preso la sua decisione dopo avere esaminato ripetutamente la propria coscienza, «ancora e ancora», davanti a Dio. Nella scelta del Pontefice bisogna distinguere la lunga maturazione della decisione, la scelta della data e il momento in cui la comunica alle persone più vicine. Quando l’ufficio delle celebrazioni liturgiche, il 4 febbraio, avvisa i «signori cardinali» che ci sarà il concistoro di lì a una settimana, Benedetto XVI ha già deliberato in cuor suo che quella, nella solennità della cerimonia e davanti ai cardinali, sarà l’occasione adatta. In quei giorni viene bloccata anche la stampa dell’Annuario Pontificio 2013 in vista di «modifiche» importanti.
Del resto Ratzinger ci pensava da tempo. Il 27 ottobre 2011, ad Assisi, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I gli diede appuntamento a Gerusalemme nel 2014, per celebrare i cinquant’anni dell’incontro tra Paolo VI e Atenagora, e si racconta che il Papa gli abbia risposto: «Verrà il mio successore». Forse se lo sente, di certo Benedetto XVI aspettava il momento giusto da quando, dopo l’incontro all’Avana con Fidel Castro, il 29 marzo 2012 tornò sfinito dal viaggio di sette giorni in Messico e a Cuba. «Sì, sono anziano ma posso ancora fare il mio dovere», aveva sorriso al Líder máximo. Oltretevere però raccontano che ci mise un mese a recuperare un po’ di forze. Da tempo ne è al corrente il fratello maggiore, monsignor Georg Ratzinger, con il quale si è confidato durante le vacanze estive a Castel Gandolfo. Si dice che in agosto ne abbia parlato anche a Bertone e a Gänswein, il quale cerca invano di dissuaderlo nelle settimane successive. Ma Benedetto XVI è determinato. Quello di domenica è solo l’ultimo passaggio. Il Papa avverte chi di dovere. Per diciassette giorni bisognerà gestire una situazione inedita e prepararsi al conclave. Ma Ratzinger, con acribia da studioso, ha da tempo calcolato e programmato ogni mossa.
Un prete espone un cartello con la scritta«Ci mancherai», durante l’Angelus di Benedetto XVI, il 17 febbraio 2013 a Roma (Ansa) |
Un prete espone un cartello con la scritta«Ci mancherai», durante l’Angelus di Benedetto XVI, il 17 febbraio 2013 a Roma (Ansa)
«Un atto di governo» . La «rinuncia», in teoria, è prevista dal Codice di diritto canonico, canone 332, paragrafo 2. Nel libro «Luce del mondo», del 2010, aveva prospettato l’ipotesi: «Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi». Ma allora si era nel pieno dello scandalo pedofilia nel clero, che Benedetto XVI ha combattuto come nessuno prima di lui, e così aveva aggiunto: «Proprio in un tempo come questo si deve tenere duro e sopportare». È ciò fa anche nella primavera del 2012. Scoppia lo scandalo Vatileaks, viene arrestato e processato il maggiordomo «corvo» Paolo Gabriele che gli rubava documenti riservati dallo studio.
Non è il momento, sono mesi difficili di veleni e lotte di potere in Curia, Ratzinger ha già deciso ma non intende dare la sensazione di fuggire. Lo disse il 24 aprile 2005, nella messa di inizio del pontificato: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi». Così aspetta che il processo si concluda, aspetta che la commissione cardinalizia che ha nominato per indagare sugli scontri nella Curia consegni a lui e solo a lui la relazione segreta che indica manovre e responsabilità. A dicembre ha tutti gli elementi per agire e fare pulizia, sa che è urgente ma sente di non averne più la forza. Affiderà il dossier al successore. «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato». La «ingravescente aetate» e la consapevolezza che nella Chiesa è necessaria una scossa non sono spiegazioni alternative ma gli elementi che fondano assieme la decisione di dimettersi. Non a caso padre Federico Lombardi parla di «un grande atto di governo della Chiesa».
Le Ceneri, verso Pasqua . Benedetto XVI non lascia nulla al caso. Alla fine del 2012 compie le celebrazioni di Natale e calcola i tempi in modo che nell’ultima settimana di marzo, a Pasqua, il momento più importante per i fedeli, la Chiesa abbia un nuovo Pontefice. Il 24 novembre ha convocato un concistoro per la creazione di sei nuovi cardinali e per la prima volta nella storia - salvo uno «mini» del 1924, quando Pio XI creòdue cardinali americani - non c’è neanche un europeo: per «riequilibrare» la composizione del Collegio, troppo sbilanciato sul Vecchio Continente, e questo è un segnale. Come è un segnale il fatto che la Declaratio avvenga alla vigilia delle Ceneri, l’inizio del periodo penitenziale di Quaresima. Le tentazioni diaboliche che si riassumono nella pretesa di «strumentalizzare Dio», di «mettersi al Suo posto» o «usarlo per i propri interessi», per la «gloria e il successo». Come un epilogo alla Declaratio, nel pomeriggio di mercoledì torna a incontrare i cardinali e parla dell’«ipocrisia religiosa» denunciata da Gesu, «laceratevi il cuore e non le vesti!», prima di posare la cenere sul capo dei porporati chini e in fila davanti al Papa: allora diventa chiaro che la denuncia delle «divisioni ecclesiali» che «deturpano» il volto della Chiesa, come l’esortazione a «superare individualismi e rivalità», è un’indicazione precisa al conclave che si avvicina.
