ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 23 maggio 2014

BESTEMMIA, CHE TI PASSA. . .



Le cronache nazionali (Il Giornale, 22 maggio 2014 pag. 18) ci riferiscono di un episodio avvenuto giorni or sono in quel di Lecce ove, durante una gara calcistica di Lega Pro, un allenatore tal Franco Lerda, se n’è uscito con una serqua di bestemmie a commento di qualche sciagurata azione di gioco non gradita, e per il qual reato è stato appiedato per un turno dalla Commissione Disciplinare Lega Calcio.
La cosa non avrebbe avuto i “disonori” della cronaca se, nella vicenda non si fosse infilato il prete, conciliarista samaritano di turno, don Attilio Mesagne, direttore della Caritas leccese che, sospinto dalla novella aura bergogliana mista di tenerezza, misericordia, faciloneria e incoscienza, ha, con tanto di intervento pubblico, invitato gli organi federali a ritirare la squalifica al reo dacché, secondo il suo pensiero e quello del mondo, il tecnico “non ha commesso peccato”. E, tanto per fare il dotto e il savio, ha scodellato la nozione del vecchio e sempre valido Catechismo di San Pio X – domanda n. 85 -  ribadita dal Nuovo Catechismo 1922 – art. n. 1857  -  secondo la quale “il peccato mortale è una disubbidienza alla legge di Dio in cosa grave, fatta con piena avvertenza e deliberato consenso”. Dopo di che il reverendo ha chiosato: “Se manca una sola di queste condizioni, la bestemmia non è peccato. Nel caso di Lerda ci sarebbe (?!) la materia grave, ma frutto di un forte condizionamento in atto, ovvero la partita di calcio, a condizionare la mente e lo stato psicologico”.
 
Ora, noi vorremmo tirar giù alcune riflessioni per rendere conto a noi stessi e ai lettori quanto intempestiva e devastante sia stata questa bischera e insipiente difesa d’ufficio.

1 -  l’uso del condizionale “sarebbe” fa capire, o induce a capire che, secondo il teologo da stadio, non è nemmeno sicuro che la bestemmia sia materia grave perché, diversamente, avrebbe usato il modo indicativo, il modo della certezza: “è”. Questo contorsionismo  sintattico, questa oleosa dialettica è il frutto di quel relativismo culturale e teologico che i papi postconciliari, e massime Benedetto XVI, hanno indicato – tantum verbis, solo a chiacchiere – come il nemico della Chiesa.
Ma, siccome alla denuncia che se ne è fatta, non è seguita sanzione alcuna – vedi l’aberrante e plebea mariologìa di don Tonino Bello, la pseudoteologia Eucaristica del cardinale prefetto SCDF Müller, la antropocristologia del cardinale Walter Kasper, la stessa teologia sincretista di Giovanni Paolo II che accomuna i fondatori delle religioni sullo stesso piano esperienziale, e l’ultima e prossima deriva in tema di comunione ecclesiale (divorzio, omosessualità, convivenze), affermazioni tutte di stampo eretiche rimaste immuni e convalidate  – ha pertanto preso corpo e legittimità un pensiero che pone tutto in rapporto alle condizioni esistenziali secondo la già nota “etica della situazione” che, di fatto, elimina il libero arbitrio trasformando il responsabile da reo a vittima delle proprie passioni irrefrenabili o di rapti nervosi.  Se, poi è lo stesso papa Bergoglio che pone la coscienza individuale quale giudice unico in materia di bene e di male, che definisce la Verità come “una relazione”, capirete allora che, davanti a simile mistificazione – Cristo ViaVerità e Vita  ridotto alla  categoria aristotelica della relazione – la bestemmia si pone e si classifica come uno spetazzante e colorito sfogo incolpevole, e per di più terapeutico, secondo il noto detto romanesco: “Quanno ce vo’ ce vo’”.

– Il contesto in cui esplodono le bestemmie è quasi sempre un contesto in cui  tensione, passionalità, acredine, ira, rabbia, irrazionalità, cattiveria, senso di sconfitta  prevalgono sull’animo e sulla mente di chi non ha il timor di Dio, culto della religione e non possiede il dominio delle proprie emozioni. Sicché, allorquando il martello colpisce il dito invece del chiodo, il piede inciampa nella buca, l’auto si blocca per mancanza di benzina, si fallisce una vincita per un soffio, si perdono le chiavi di casa – tanto per fare esempî banali e ricorrenti - ecco che l’invettiva si scarica su Dio. E così avviene che, durante la partita di calcio, l’allenatore, preso dalla tensione agonistica, si scontri  con i santi del Paradiso, invece che col suo atleta pasticcione. Colpa del martello, della buca, dell‘auto, delle chiavi, del mancato gol.
Insomma, date condizioni  di alterata razionalità, di subbuglio umorale, di stressante straniamento, ammesso pure che la materia grave esista, manca, in chi bestemmia, la consapevolezza di colpire Dio e di commettere peccato mortale. Insomma: un gol mancato è motivo attenuante per considerare la bestemmia come esito di umorale ed involontaria alterazione, rubricabile a semplice sfogo nervoso, a catarsi.

