Eugenio Corti, grande scrittore cattolico, ci ha lasciato
“Corti è sempre stato il cantore del Regno, di un regno che non è di questo mondo ma che si fa trovare come un anticipo già qui, nelle gioie che si provano pellegrinando sulla Terra. Per questo, in moltissimi abbiamo amato la compagnia di Eugenio e lo abbiamo frequentato quanto più possibile, sino a ieri: perché ogni volta si tornava dalla sua casa di Besana arricchiti del dono che lui faceva. Forza e misericordia”. (Andrea Sciffo)
Redazione
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Ieri, 4 febbraio 2014, Eugenio Corti è morto nella sua casa di Besana Brianza. Aveva da poco compiuto 93 anni. Grande scrittore, grande testimone della Fede cattolica, Eugenio Corti ha scritto opere di altissimo valore, tradotte in tutto il mondo. Il suo capolavoro, “Il cavallo rosso”, fu pubblicato nel 1983, ma Corti era già famoso: “I più non ritornano”, pubblicato nel 1947, fu la prima testimonianza della tragedia dei soldati italiani in Russia.
Il grande scrittore brianzolo era uomo di Fede sicura, tranquilla, irremovibile. Non a caso la cultura “ufficiale” italiana, non potendolo ignorare del tutto, ha sempre parlato di lui il meno possibile. Uomini della sua statura morale e intellettuale sono sempre “scomodi” per l’autoreferente giro dei salotti bene, dove nel vuoto totale si scambiano premi letterari e untuose recensioni.
Di Eugenio Corti vi proponiamo il ricordo scritto da Andrea Sciffo sulla Rivista “Il Covile”, e a breve pubblicheremo un articolo sulla sua opera, così preziosa da conoscere soprattutto per i più giovani, che dovranno ricostruire questa Italia in dissoluzione, che da ieri ha uno dei suoi figli migliori che pregano per lei, da Lassù.
http://www.riscossacristiana.it/eugenio-corti-grande-scrittore-cattolico-ci-ha-lasciato/
Eugenio Corti, il cantastorie del Regno
Eugenio Corti, il cantastorie del Regno
06-02-2014
La sera di martedì 4 febbraio Eugenio Corti ha fatto ritorno al Padre. Classe 1921, lo scrittore aveva conformato la sua vita al versetto del Padre Nostro che recita “Venga il Tuo Regno”, combattendo la buona battaglia tramite la scrittura.
Uomo dal portamento distinto e dal fare pacato ma anche caparbio, Corti scrutava con i suoi attenti occhi azzurri i tanti lettori, molto spesso giovani, che si recavano a trovarlo nella sua casa in Brianza. Personalmente ricordo il suo atteggiamento vigoroso e paterno, dettato e supportato dalle decisive esperienze maturate durante la Seconda Guerra Mondiale e da una fede granitica. Dialogando con lui si aveva la percezione di essere di fronte a un maestro da cui attingere preziose considerazioni sul passato e sull’epoca contemporanea; nel contempo, emergeva anche la consapevolezza di essere in presenza di una persona cui – da cattolici – guardare come modello di comportamento, perché lo sguardo di Corti, benché permeato di un sano realismo, era sempre orientato a Dio.
Non a caso, accanto all’età d’oro greca, il periodo storico più amato dallo scrittore brianteo era il Medioevo, ossia l’epoca in cui il messaggio cristiano si è diffuso in maniera capillare ed è diventato un fenomeno ‘di popolo’, dando luogo alla Res Publica Christiana. In quei secoli, troppo spesso classificati come ‘bui’ e invece ricchissimi sotto diversi aspetti, ogni ambito del vivere quotidiano era orientato – seppur con le dovute eccezioni – agli ideali del Vangelo: dal modo di concepire la guerra e la cavalleria, allo sviluppo dell’arte pittorica e architettonica, al ruolo assegnato alle donne... E proprio riguardo quest’ultimo aspetto, entrando nella casa di Corti si rimaneva piacevolmente colpiti dalla presenza riservata, ma assolutamente rilevante, di sua moglie Vanda, che lo scrittore contemplava ancora con sguardo innamorato e riconoscente, nonostante fossero sposati dal 1951.
Ma si diceva della centralità della fede nella vita e nel pensiero di Corti, la quale trova conferma anche nei suoi articoli e nei libri – molto vari per genere e argomento – ch’egli ha scritto dal 1947 in avanti. Tra questi spicca per importanza il romanzo storico Il Cavallo Rosso (Edizioni Ares, 1983), oramai giunto alla ventinovesima edizione e tradotto in otto lingue. Questo testo – che ha richiesto a Corti ben undici anni di lavoro – narra le vicende di alcuni ragazzi della Brianza e del loro incontro con il mondo esterno, sullo sfondo dei grandi avvenimenti storici succedutisi in Italia e nel mondo tra il 1940, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, e il 1974, anno del referendum sul divorzio. Scorrendo pagina dopo pagina, moltissimi lettori sono rimasti avvinti nella narrazione e – oltre ad aver potuto rivivere quasi in presa diretta gli anni del secondo conflitto mondiale e della ricostruzione – hanno avuto modo di apprezzare le riflessioni storiche, teologiche e teleologiche che Corti non mancava mai di inserire nei propri scritti, in forma più o meno diretta.
Un’altra opera fondamentale lasciataci dallo scrittore brianteo è Il fumo nel Tempio(Edizioni Ares, 1996), una raccolta di articoli scritti dal 1970 in poi sulla difficile situazione della Chiesa nel post Concilio, sulla perdita di valori della società, sulla crisi della politica e in particolare della Democrazia Cristiana e, infine, sull’egemonia di una cultura di matrice laica e troppo spesso ideologizzata. Sono testi di una lucidità spesso disarmante, propria di un osservatore attento e onesto qual era Corti, convinto che il parametro di giudizio cui fare riferimento è sempre l’insegnamento di Cristo, perché solo in questo modo è possibile vivere in pienezza e gustare anche in terra un imperfetto assaggio di felicità e di Bellezza.
Sintomatica di quest’approccio alla vita è la risposta data da Corti alla domanda su quale fosse la cosa più bella che gli sia mai accaduta: «L’essere venuto al mondo, sicuramente. La prova è stata anche dura, come per tutti. Ma è stato l’esistere, l’essere, che mi ha aperto tutte le altre porte. Anche quella della consolante Speranza cristiana in una felicità intramontabile in Dio, dopo la morte terrena».
Al termine di una vita intensa e luminosa, la poesia posta da Eugenio Corti in calce alle 1274 pagine che compongono Il Cavallo Rosso appare quasi come un suo testamento: “Ecco, ora svaniscono, / i volti e i luoghi, con quella parte di noi che, come poteva, / li amava, / Per rinnovarsi, trasfigurati, in un’altra trama” (T.S. Eliot). Requiescat in pace!
- L'UOMO CHE NON SI E' MAI ARRESO, di A. Giuliano
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