Gian Guido Vecchi
PAPA BENEDETTO MOLLA
CHI HA SPINTO PAPA BENEDETTO A MOLLARE (E PERCHE’)
Chi, come e perché ha determinato quel “ritiro” di Benedetto XVI –
esattamente un anno fa – che rappresenta un evento unico nella storia
della Chiesa, traumatico e tuttora non chiaro nelle sue implicazioni e
nelle sue conseguenze?
Spesso si è buttata la croce addosso al povero Paolo Gabriele, il
cameriere di Vatileaks, ma è vero l’esatto contrario: se c’era una
persona che avrebbe voluto che papa Benedetto potesse esercitare
pienamente il suo mandato era proprio lui.
Del resto il mio scoop, uscito su queste colonne il 25 settembre 2011,
dimostra che Ratzinger aveva già deciso quel “ritiro” ben prima
dell’inizio di Vatileaks e l’aveva previsto – come scrissi – allo
scoccare degli 85 anni. Esattamente quello che poi è avvenuto.
Ma allora chi, come e perché – prima di Vatileaks – ha creato una
situazione che ha indotto il papa a valutare di non poter più sostenere
la lotta?
UN GIGANTE
Ratzinger è uno dei giganti della Chiesa del Novecento ed è molto vasta
la mappa di coloro che, nel corso dei decenni, anche su fronti
contrapposti, hanno individuato il loro Nemico in quest’uomo mite e
sapiente.
Anzitutto egli entra in scena come uomo del Concilio: è colui che,
scrivendo il discorso del cardinale Frings, abbatterà il vecchio S.
Uffizio di Ottaviani, l’inquisizione.
Nel postconcilio diventerà il nemico di tutti coloro che pretendevano di
usare il Vaticano II per spazzar via la Chiesa di sempre e costruirne
una prona al mondo e alle ideologie: da Rahner ad Hans Kung, fino a
Martini che – come cardinale – si è opposto frontalmente a Ratzinger e a
papa Wojtyla.
Non erano destinati a procurargli amici, poi, i suoi due primi
interventi, quando fu chiamato da Giovanni Paolo II alla guida della
retta dottrina: quello in cui ribadì la condanna cattolica della
massoneria e i testi che confutarono e condannarono la Teologia della
liberazione.
Infine sarà sempre Ratzinger a denunciare in mondovisione, durante
l’ultima solenne via crucis di Giovanni Paolo II, “la sporcizia nella
Chiesa”, con parole durissime e drammatiche.
Sarà lui che realizzerà una purificazione radicale della Chiesa dalla
piaga dei preti pedofili, con provvedimenti drastici e un ribaltamento
totale di certa mentalità clericale.
Ancora lui infine scandalizzerà gli ecclesiastici progressisti (tanto da
suscitare la ribellione aperta di diversi vescovi) quando – in linea
vera con il Concilio – cercherà di riportare all’unità la Fraternità S.
Pio X e restituirà libertà alla liturgia tradizionale della Chiesa.
Era stato lui con Giovanni Paolo II che aveva valorizzato i tanti nuovi
movimenti fioriti nella Chiesa, specie fra i giovani, e che ha colto e
denunciato la “questione antropologica” che oggi nel mondo sta
bombardando i valori della vita, della famiglia e della dignità umana.
Ha fondato il dialogo della Chiesa con la modernità e la vera laicità,
così da affascinare intellettuali come Habermas, Tronti, Ferrara e
Barcellona.
Eppure fin dall’inizio, dalla sua elezione, c’è stata l’occulta e
pesante opposizione di un establishment cardinalizio oscuro e pronto –
per delegittimarlo – perfino allo spergiuro.
L’ATTACCO OCCULTO
Lo dimostra un fatto dimenticato che segnò l’inizio della guerra interna
contro papa Ratzinger. Benedetto XVI era appena stato eletto, nel 2005,
e dall’anonimo mondo cardinalizio (più o meno di Curia), attraverso il
vaticanista Lucio Brunelli, fu fatto pubblicare un presunto diario delle
votazioni del Conclave da cui emergevano dettagli delegittimanti del
nuovo pontificato.
