Il leader radicale vede un legame tra l’attuale Pontefice e Roncalli. E rende omaggio alla rinuncia di Benedetto XVI: “Premessa per un Concilio Vaticano III”. Resoconto di un incontro organizzato da Radio Radicale tra prelati, teologi, sociologi e giornalisti
L’onda del pontificato di Francesco sembra travolgere un mondo laico affascinato dalla sua visione di Chiesa sobria, universale, aperta. Capace di sfidare le tendenze temporali e clericali che per troppo tempo hanno caratterizzato la Curia romana. Grazie al percorso di de-italianizzazione del governo della Santa Sede e dell’Istituto delle Opere di Religione e a una politica riformatrice collegiale che mette in crisi i pilastri dell’assolutismo papale, Jorge Mario Bergoglio non smette di sorprendere anche le realtà più lontane dall’universo vaticano.
GLI INTERROGATIVI RADICALI SUL MAGISTERO DI BERGOGLIO
È il caso del Partito Radicale, teatro nella sua storica sede romana del confronto dal titolo “Un anno di Francesco”, organizzato dal vaticanista di Radio Radicale Giuseppe Di Leo e che ha visto un acceso dibattito tra prelati, teologi, sociologi e giornalisti. Tutti chiamati a rispondere a grandi interrogativi sul magistero dell’ex arcivescovo di Buenos Aires. Papa Francesco rappresenta una rottura rispetto a Benedetto XVI e Giovanni Paolo II? Aspira a realizzare una rivoluzione della Chiesa? Con lui, per utilizzare le parole di Giuliano Ferrara, la Santa Sede non rinuncia alla propria missione profetica evitando di muoversi controcorrente e pronunciare dei No?
UN RITORNO ALLE ORIGINI
Restio ad avvalorare un progetto rivoluzionario nel magistero di Bergoglio è Monsignor Agostino Marchetto, Segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, autore del libro “Primato pontificio ed episcopato” e ritenuto dal Pontefice un acuto interprete del Concilio Vaticano II. Spartiacque nella storia della cristianità di cui Francesco parlò una sola volta con Civiltà Cattolica. E lo fece, spiega l’alto prelato, prospettando un percorso di riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa.
È con la forza di tale patrimonio spirituale che il Pontefice grida “con tenerezza e fermezza” il suo No al consumismo, alla cultura dello scarto, all’egemonia della finanza. È con il richiamo alla misericordia che accende l’afflato evangelico nel “popolo di Dio”. Gesti, osserva il religioso, che armonizzano carità, fede, ragionevolezza. Riportando l’apostolato cattolico allo spirito delle comunità cristiane primitive.
LO SPIRITO DEL CONCILIO VATICANO II
Rispondere alle aspirazioni dei ceti e dei popoli più poveri dando corpo al magistero morale diGiovanni XXIII, artefice con il Concilio Vaticano II della limpida separazione tra sfera civile e sfera religiosa. Distinzione che ricalcava il “Libera Chiesa in libero Stato” formulato dal cattolico-liberale Cavour. È la chiave di lettura offerta dal politologo e sociologo Luciano Pellicani, già direttore di Mondoperaio e divulgatore del socialismo liberale e federalista.
Protagonista della polemica contro l’ortodossia marxista e teorico del rinnovamento del socialismo italiano alla fine degli anni Settanta, lo studioso fa chiarezza su un punto che tanta ostilità ha suscitato nel mondo conservatore statunitense: “Francesco non c’entra nulla con laTeologia della liberazione né con il marxismo, che scaturisce dalla critica cristiana alla proprietà privata in vista di una comunità armoniosa e affratellata”.
LA FRONTIERA DELLA CHIESA DI BERGOGLIO
Il Papa, rileva lo studioso, governa un’istituzione religiosa e politica, che spesso è scesa a patti con il potere mondano. E che, di fronte alle accuse delle sette protestanti di allontanamento dal messaggio evangelico, cerca di recuperare un legame con le periferie del pianeta. Un’opera tanto più importante in un mondo occidentale plasmato dalla tradizione cristiana. Nelle sue luci come la caritas verso gli umili e gli esclusi, e nelle sue ombre quali l’ossessione per le eresie. Tuttavia, rimarca Pellicani, la predicazione di Francesco incontra un ostacolo formidabile: “Una visione della vita animata dalla fede e dalla ricerca di un fine trascendente è sempre più ardua nella nostra realtà disincantata”.
