Segnalatoci il pezzo, siamo andati a cercarlo, e l’abbiano letto con piacere, soprattutto per alcune precisazioni in esso contenute, che finalmente fanno luce sul vero significato dell’essere cristiani oggi, almeno secondo la limpida scienza del Dott. Marco Tarquinio, noto e poco apprezzato Direttore del giornale vescovile.
Il Dott. Marco risponde ad una lettrice che ha partecipato ad una manifestazione delle “Sentinelle in piedi”, a favore della famiglia tradizionale. Egli ne apprezza l’intenzione e la finalità, ma ne ricorda la pericolosità, seppure in maniera dissimulata, poiché sottolinea che, a volte, in queste manifestazioni si insinuerebbero degli intossicatori e degli strumentalizzatori.
Tralasciamo il tono perbenista del Dott. Marco, che rientra nei moderni canoni che esigono che si possa parlar male, ma basta farlo con ipocrita mielosità, e cogliamo le lezioni di dottrina e di pastorale.
“Tentativi [certi velenosi tentativi di intossicare e strumentalizzare] che sono condotti da gruppi politici estremisti che ben poco conoscono il Vangelo – e spesso nulla stimano la Chiesa e i valori umani e religiosi dei cristiani – ma sotto le bandierine di un vuoto e statico "tradizionalismo" (neanche lontanamente amico della vera tradizione, che è apertura al dono e movimento in avanti, dinamica trasmissione ai tempi nuovi di princìpi e di consapevolezze preziose e arricchenti) s’ingegnano a contrabbandare intolleranza e rifiuto conditi di slogan falsamente perbenisti”.
Questa staffilata violenta e compiaciuta, è fondata sul presupposto che “l’impegno di testimonianza” del cristiano non sarebbe mai rivolto “contro le persone”… tranne, ovviamente, quando queste persone non siano quelle che non ci piacciono e che perciò sono condannabili e fustigabili a priori.
No, non si chieda coerenza, perché i Dottori Marco sono dei cattolici adulti, mica dei cattolici bambini e immaturi. Che sarebbero poi i “gruppi politici estremisti” che, sedicenti cattolici, “nulla stimano… i valori umani e religiosi dei cristiani” e “s’ingegnano a contrabbandare intolleranza e rifiuto”. E questi sovversivi si ammanterebbero delle “bandierine di un vuoto e statico ‘tradizionalismo’”.
Ecco svelata la fonte dalla quale il Dott. Marco trae la sua reprimenda e la sua compiaciuta fustigazione: il pregiudizio anti-tradizionale, marchio distintivo dei cattolici adulti, usi all’esercizio di pronazione al cospetto del mondo anticattolico e antireligioso.
E a ragione, secondo il Dott. Marco, perché costoro non sono “neanche lontanamente amici della vera tradizione”, la quale, sempre ovviamente, lui sa benissimo cosa sia.
Cos’è?
La “vera tradizione” è “apertura al dono e movimento in avanti” è “dinamica trasmissione ai tempi nuovi di princìpi e di consapevolezze preziose e arricchenti”.
E poi si dice, errando, che i cattolici adulti non sarebbero delle “menti”!
Altro che! Delle menti eccelse. Peccato che non sappiano neanche esprimersi, perché forse si accorgerebbero da soli dell’aria fritta che spingono con le loro verghe fustiganti.
La vera tradizione è apertura al dono. Cioè?
Forse il Dott. Marco voleva dire che se uno gli offre una bella fetta di torta avvelenata, arricchita con le ciliegine dell’ateismo e del satanismo, lui, da buon conoscitore della vera tradizione, se la ingolla in quattro e quattr’otto. O forse no. Forse voleva dire che il vero cattolico deve aprirsi ai doni del pensiero illuminista e farli suoi aggiornando la Rivelazione. O forse no. Forse voleva dire che la vera tradizione è una porta aperta a tutti i doni degli interessati donatori. O forse no. Forse voleva dire che la tradizione, la trasmissione, è una cesta vuota da riempire con dei doni. O forse no. Forse chissà cosa volesse dire, ma non l’ha saputo dire.