Un vaticanista autorevole come Sandro Magister scrisse: la lettura di
quel testo “suggerisce che l’‘intenzione’ di pubblicarlo sia stata molto
più militante” che storico-giornalistica. E lo si sia fatto “per
mostrare che la vittoria di Ratzinger non è stata per niente
‘plebiscitaria’, che è stata in forse fino all’ultimo, che è stata
indebitamente favorita dal suo essere decano dei cardinali, che i tempi
sono maturi per un papa ‘nuovo’, magari latinoamericano e che a questi
suoi limiti Benedetto XVI dovrebbe rassegnarsi”.
Così scriveva Magister il 7 ottobre 2005. Forse si sottovalutò la
gravità di quel segnale anonimo, basato peraltro su dati delle votazioni
che non risultano ad altri.
Ripensandoci oggi fa impressione che per un tale gesto pubblico di
sfida, una fazione di cardinali sia stata pronta a sfidare pure Dio con
un pubblico spergiuro (perché ogni cardinale aveva giurato solennemente
sul Vangelo di mantenere il segreto su Conclave e votazioni).
Negli anni successivi il tema della spaccatura e il fantasma dello
scisma più volte è stato ventilato oscuramente e certo Ratzinger ha
sempre voluto evitarlo in ogni modo (anche a costo di dimettersi).
ODIO CONTRO IL PAPA
Benedetto ha avuto poi altri nemici interni, nella Curia e
nell’establishment ecclesiastico, che hanno contestato o boicottato o
rifiutato il suo magistero, quello tradizionale della Chiesa, avendo i
media dalla loro.
Poi Ratzinger ha avuto molti nemici esterni ed è stato sottoposto a un
bombardamento mediatico senza fine culminato con il cosiddetto “scandalo
pedofilia” con cui si è preteso di trasformare la Chiesa in “imputato
globale” (la Chiesa che è perseguitata in mezzo mondo nell’indifferenza
generale).
Ma paradossalmente i maggiori danni per il pontificato di Benedetto sono
forse arrivati dalla Curia e dai più stretti collaboratori.
L’ERRORE
Bisogna riconoscere l’errore, forse il maggiore di Benedetto XVI, che –
per evitare certe potenti realtà curiali (ad esempio facenti capo al
cardinal Sodano) – chiamò nel ruolo strategico di Segretario di Stato un
ecclesiastico che conosceva da anni e che credeva potesse essergli di
aiuto: il cardinale Bertone.
La plateale inadeguatezza dell’uomo per quel ruolo delicato e decisivo –
a parere dei più, anche dei ratzingeriani più convinti – è ciò che ha
fatto precipitare la situazione. Che a un certo punto si è fatta
drammatica.
Il “cameriere del Papa”, pur sbagliando gravemente nel metodo, ha fatto
emergere una realtà inaudita dove il Pontefice sembrava pressoché
esautorato. Lo ha dichiarato di recente il cardinale Maradiaga: dalla
vicenda Vatileaks “pareva che alcuni documenti non arrivassero nelle
mani del Papa”.
Addirittura monsignor Georg Gaenswein, segretario di Benedetto XVI, in
una intervista al “Messaggero” del 22 ottobre, una settimana dopo le
dimissioni di Bertone, ha candidamente riferito che “Benedetto XVI aveva
chiamato Gotti Tedeschi allo Ior per portare avanti la politica della
trasparenza”, ma nonostante fosse stato lui stesso a volerlo lì, quando
costui fu defenestrato, il Papa non ne sapeva niente e “restò sorpreso,
molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore. Il Papa lo stimava e
gli voleva bene”.
Un fatto emblematico della situazione oltretevere, anche se ci sarebbe
da chiedersi cosa faceva, nel frattempo, don Georg vedendo questa realtà
….
IL MISTERO DI OGGI
Col più grande gesto di umiltà Benedetto, alla fine, ha ritenuto di
aiutare la Chiesa azzerando tutto, a cominciare da se stesso. E si
concepisce ora nel ruolo di Mosè che prega sulla montagna mentre Giosuè
combatte.
Tuttavia anche per Giosuè-Francesco sono cominciati in questi giorni gli
attacchi e le prove più dure: da quelli esterni (vedi l’incredibile
denuncia dell’Onu) a quelli interni che puntano a usare il prossimo
Sinodo per ribaltare la Chiesa.
Se, per la prima volta nella storia, oggi la Chiesa si trova con due
papi è davvero il segno che è un tempo di prova senza eguali.
Un dettaglio. Ratzinger non solo ha voluto restare “nel recinto di
Pietro”, ha voluto conservare il titolo di “papa emerito” e l’abito
bianco, ma – si è saputo di recente – ha gentilmente declinato la
proposta dell’arcivescovo Montezemolo di cambiare il suo stemma
araldico.
Il Vaticano ha così fatto sapere che Benedetto “preferisce non adottare
un emblema araldico espressivo della nuova situazione creatasi con la
sua rinuncia al Ministero Petrino”. Se è un segnale significa che papa
Benedetto c’è. Che il Cielo protegga la sua vita.
Antonio Socci
Da “Libero”, 9 febbraio 2014
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