Argomentazioni sviluppate dallo storico della religione Roberto Garaventa, allievo del teologo cattolico “dissidente” Hans Kung e autore del libro “Per una riforma radicale della Chiesa”. Rivendicando al pontificato di Francesco una visione post-conciliare che rompe con l’opera di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II, lo studioso ne illustra così la cifra distintiva: “È un Papa che si rivolge ai cristiani per chiedere come vivono la loro fede, per perdonare anziché enunciare dogmi ed ergersi a giudice”.
UN DISSENSO FRA CATTOLICI
Proselitismo per attrazione e non per imposizione, rimarca Gianni Gennari, per anni vaticanista di Avvenire, scrittore e teologo morale. Ma sulla critica di Francesco al capitalismo contemporaneo le riflessioni nel mondo cattolico divergono profondamente. La firma del quotidiano della Conferenza episcopale ne ascrive le ragioni alla lezione del Vangelo, “che proclama in modo rivoluzionario la comunanza universale dei beni”. Il vaticanista del Corriere Ticino Giuseppe Rusconi, autore di una rubrica telematica dal titolo “Rossoporpora”, precisa invece che Chiesa povera e per i poveri vuol dire Chiesa sobria e non stracciona, consapevole che la povertà resta un male e che il denaro non è opera del diavolo.
La Santa Sede governata da Francesco, precisa il giornalista, è ostile agli sprechi e favorevole al buon utilizzo delle risorse, come rivela il rinnovamento promosso nelle strutture finanziarie vaticane. A suo giudizio l’origine delle accuse del Pontefice verso l’odierno modello economico risale al suo retaggio giovanile peronista e “descamisado”, tutto latino-americano se pur assorbito con il filtro gesuitico.
È con l’intelligenza e la forza emozionale di tale eredità che Bergoglio aspira a trasformare i “cuori di pietra” in “cuori di carne”. Ma il canale emotivo scelto per la comunicazione del messaggio cristiano, così lontano dalla razionalità pura cui si appellava Joseph Ratzinger, costituisce per Rusconi l’incognita e il punto fragile del magistero di Francesco.
CONSONANZE RADICALI
Diversità che Angiolo Bandinelli, radicale storico e scrittore, allarga all’orizzonte culturale in cui agiscono i due Pontefici: “Papa Bergoglio ha il dono inestimabile di respingere gli spettri dell’età moderna che dominavano il pensiero di Benedetto XVI: tecnologia, relativismo, illuminismo. L’attuale Pontefice si immerge nel mondo per sfidarli”.
Riflessione che non convince fino in fondo Marco Pannella. Perché con la rinuncia al trono papale, spiega l’alfiere dell’anti-clericalismo liberale, Benedetto ha voluto porre le premesse per un “Concilio Vaticano III”. Trasmettendo la convinzione che rinunciando ai crismi del potere e agli intrecci con le istituzioni secolari la Santa Sede può riscoprire la purezza e la forza del messaggio evangelico.
È su un terreno così dirompente che ha preso corpo il magistero di Francesco. Pontificato, rimarca Pannella, animato dalla stessa “ricerca della verità aperta alla speranza” che ispirò l’azione di Angelo Roncalli. E come Giovanni XXIII con il suo pontificato universalistico riuscì a evitare la catastrofe nucleare, Francesco incarna l’umanesimo e il personalismo cristiano, che in tutti gli esseri umani vede i segni del divino, dell’assoluto, del trascendente. Lo ha colto nella popolazione carceraria, nei più umili costretti “nelle moderne catacombe”. Forse è il “Pontefice venuto dalla fine del mondo”, conclude il leader radicale, che ricomporrà il divorzio tra scienze e fede, tra ragione e religione.
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