Tranne che non volesse dire che la tradizione è un dono di Dio che va accolto e trasmesso integro fino alla fine dei tempi, senza l’apporto di doni umani e, soprattutto, senza movimenti in avanti. Forse, ma forse non è questo che voleva dire. Infatti aggiunge “la tradizione è movimento in avanti”.
Ora, tradizione significa trasmissione, cioè conduzione di un dato, quel dato, solo quel dato, nello specifico: la verità insegnata da Dio, dal passato al presente e dal presente al futuro.
Facciamo un esempio.
Il motore di un’auto produce una certa energia, questa viene convogliata da certi organi che la trasmettono alle ruote, le quali, così mosse, spostano l’auto con tutto il motore, e così via in un continuo fino all’arresto del motore. Fin quando alle ruote arriva quella energia, l’auto si muove come si deve; se l’energia è turbata o scomposta da qualcosa di estraneo ad essa, l’auto o non si muove o si schianta.
Ciò che si “muove in avanti” non è l’energia, ma l’auto, rispetto alla quale l’energia è ciò che muove, non ciò che si muove.
Oggi, con il cervello sconvolto dalle suggestioni del mondo, molti sono portati a scambiare l’auto con l’energia o la Chiesa con la Tradizione, e pensano che l’andare avanti della Chiesa, nel tempo, sia tutt’uno con l’andare avanti della Tradizione; e pur di fronte all’impossibilità anche solo di formulare una tale incongruenza, si convincono dell’assurdo e pensano che l’energia benché fissa e continua, in realtà si muova, e non si rendono conto che se quell’energia, la Tradizione, si muovesse in avanti, l’auto, la Chiesa, non riceverebbe più l’energia dovuta per muoversi come si deve e, o si bloccherebbe o, sommossa invece che mossa, si schianterebbe.
Ma il Dott. Marco questo non lo sa, egli invece ha imparato, dagli uomini di Chiesa moderni, che la tradizione sarebbe “movimento in avanti”, cioè sarebbe quella strana cosa che oggi si usa chiamare “tradizione vivente”, in chiara contrapposizione alla “tradizione vuota e statica” coltivata dai tradizionalisti.
Ma anche qui, né il Dott. Marco né i suoi insegnanti, si accorgono dell’incongruenza che arriva fino alla contraddizione.
Se la tradizione non è “statica”, perché è vivente, ne consegue che essa è destinata a non permanere e a perire, al pari di ogni elemento vivente. Vivere significa nascere, crescere, deperire e morire. La tradizione vivente non può sfuggire a questa legge dell’esistenza, più vive e più cresce e muta, e si approssima alla morte e muore. Ma quando si giungesse alla morte della Tradizione, per ciò stesso si arriverebbe alla morte della Chiesa.
La differenza tra Tradizione statica e tradizione vivente sta tutta qui: la prima, al pari dell’energia che muove l’auto, nel mantenersi integra muove la Chiesa; la seconda, per il suo essere vivente e quindi mutevole e corruttibile, porta la Chiesa alla morte.
Cinquant’anni di post-Concilio sono come la prova di laboratorio della correttezza di questo assunto.
Ma il pensiero debole e fragile del cattolico adulto ha bisogno di precisare e quindi il Dott. Marco aggiunge: “la tradizione è dinamica trasmissione ai tempi nuovi di principi e di consapevolezze preziose ed arricchenti”.
E ha fatto bene a precisare, il Dott. Marco, perché, se non si fosse capito, è bene che si sappia che per il cattolico adulto, la Tradizione, tutto è, tranne la trasmissione della verità insegnata da Dio.
In questa precisazione del Dott. Marco, infatti, Dio non è citato, per il semplice motivo che il cattolico adulto concepisce la tradizione solo secondo le concezioni moderne delle varie “pro loco”: conservazione folkloristica di mere invenzioni umane, riviste ed adattate: le uniche “tradizioni” viventi.
