Il tempo quaresimale dovrebbe introdurci al mistero della morte e resurrezione di Cristo, dunque al mistero della salvezza dell’uomo. Purtroppo in questi nostri tempi difficili sembra quasi che questo mistero sia secondario e tutto, proprio tutto, viene pedestremente ricondotto a necessità materiali, sociali, politiche, financo ideologiche. I problemi della Chiesa ci interrogano come uomini che attendono guide in grado di introdurli nel mistero della salvezza, ci interrogano anche come meri spettatori di una storia della fede cattolica che sembra passare repentinamente da una lunghissima (già paleocristiana) fase docente ad una fase che si potrebbe definire conciliante.
Già San Paolo ammoniva, obbligava, insegnava, pur nel grande mare della misericordia. E poi così per secoli. Una Chiesa che pretende, che insegna, che obbliga, anche quando i suoi uomini sbagliano, si abbruttiscono nel peccato. Che lascia i cristiani liberi di scegliere, ma non liberi di credere. Che si sposa in blocco e non a pezzetti. Che spiega cosa sia il bene e cosa il male, che divide le anime nei tre luoghi spirituali ultraterreni, ma non lascia l’uomo libero di definire il bene e il male né tantomeno il cattolico libero di credere o meno in quei luoghi. Se si è cattolici si è obbligati. Non giustificati, mai giustificati. Ma obbligati sì.
E si deve essere cattolici e peccatori, e avere nondimeno chiaro che il peccato è tale, che è grave, per sé e per i propri fratelli. Che dal peccato e dalla sua schiavitù dipenderà la nostra salvezza. La nostra vita ultraterrena. Tutto qui. Tutto molto semplice pur nella sua complessità.
Il problema è posto oggi in maniera determinante dall’atteggiamento e dalle parole di Papa Francesco. Un Papa sui generis, indubbiamente, ma anche un Papa che criticando ogni giorno con violenza verbale quei cristiani che a suo dire sarebbero un “problema” nella Chiesa, mira a strutturare il consenso verso la sua persona e verso la “nuova Chiesa” che incarnerebbe. Lo struttura così perché sa che lo spettatore televisivo o il lettore di news online, indipendentemente dalla propria fede o dal proprio ateismo, è in cerca non di certezze ma di dubbi. E nonostante il fatto che ogni demolitore di certezze a sua volta si ponga come un dogmatico, la società contemporanea ama la distruzione di ciò che fino a ieri appariva solido, inattaccabile, refrattario allo spirito mondano.
Di qui le continue, estenuanti prediche in Santa Marta che nonostante la loro concinnitas sono di una disarmante ripetitività. Prediche nelle quali ritorna in maniera ossessiva il paragone fra i farisei evangelici e presunti cattolici che si credono detentori di ortodossia e rettitudine e in questo modo condizionano l’immagine della Chiesa. Cattolici bollati oggi dal Papa come “ipocriti” o accidiosi. Gente disturbata, insomma, che crede di salvarsi solo perché obbedisce a “regolette” al “si deve fare” e non alla “dialettica della libertà di Cristo”. Immagini di una “Chiesa del no” cui bisogna contrapporre una “Chiesa del sì”. E’ vero che nella Chiesa c’è stata e c’è tuttora una grande ipocrisia. Ma l’ipocrisia è il carattere tipico dell’incoerente, ossia di chi predica bene e razzola male. Di chi afferma un principio condiviso e santo, ma pratica la sua negazione. Il Papa invece sembra voler buttare via il bambino con l’acqua sporca. E condannando con violenza spesso priva di carità questi cattolici farisaici, sembra condannare anche i principi sacrosanti andrebbero affermando. La differenza con i farisei salta agli occhi: quelli cercavano di ingabbiare Dio in una superstizione del fare e non fare (fas e nefas), secondo il tipico modello delle religioni antiche. Fondamentalmente non credevano che ad una superstizione, la loro era una religione degradata, una struttura poggiata sul nulla. Ma oggi in che modo i cattolici sarebbero simili ai farisei? Lo sono forse quando strepitano contro l’aborto? O quando difendono il sacramento del matrimonio? Lo sono quando adorano il Signore in una liturgia priva di strepiti e di incursioni mondane? Lo sono quando esprimono il loro impegno nella società denunciando il peccato radicale, anche quando questo rischia di annientare le loro voci? Sarebbero costoro dei farisei?
O non sono piuttosto farisei coloro che si sono talmente allontanati dalla fede in Cristo da pensare che la “relazione” con Dio possa prescindere dalla redenzione e dalla condanna del peccato? Cristiani solo a parole, cristiani logici, perché nel loro cuore piegano il Vangelo alle esigenze della mondanità. E non rischiano il confronto e lo scontro col mondo, perché da un lato sarebbe disdicevole e dall’altro nel mondo loro ci stanno ben saldi.
