ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 7 marzo 2014

Liquida Chiesa in liquido stato

 (seconda parte)

di Giorgio Mariano
«Io nel marzo scorso non avevo alcun progetto di cambiamento della Chiesa. Non mi aspettavo questo trasferimento di diocesi, diciamo così». Così il papa nell’ultima intervista rilasciata al Corriere della sera. Francesco ribadisce ancora di non ritenersi “papa” ma un vescovo come gli altri. Per lui l’elezione al soglio pontificio sarebbe un semplice “trasferimento di diocesi”.
Alla domanda stringente sulla posizione della Chiesa in merito ai casi di malati in stato vegetativo ha dichiarato: «Io non sono uno specialista negli argomenti bioetici. E temo che ogni mia frase possa essere equivocata». Come non rimanere disorientati quantomeno spiazzati dinanzi ad una tale dichiarazione? Non è forse lui il garante della fede e della morale? Il mondo (in particolare quello cattolico) non guarda forse a lui per sapere cosa sia giusto specialmente nelle cogenti questioni bioetiche ed antropologiche? Se il papa non si documenta e non è preparato, chi dovrebbe dare una parola chiara che sia di riferimento per i cattolici? Almeno Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno dimostrato preoccupazione e dato importanza alla gravità delle sfide poste in ambito etico e bioetico: e Francesco? Afferma Pio XI: «Insisti a tempo opportuno e anche non opportuno; riprendi, esorta, sgrida, con grande pazienza e dottrina" (II Tim. IV, 2): insistenza richiesta dai tempi nostri, nei quali purtroppo si deplora una sì grande mancanza di chiari e sani principi anche circa i problemi più fondamentali»[1]. E prosegue: «Dio stesso ha fatto la Chiesa partecipe del divino magistero e, per beneficio divino, immune da errore; ond'è degli uomini maestra suprema e sicurissima, e le è insito l'inviolabile diritto a libertà di magistero»[2].
Oggi invece si evita di condannare il peccato per il timore che additando il male si condanni anche il peccatore. Ma questa è pusillanimità non misericordia. Non si può scambiare il buonismo per carità. Una Chiesa che non vuole correggere, che si rifiuta di correggere è una chiesa che si rifiuta di educare. Ciò la pone in linea perfetta con la pedagogia, o meglio, l’anti-pedagogia che ha contraddistinto le istituzioni dal '68 ad oggi. “Vietato vietare” è uno degli slogan più conosciuti di quello sventurato decennio dal quale si è snodato lo sfaldamento dei tessuti umani primari (matrimonio, paternità, maternità, famiglia). Dal Concilio Ecumenico Vaticano II, la gerarchia ecclesiastica ha progressivamente rinunciato al suo mandato di guida spirituale e morale delle genti abbassandosi al livello di un dialogo egualitario che la pone sul piano di una qualunque organizzazione umanitarista. Si è scelto di non condannare più gli errori del secolo ma si cerca affannosamente la “comunione”, a costo di sacrificare la Verità sull’altare del politically correct. Avete udito che fu detto (fino a quel fatidico 1965) che per la Chiesa la salus animarum prima et suprema lex, ma ora la “nuova legge” che regola gli interventi della gerarchia è il “dialogo”, sia esso ecumenico, interreligioso o con il mondo laicista ed ateo. La parola d’ordine è “comunione”, fine a se stessa, tutta umana e completamente priva di qualsiasi tensione alla Verità che ci sovrasta. 
E’ certo, però, che l’uomo ha un bisogno intrinseco ed essenziale di essere “educato”, di essere in qualche modo plasmato. L’uomo ha un disperato bisogno che gli sia indicato il bene da seguire e il male da evitare per realizzare pienamente la propria umanità. Quale organismo più della Chiesa può rivendicare tale mandato educativo? Chi più della Chiesa fondata da Cristo può indicare cosa è bene per l’uomo? Ma se la Chiesa non educa, se la Chiesa non corregge, se la Chiesa non punisce, come farebbe un buon padre di famiglia nell’assistere alle trasgressioni del figlio adolescente, a cosa serve? L’uomo non ha bisogno di compassione fine a se stessa o, peggio ancora, di pietismo, bensì che gli sia indicata la strada da seguire per non sbagliare più. Nostro Signore alla peccatrice ha detto certamente “nessuno ti ha condannata” ma ha anche aggiunto “va e non peccare più”. La correzione è la via per l’emendazione. L’autorità, pertanto, non si condivide “democraticamente”, ma deve essere chiaro che essa si riceve come un onere, ossia per servire. Ciò significa che per esercitarla bisogna essere fedeli al deposito della Fede e custodirla con estrema venerazione e sacro timore perché l’altro nome di autorità è “sacrificio”. La tentazione della baumaniana “liquidità”, dunque, sta progressivamente intaccando anche il tessuto ecclesiale. Un movimento che finora abbiamo visto salire dal basso clero, ed ora apertamente promosso dalle “alte sfere” vaticane.
Non si dimentichino però i novatori, che laddove non c’è gerarchia non c’è ordine, dove non c’è ordine viene meno la distinzione e san Tommaso ricorda che “chi non distingue, confonde”. Ma la distinzione comporta la necessaria “diseguaglianza” cioè l’asimmetria dei ruoli, e laddove manca questa, regnano la confusione, il caos e l’ingiustizia. La Chiesa è irreformabilmente gerarchica perché Cristo ne è il Capo, e il Sommo Pontefice è il Suo Vicario. Tuttavia è chiaro che non si può essere testimoni fedeli, ossia “martiri” fino a dare la vita per Nostro Signore se non si è intimamente convinti che senza Cristo il mondo è perduto. Per quanto riguarda, poi, la libertà di coscienza, non serve essere cattolici per capire che essa è il preludio all’anomia e al regno del caos. Papa Francesco ha dichiarato: “La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza”. Dostoevskij, invece, gli risponderebbe: “Non dire mai a qualcuno di seguire la propria coscienza senza dirgli anche subito che deve preoccuparsi di formarsi una coscienza secondo verità. Altrimenti gli avrai insegnato la strada più facile per rovinarsi”(dal “Diario” di F. Dostoevskij).



[1] PIO XI, Enc. Divini Illius Magistri, 31 dicembre 1929.

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