Cosa sono infatti i “principi e le consapevolezze preziose ed arricchenti”, se non delle ottime giustificazioni parolaie per manifestazioni come il palio di Siena o il carnevale di Ivrea?
Il Dott. Marco non sa, evidentemente, che la Tradizione è, insieme alla Scrittura, una delle due fonti della Rivelazione; se lo sapesse non se ne verrebbe fuori con la storiella tutta umana dei princípi preziosi e arricchenti, che sono chiaramente i parenti prossimi dei sacri princípi dell’89.
Ma bisogna essere comprensivi: non si può pretendere che un cattolico adulto conosca anche solo i rudimenti dell’insegnamento cattolico.
Esaurita la lezione di dottrina, il preparato Dott. Marco, passa alla lezione di pastorale:
“Non mi stanco di ripeterlo: i cattolici sono e saranno sempre d’accordo se e quando si costruiscono e attivano in una comunità civile, in uno Stato, nuovi strumenti di solidarietà tra le persone”.
Precisiamo subito che uno che dà prova di non padroneggiare i rudimenti dell’insegnamento cattolico, è inevitabile che concepisca la pratica del cattolicesimo, cioè della religione rivelata da Dio, come la comunanza dei soci di una bocciofila.
In effetti, nonostante la religione cattolica sia lo strumento che Dio stesso ha donato all’uomo per salvare la propria anima, è ormai da parecchi anni che i cattolici vengono educati a coltivare la salute dei propri corpi, essendo l’anima qualcosa che, in questo mondo degenerato, sfugge alla percezione dell’uomo medio, ivi compresi tanti cattolici adulti che continuano ad abbeverarsi alle fonti avvelenate del Vaticano II.
Ora, se i cattolici debbono costruire “nuovi strumenti di solidarietà tra le persone” e devono attivarsi per questo nella comunità civile, diventa inspiegabile perché debbano essere cattolici e non basti che siano delle brave persone qualsiasi. Il mondo è pieno di brave persone che coltivano buone intenzioni nei confronti degli altri, esattamente come le strade dell’Inferno che sono lastricate dalle buone intenzioni umane.
È ridicolo presumere che solo i cattolici sappiano e debbano fare filantropia, perché la realtà ci mostra che i filantropi sono dappertutto, non solo nella compagine cattolica. Quindi, non serve essere necessariamente cattolici per fare i filantropi.
Ma il Dott. Marco si confonde perché continua a disconoscere quale sia il senso vero dell’essere cattolici.
Contrariamente a quanto hanno continuato ad affermare gli uomini di Chiesa moderni a partire dal Vaticano II, e cioè che il cattolicesimo consisterebbe nel culto dell’uomo, la verità è che il cattolicesimo consiste essenzialmente nel culto di Dio. Il cattolico si differenzia da tutti gli altri uomini, perché non coltiva la filantropia, ma la filotea, si differenzia non perché nutre l’amore per l’uomo, ma perché vive, o si sforza di vivere, l’amore per Dio; ed è solo vivendo l’amore per Dio che giunge ad amare gli uomini, per amore di Dio.
Non è come ce la contano i moderni uomini di Chiesa: che l’amore per l’uomo porta all’amore per Dio. No. È esattamente il contrario: è l’amore per Dio che porta all’amore per l’uomo; ed è solo in questo modo che l’uomo può amare il suo prossimo. Diversamente, l’amore per l’altro, come si dice oggi, resta chiuso in se stesso e, nella migliore delle ipotesi, chiuso in un circolo vizioso in cui l’uomo ama l’uomo per l’uomo. È l’insegnamento “pastorale” del Vaticano II: insegnamento meramente umano che, non solo mette da parte Dio, ma innesca il processo distruttivo dell’amore per se stesso e per se stessi, in una spirale che gira intorno all’asse della morte, senza alcuna prospettiva ultraterrena, in un continuo rinchiudersi nello spazio sempre più angusto del ciclo vitale terreno.
