Notizia maschia, notizia femmina
Settimana di passione ecclesiastica. Fa notizia l’amore, il disamore, il desiderio. La versione di Kasper
Settimana interessante. Mentre gli altri parlavano di questione morale e sottosegretari che non hanno pagato di tasca propria dei francobolli, o del dissenso grillino, o della legge elettorale chepalle, ci siamo impegnati su affarucci come sesso, matrimonio, maschio, femmina, promessa e redenzione. Un giornale teologico? No, un giornale. Infatti Kasper era la notizia, come ha notato nell’intervista a De Bortoli anche papa Francesco. E’ una nostra vecchia abitudine, parlare delle cose che contano quando le cose che non contano parlano di noi nel nostro mondo vuoto dell’informazione. Se la chiesa cattolica, che ormai è una minoranza accerchiata ma fa ancora notizia per un paio di miliardi di persone e oltre, possiede e fa lavorare varie università di riguardo, mobilita qualcuno la domenica per la messa nelle diocesi e nelle parrocchie, e ispira settimanali tabloid-sublimi come “ilmiopapa”, oltre che le preghiere piene di compassione e di bellezza dei credenti, bè, se la chiesa dice che non sa che pesci pigliare in materia di amore tra uomo e donna, promessa di lealtà, educazione dei figli, matrimonio e gender, “maschio e femmina li creò”, si rassegna all’ovvio, ecco, allora bisogna forse parlarne.
Non essendo una cordata né una lobby gay, noi abbiamo dato la parola a tutti. Prima a un rapporto secretato di un grande teologo, Walter Kasper, che sabato scorso pubblicammo in esclusiva mondiale come testimonianza decisiva dell’orientamento nuovo del papa e dei cardinali in vista del Vaticano III, detto sinodo sulla famiglia. Poi a una sua interpretazione controversiale, e inimica culturalmente e dottrinalmente, del professor Roberto de Mattei, un sincero credente della tendenza lepantista e un grandissimo esperto storico e teologico della materia. Poi molti interventi a sostegno di Kasper, storici e pensatori ecclesiastici pro svolta di grandissimo riguardo come Paolo Prodi, Daniele Menozzi, Giovanni Filoramo, Alberto Melloni, il martiniano Marco Garzonio (oggi) l’esegeta attento del cattolicesimo americano Massimo Faggioli, da non confondere con lo psicoanalista con una sola “g”. Hanno detto come la pensano il filosofo Massimo Cacciari, il cattolico tridentino Francesco Agnoli, la femminista Ritanna Armeni, la scrittrice Costanza Miriano, altri pro e altri contro la svolta radicale sul matrimonio, i contro in minoranza com’è giusto. Tema: anche dalle parti di Gesù ora si divorzia. Che di questo si tratti lo ha testimoniato con chiarezza come si dice adamantina, nell’intervento “contro Kasper”, proprio ieri in prima nel Foglio, un teologo spagnolo di grande rango, Juan José Pérez Soba, uno della scuola teologica di Karol Wojtyla, non so se avete presente, Wojtyla è stato papa per parecchio tempo, ha incubato il successore Benedetto, e ora lo fanno anche santo.
Soba ha detto papale papale: il matrimonio è come il battesimo, il suo crisma è la dignità della persona umana, il suo suggello indisponibile è l’indissolubilità, che appartiene alla chiesa e al cristianesimo tutto, non è materia teologica originata da un pensiero che cambia, sia pure il pensiero sacrale di un grandissimo padre come Agostino d’Ippona. E ha aggiunto che il rapporto Kasper è né più né meno l’accoglimento del divorzio dentro i confini della fede e della prassi pastorale. Un cardinale di grande apertura mentale scioglie, divide, ciò che Dio ha unito. Conclude, il Soba, in modo spettacolare, drammatico: quel rapporto ai cardinali va ritirato, il Vaticano III imminente non ha nemmeno l’autorità per cambiare il linguaggio e il dettato evangelico di Gesù il Cristo. Vabbè, non sono cose decisive come i francobolli dei sottosegretari o gli inni a Matteo dei bambini di Siracusa, mi rendo conto, siamo in una sfera minore, ma qualche importanza queste cose dovrebbero averla, ed è per questo che sono state ignorate tranne che dal papa nel Corriere e da noi.
