L'anno che ha scosso la Chiesa: dodici mesi dall'elezione di Papa Francesco
Bergoglio diventato Francesco, dodici mesi dopo, gode di una popolarità mai vista, più di Wojtyla, più di Roncalli, più di Paolo VI. In poco tempo ha spiazzato tutti. Time gli ha dedicato la copertina, lo stesso ha fatto la rivista Rolling Stones, inoltre è stato candidato al Nobel per la Pace e chissà se per la prima volta ci sarà un Papa a ritirare il premio a Stoccolma. In tv i suoi programmi raccolgono audience altissime, muove masse impressionanti, bastava osservare i 4 milioni sulla spiaggia di Copacabana quando a luglio si è recato in Brasile. Insomma un Papa superstar, i cui tweet in cinque lingue spopolano e vengono subito ritwittati alla velocità della luce e in misura maggiore di quelli del presidente Obama, solo per fare un paragone.
Il consenso cresce all'esterno e sembra non subire interruzioni, tuttavia all'interno della Curia il ciclone Bergoglio sta iniziando a smuovere sotterranei malumori, soprattutto tra i cardinali degli ambienti più conservatori e romano-centrici, che borbottano piuttosto critici per certi strappi alla tradizione. Sottovoce, sommessamente, quasi con ritrosia giudicano certi balzi in avanti un po' eccessivi. In campo liturgico per esempio, ma anche in campo dottrinale come lo stesso Francesco ha potuto osservare personalmente durante il dibattito libero (e a porte chiuse) durante il concistoro per la creazione dei nuovi cardinali dove, per due mattine consecutive, si è parlato a lungo di famiglia e delle nuove sfide che attendono la Chiesa in occidente. Non pochi porporati, in quella occasione, non hanno esitato a prendere la parola per manifestare un certo disagio soffermandosi su certi approcci «buonisti» che potrebbero mettere in pericolo l'impalcatura magisteriale finora osservata.
UMILTA’
La rivoluzione è iniziata il 13 marzo dell’anno scorso anche se al momento non è facile capire fino a dove potrà arrivare. Papa Francesco procede come un caterpillar e mostra di avere le idee sulla Chiesa che vorrebbe costruire, decisamente più comunitaria e meno centralistica di come non sia stata finora. All’orizzonte intravede una macchina di governo a servizio delle periferie e non viceversa. Per certi versi si tratta di un cambio di prospettiva. Sinergie, razionalizzazioni, accorpamenti. Già con ciò che subito dopo la sua elezione stava succedendo nella Cappella Sistina era facile intuire che il Papa «venuto dalla fine del mondo» era pronto a rivoltare l’ambiente curiale come un calzino. Ha rifiutato di sedersi sul trono, ha rispedito al mittente gli abiti sontuosi e la croce d'oro con smeraldi grossi come nocciole, ha voluto farsi benedire dal popolo quando si è presentato sulla Loggia, ha chiamato al suo fianco due cardinali, rompendo gli schemi. Da una parteVallini perché vicario di Roma e dall’altra Hummes suo storico amico, paladino di tante battaglie comuni. «Ricordati dei poveri» gli ha sussurrato l'arcivescovo emerito di San Paolo del Brasile
quando lo scrutinio convalidava l'elezione.
E poi il nome scelto, Francesco, che già di per sè contiene il programma del pontificato. «Sogno una Chiesa povera per i poveri» ha sintetizzato ai giornalisti due giorni dopo. Da quel momento Bergoglio ha sollecitato i preti a fare i preti, a non mettere i bigodini alle pecore ma andare nelle periferie a caccia di chi si è smarrito, ha sferzato i vescovi a rinunciare alle insegne del potere, i cardinali a non essere smaniosi di fare carriera, e infine ai fedeli ha domandato di perdonare i vicini,testimoniando la gioia di un annuncio senza l'acidità che hanno certi «cristiani con la faccia da peperoncino». Il primo viaggio lo ha fatto, simbolicamente, a Lampedusa tra gli immigrati, gli ultimi degli ultimi, urlando tutto il suo dolore. «Sono qui per risvegliare le nostre coscienze. Basta con la globalizzazione dell'indifferenza». Ha dato un volto alla disperazione. D’estate ha rinunciato alle ferie, solidale con le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese e di sicuro non possono permettersi il lusso di una vacanza. Qualche mese dopo è partito alla volta di Assisi a pregare sulla
tomba del Poverello, inginocchiandosi davanti al crocefisso di San Damiano, e chissà se ha ascoltato la stessa voce imperiosa: «Vai Francesco e aggiusta la mia Chiesa».
GESUITA
La gente lo sente vicino. È credibile perché usa utilitarie, abita nella pensione di Santa Marta, e vuole la trasparenza nelle finanze vaticane, predicando la misericordia verso i peccatori. Tutti. Un insieme al quale lui stesso appartiene. «Anche il Papa è peccatore». La sua Chiesa è un ospedale da campo intenta a curare i feriti. «Chi sono io per giudicare un gay?» Vuole anche studiare le coppie omosessuali per capire come la Chiesa può avvicinarsi ai bambini che crescono tra nuclei di persone dello stesso sesso. Così ha dato ordine di distribuire un questionario per avere una fotografia sul fenomeno. Servirà a riflettere su come accogliere le pecorelle smarrite. Donne che hanno abortito, coppie di fatto, divorziati risposati, quest’ultimo un tema che ha originato uno scontro tra cardinali possibilisti e tradizionalisti. Qualcosa si sta muovendo. Alla fine del Sinodo sulla famiglia previsto per quest'autunno deciderà lui stesso che direzione far prendere alla Barca di
Pietro. Dalla rivoluzione ormai non può tornare indietro. È per questo che ai giovani Bergoglio piace tanto. Tantissimo. In slang romanesco la loro fantastica sintesi: «Bella Fra'».
di Franca Giansoldati
in “Il Messaggero” del 11 marzo 2014
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