Ora, quando il Direttore del quotidiano dei vescovi avanza pretese come queste, è evidente che tutto il giornale è centrato su una filantropia che non si cura né di Dio, né della salvezza delle anime dei fedeli, e si preoccupa solamente di scopiazzare le declamazioni umanitarie dei club massonici e dei salotti laici. E questo fa capire perché il Dott. Marco discetti di solidarietà buonista e bacchetti i cattolici che si richiamano all’insegnamento dei Vangeli.
Suvvia! Nostro Signore non si è forse incarnato per stimolare gli uomini a costruire nuovi strumenti di solidarietà tra le persone?
Siamo sinceri! Non è tutto il Vangelo teso a stimolare gli uomini a costruire nuovi strumenti di solidarietà tra le persone?
Stiamo attenti! Non sono tutti i Padri della Chiesa gli stimolatori degli uomini a che costruiscano nuovi strumenti di solidarietà tra le persone?
Avvenire dixit!
Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio,
abbi pietà di noi, peccatori.
di Belvecchio
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV773_Belvecchio_Lezioni_dottrina_e_pastorale.html
A margine dell'articolo di Belvecchio
A margine dell'articolo di Belvecchio
di Giovanni T. - Firenze
Il fatto è che questi Dottori, come l’Autore della risposta di «Avvenire» commentata da Belvecchio - che forse non hanno mai inteso dire delle “due fonti”; che forse della Tradizione hanno la stessa cognizione che donna Prassede aveva delle idee, cioè ne aveva poche; che forse hanno sentito parlare sì dell’intangibilità del dogma, ma non di un suo sviluppo solo ed esclusivamente in termini di «genuinità ed omogeneità» secondo la lezione del Lérins - questi Dottori i cui cervelli si sono allenati coi vari catechismi postconciliari, si levano ormai da cinquant’anni a «magistri» della Chiesa e - grave – spesso proprio dalla stessa asseverati come tali, interlocutori privilegiati di conferenze, simposi, celebrazioni varie.
Questo, si sa ormai fino alla noia, è il frutto conciliare di quella desistenza magisteriale di una Chiesa che da docente si è fatta discente, al pari con le altre religioni, di una Chiesa in dialogo col mondo, che ha perso l’unità della dottrina proprio in nome di quella tradizione vivente, accusata a ragione di essere stata il vero cavallo di Troia all’interno delle mura d’Oltretevere: fiumi di parole sono stati scritti e detti al riguardo, soprattutto dalla parte tradizionalista.
L’accantonamento della fonte-Tradizione e l’apertura alla dialettica col mondo del suo organo portante che era il Magistero, ha alterato tutto il sistema.
In quelle conferenze, simposi e celebrazioni varie, gli eredi di quei vincitori al Vaticano II si ostinavano fino all’inverosimile sulla bontà di questa Chiesa solo rinnovata, cioè solo rinfrescata; e giuravano sulla sua continuità col passato, ma il risultato era a tutti evidente e non poteva restar camuffato a lungo: la Chiesa di ieri non è quella di oggi e il fedele di oggi non è il christifidelis di un tempo.
E dire che non si vuol rivendicare la fissità della Chiesa, cosa anacronistica e improponibile, ma certo siamo molto in prossimità del superamento di quel delicato diaframma fra una Chiesa che «diviene» naturalmente e una Chiesa che «muta» la sua stessa essenza.
Tuttavia la Chiesa, «questa» amata Chiesa per la quale ad esempio Palmaro ha speso tutta la sua breve ed intensa vita, continua ad essere assistita dallo Spirito Santo ed è all’interno della Chiesa che, con le stesse parole di Palmaro, va continuato l’«antico duello»: quel duello che il filosofo Radaelli vuole per “ricreare un ambiente santamente dogmatico” e che il filosofo Livi vuole per districarsi dalla sterile contrapposizione progressisti-conservatori ed ancorare la Chiesa alla «verità certamente rivelata» - cioè al dogma - e non ad ogni “verità ipotizzata dall’uomo”.