Il punto è che è difficile parlare della realtà umana, di noi, della mezza o intera verità che esprimiamo nella nostra vita, nella scrittura, nella letteratura, nel pensiero di Dio e nelle sue eventuali conseguenze morali. La struttura del peccato è obsoleta. Nessuno bada più alle faccende che implicano questioni come la generazione, il futuro, la stabilità e il senso del mondo. Non fanno parte dell’agenda digitale, non entrano nei programmi dei governi e delle opposizioni. Chissenefrega. E poi c’è l’assuefazione al già fatto, al già detto. Chi sono io per giudicare un divorzio, se ci siano amore e sentimento puro a presidiare la storia di una coppia che si disgiunge e di un’altra che si congiunge? Facciano. Non sono nessuno per farmi soggetto di un simile giudizio temerario. Non sono un cardinale, e dunque pazienza, non sono nemmeno un ayatollah, e quindi pazienza, il mio spirito interiore sarà salvo se solo manterrò quella fedeltà al Dio di misericordia alla quale ci richiama ogni giorno il papa venuto dalla fine del mondo.
Il divorzio è un affare di Hollywood e della porta accanto. I figli senza babbo né mamma, o con uno dei due se va bene, sono un non-problema, che tra l’altro adesso si potrà risolvere con le adozioni in famiglia di babbo e babbo, di mamma e mamma. L’amore è il dominus. E che c’entra l’amore con la definitività, concetto astruso (“astratto” nel rapporto Kasper), che c’entra con l’indissolubilità, un mediocre trucco cartaceo e di diritto burocratico-amministrativo che lo sviluppo della società ha liquidato per sempre riducendo le monogamie a un minoranza stupidamente virtuosa? I confini dell’amore sono un fatto sociale, vanno con i tempi, si ridefiniscono in base all’esperienza, ma ti pare che l’amore possa essere trattato dentro quell’anticaglia che è la “famiglia nucleare”? Famiglia nucleare, e che vuol dire? La vita umana non c’entra con il suo embrione, i principi non negoziabili non hanno alcuna relazione con la produzione artificiale dei bambini come farmaci, come espressioni del desiderio cannibalico del falso amore materno. Tutto questo è biologismo, vecchio e inservibile positivismo, oppure quella fastidiosa eredità del pensiero e della prassi detta “diritto naturale”, roba da filosofi, non da vescovi e da umani, materialismo che non regge alla prova dello spritualismo contemporaneo, new age: abbi fede e fregatene delle conseguenze dalla tua fede.
Questa è la situazione nuova. Lo avevamo avvertito da tempo, come sanno i nostri lettori. Ma fino a ieri era cosa da combattere in Zapatero, nella movida europea, nelle intemerate dell’Onu, in qualche facoltà decostruzionista di gender studies, in legislazioni eutanasiche o eugenetiche demenziali, ma pur sempre prodotte da stracci di parlamenti, buone per chiedere il consenso a un bambino per la sua uccisione con la stessa disinvoltura con cui si chiede a Elton John il consenso per un’adozione sua e del suo compagno-marito.
Ora è diverso. Ora c’entra il papa in persona, nella sua penitudo potestatis, non so se mi spiego, lui che è vestito di bianco per ragioni serie, non solo liturgiche. Che rappresenta o dovrebbe rappresentare l’innocenza o l’aspirazione all’innocenza del desiderio. Ora in tutte le sue forme la colpa è diventata interpretazione. Voglio dunque posso. Faccio liberamente. Vade retro chi è sul mio cammino. Lapidate i lapidatori. Il nostro superomismo ginnasiale e nichilista ha ormai dalla sua un atteggiamento di benevolenza, di tenerezza, che proviene dalla cattedra più alta dello spirito, roba che si può finalmente santificare in quaresima.
Si obietta: ma no, è solo che il perdono non deve avere confini per un vero cristiano, e ai preti deve essere data la facoltà di concederlo misericordiosamente, e vada pure per la giustizia, al costo di una rapida penitenza. Ma chi volete coglionare? La pillola abortiva è già arrivata nell’emporio della democrazia riproduttiva, i futuri penitenti la possono ordinare per eBay o ti viene porta (venduta) in una regione meravigliosa, la Toscana, dove abolirono un tempo la pena di morte.
Tutto si può fare quel che si può fare. E la facoltà etica di farlo non è più in discussione. Questo è il fatto, Ratzinger dixit e previde. Ora ai fatti bisogna conformarsi. Un papa ha dovuto abdicare, e lo ha fatto con entusiasmo profetico nonostante la sua stanchezza, e anche noi dobbiamo su queste cose abdicare. Va bene, va bene, ma lasciateci almeno una settimana di tempo per fare testamento. Ecco, questo è stato il lavoro di sette giorni di questo giornale. Un documento a futura memoria sull’eccellenza dei tempi di perdita e di morte che ci tocca di vivere. Una notizia, a suo modo.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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