Chi sono, allora? Chi sarebbero questi temibili farisei di cui parla il Papa? I tradizionalisti (ossia lo 0,000000x% dei cattolici mondiali)? I neocon americani? Gli anti-abortisti? I membri dell’Opus Dei? I Legionari di Cristo? I Francescani dell’Immacolata? Sono questi gruppi il problema della Chiesa? Ma soprattutto: lo è forse la condanna del peccato, la condanna senza se e senza ma?
E’ notizia di ieri che in Argentina una coppia di lesbiche ha ottenuto dal proprio Vescovo non solo il battesimo del proprio figlio, ma anche la possibilità di ricevere la cresima per sé. Tralasciando per un attimo il battesimo, mi domando come possano due lesbiche unite in una specie di matrimonio civile venir cresimate? Quanto poi al battesimo, certo, una delle madrine del bambino è la presidentessa argentina, ma questa più che una garanzia di cattolicità, dovrebbe essere una garanzia di una educazione cristiana negata. Una nota del 1980 della Congregazione per la dottrina della fede stabiliva d’altro canto che in alcune situazioni, simili evidentemente a questa, è giusto rifiutare il battesimo, un sacramento fondamentale che non si amministra come fosse una sorta di sigillo alla vita immorale dei “genitori”.
E d’altro canto Giovanni Paolo II ribadiva nell’anno da lui consacrato alla famiglia, il 1994:
“Ciò che non è moralmente ammissibile è l’approvazione giuridica della pratica omosessuale. Essere comprensivi verso chi pecca, verso chi non è in grado di liberarsi da questa tendenza, non equivale, infatti, a sminuire le esigenze della norma morale (cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 95). Cristo ha perdonato la donna adultera salvandola dalla lapidazione (cfr. Gv 8, 1-11), ma le ha detto al tempo stesso: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 11). Questo dico con grande tristezza, perché tutti abbiamo grande rispetto della Comunità Europea, del Parlamento Europeo; conosciamo i tanti meriti di questa istituzione. Ma si deve dire che con la risoluzione del Parlamento Europeo si è chiesto di legittimare un disordine morale. Il Parlamento ha conferito indebitamente un valore istituzionale a comportamenti devianti, non conformi al piano di Dio: ci sono le debolezze – noi lo sappiamo – ma il Parlamento facendo questo ha assecondato le debolezze dell’uomo. Non si è riconosciuto che vero diritto dell’uomo è la vittoria su se stesso per vivere in conformità con la retta coscienza. Senza la fondamentale consapevolezza delle norme morali la vita umana e la dignità dell’uomo sono esposte alla decadenza ed alla distruzione. Dimenticando la parola di Cristo: “la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32), si è cercato di indicare agli abitanti del nostro Continente il male morale, la deviazione, una certa schiavitù, come via di liberazione, falsificando l’essenza stessa della famiglia.
Non può costituire una vera famiglia il legame di due uomini o di due donne, ed ancor meno si può ad una tale unione attribuire il diritto all’adozione di figli privi di famiglia. A questi figli si reca un grave danno, poiché in questa “famiglia supplente” essi non trovano il padre e la madre, ma “due padri” oppure “due madri”.”
Non può costituire una vera famiglia il legame di due uomini o di due donne, ed ancor meno si può ad una tale unione attribuire il diritto all’adozione di figli privi di famiglia. A questi figli si reca un grave danno, poiché in questa “famiglia supplente” essi non trovano il padre e la madre, ma “due padri” oppure “due madri”.”
Queste le parole di un Papa che a breve sarà santificato. Un Papa che nel 1994 decise di offrire il suo dolore, la sua sofferenza fisica alla causa della famiglia!
Un Papa che non scendeva a compromessi col mondo e tantomeno pensava che chi difende la famiglia fosse un fariseo. Oggi, a distanza di 20 anni, il Sinodo sulla famiglia rischia solo di vanificare quell’oblazione della sofferenza di un Papa. Di sacrificare i valori non negoziabili, i principi fondamentali, sull’altare delle convenienze sociali. Che Giovanni Paolo II ci protegga dal cielo, e ci dia la forza di non aver paura della giustizia e della verità, la forza di essere coerenti e retti, non per giudicare il prossimo, non per condannarlo, ma per salvarlo dalla dannazione.
evabbè. continuiamo a far finta che il polacco sia stato un eroe: NO COMPROMISE! il Charles Bronson di Cracovia... io ricordo invece il Neville Chamberlain di Assisi.
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