Del resto, non è forse vero il criterio intuito da Amerio secondo cui “la Chiesa non va perduta nel caso non pareggiasse la verità ma nel caso perdesse la verità”; e non è forse il fuoco della verità che può far risplendere la trascendenza della Chiesa?
Forti di questa fedeltà alla verità, che l’antico duello si svolga dunque con le armi della verità di un linguaggio non più ambiguo, guardingo, di legno (Radaelli); sul terreno di verità che è Cristo testimoniato dalla Chiesa depositaria della Rivelazione, che è Tradizione e Scrittura proclamata attraverso il Magistero; con l’abito di verità delle virtù, oggi nemmeno più prese in considerazione dai manuali di catechismo e men che meno insegnate ai nostri figli.
E che il confronto abbia ad oggetto la «conservazione» della verità custodita dalla Chiesa, che passa attraverso la fedeltà magisteriale alle Fonti e da entrambe – Scrittura e Tradizione – alla sana dottrina di sempre.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV775_GT_A_margine_dell-articolo_di_Belvecchio.html
Questo, si sa ormai fino alla noia, è il frutto conciliare di quella desistenza magisteriale di una Chiesa che da docente si è fatta discente, al pari con le altre religioni, di una Chiesa in dialogo col mondo, che ha perso l’unità della dottrina proprio in nome di quella tradizione vivente, accusata a ragione di essere stata il vero cavallo di Troia all’interno delle mura d’Oltretevere: fiumi di parole sono stati scritti e detti al riguardo, soprattutto dalla parte tradizionalista.
L’accantonamento della fonte-Tradizione e l’apertura alla dialettica col mondo del suo organo portante che era il Magistero, ha alterato tutto il sistema.
In quelle conferenze, simposi e celebrazioni varie, gli eredi di quei vincitori al Vaticano II si ostinavano fino all’inverosimile sulla bontà di questa Chiesa solo rinnovata, cioè solo rinfrescata; e giuravano sulla sua continuità col passato, ma il risultato era a tutti evidente e non poteva restar camuffato a lungo: la Chiesa di ieri non è quella di oggi e il fedele di oggi non è il christifidelis di un tempo.
E dire che non si vuol rivendicare la fissità della Chiesa, cosa anacronistica e improponibile, ma certo siamo molto in prossimità del superamento di quel delicato diaframma fra una Chiesa che «diviene» naturalmente e una Chiesa che «muta» la sua stessa essenza.
Tuttavia la Chiesa, «questa» amata Chiesa per la quale ad esempio Palmaro ha speso tutta la sua breve ed intensa vita, continua ad essere assistita dallo Spirito Santo ed è all’interno della Chiesa che, con le stesse parole di Palmaro, va continuato l’«antico duello»: quel duello che il filosofo Radaelli vuole per “ricreare un ambiente santamente dogmatico” e che il filosofo Livi vuole per districarsi dalla sterile contrapposizione progressisti-conservatori ed ancorare la Chiesa alla «verità certamente rivelata» - cioè al dogma - e non ad ogni “verità ipotizzata dall’uomo”.
Del resto, non è forse vero il criterio intuito da Amerio secondo cui “la Chiesa non va perduta nel caso non pareggiasse la verità ma nel caso perdesse la verità”; e non è forse il fuoco della verità che può far risplendere la trascendenza della Chiesa?
Forti di questa fedeltà alla verità, che l’antico duello si svolga dunque con le armi della verità di un linguaggio non più ambiguo, guardingo, di legno (Radaelli); sul terreno di verità che è Cristo testimoniato dalla Chiesa depositaria della Rivelazione, che è Tradizione e Scrittura proclamata attraverso il Magistero; con l’abito di verità delle virtù, oggi nemmeno più prese in considerazione dai manuali di catechismo e men che meno insegnate ai nostri figli.
E che il confronto abbia ad oggetto la «conservazione» della verità custodita dalla Chiesa, che passa attraverso la fedeltà magisteriale alle Fonti e da entrambe – Scrittura e Tradizione – alla sana dottrina di sempre.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV775_GT_A_margine_dell-articolo_di_Belvecchio.html
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.