L’avviata e consolidata giurisprudenza moderna, con l’entrata in campo di psicoanalisti  freudiani e criminologi lombrosiani, giudica quasi sempre come  incapace di intendere e di volere ogni criminale che, a delitto commesso, confessa di non ricordare il come, il quando e il dove, talché anche la bestemmia, secondo i parametri della giustizia umana, con cui anche la Chiesa sta allineandosi, scagliata in circostanze particolari, è espressione certamente non “bella” ma del tutto involontaria, espressione non edificante ma del tutto inoffensiva e, soprattutto, non peccato. La circostanza, dice don Mesagne, è il parametro con cui valutare se c’è dolo o meno, anche quando si insulta il nome di Dio. La circostanza, certo, specie quando in essa si intruppa la coscienza collettiva, l’ammasso dei cervelli e il cumulo degli istinti.
Ecco perché nelle manifestazioni sportive, nei cortei sindacalpolitici, nelle risse e nei tumulti, la bestemmia risuona come motivo guida, scansione ritmica di strofe e strofette. Fu uno sfogo, un gesto involontario quello di quel delinquente che, durante una manifestazione violenta in Roma, entrato in una chiesa, ne uscì con la statua della B. V. Maria che, poi, fracassò sulla strada? Ci fu, in quell’occasione un notista cattolico – di cui taccio il nome per la vergogna – che scrisse e parlò di “bestemmia laica”. Capito?

 - Il reverendo, che così  dottamente ha precisato e chiarito alle autorità calcistiche i termini della faccenda, ci dovrebbe far sapere perché mai sia così sicuro che nel momento di bestemmiare, il tecnico sportivo non era in facoltà di intendere e di volere, trascinato com’era dalla passione agonistica. Ne ha parlato con l’interessato, l’ha confessato? perché in tal caso dovrebbe attenersi al segreto sacramentale e, quindi, dovrebbe tacere. A meno che – ed è l’ipotesi più scorrevole – egli non parta dalla considerazione che la bestemmia è il risultato  di uno stato d’animo squilibrato che rende il soggetto irresponsabile, a prescindere.
Ma chissà perché mai  in questi stati alterati non vengano  fuori, che so io, un’imprecazione casta, un epiteto grasso ma innocuo, un paralogismo, un’interiezione colorita! Dio è quasi sempre l’oggetto, il bersaglio dell’umore sconvolto. Caro reverendo, faccia un pensierino sulla nozione di “peccato originale” e sul concetto di “natura corrotta” e vedrà che anche i segni della blasfemìa sono collegati a questa oscura dimensione di cui però conosciamo l’origine. Ma non se ne parla, come se il diavolo non ci fosse.

4   - Che cosa dice il 2° comandamento? “Non nominare il nome di Dio invano”. Bene: fermiamoci qualche momento soprattutto sull’avverbio “invano”. Il Signore degli eserciti, quando riscrisse  le tavole delle Legge -  le prime che furono spezzate da Mosè alla vista del popolo dedito al culto del vitello d’oro –  fece espressa menzione al Suo santo nome e dell’adorazione dovuta, e comandò: “Non assumes nomen Domini Dei tui in vanum; nec enim habebit insontem Dominus eum qui assumpserit nomen Domini Dei sui frustra” (Es. XX, 7 ) – Non nominare il nome del Signore Dio tuo invano, perché il Signore non riterrà innocente chi proferirà inutilmente il nome del Signore suo.
Invano: ripetuto due volte vuol dire qualcosa. Vuol dire che la bestemmia, in sé è offesa  grave comunque, proprio perché non esiste motivo che la legittimi, men che meno stati alterati e simili. Il Signore, se fosse stato del parere di don Mesagne, avrebbe scritto sulla pietra ben altro, come: “Bestemmiate solo in caso di necessità grave e consapevolmente”.  Se ha scritto “invanoinutilmente” vuol dire che qualsiasi cenno a Dio, anche quelli che si considerano intercalari, sono parole fuori luogo, mancanze di rispetto, peccato e per questo, aggiunge l’autore di Esodo,  il Signore riterrà colpevole chiunque cadrà, comunque, in questa mancanza.
Come ben si nota, nel libro non si parla delle tre condizioni di cui, però giustamente, per altre specie di peccato, il Catechismo, evidenzia l’importanza. E per quale motivo?  Secondo il nostro parere, perché la bestemmia, colpisce Dio e, specie se pubblica, suscita scandalo e perché, poi, secondo l’autorità di San Giovanni Crisostomo “per la bestemmia vengono sulla terra le carestie, i terremoti, le pestilenze”.
Ma parlare di queste cose, oggi, nel clima che gronda tenerezza, misericordia, amore e buonismo, solidarietà, accoglienza, dialogo e dialogo, diventa traumatico, terroristico e, perciò antievangelico. E difatti, quando noi, tempo addietro, chiedemmo a un sacerdote di poter distribuire ai fedeli un opuscolo sulla bestemmia, costui, dopo averne dato uno sguardo, ci vietò l’operazione perché, in quei 16 foglietti v’era descritto un Dio tremendo che punisce il bestemmiatore, un Dio di cui, “per fortuna” la Chiesa, col Concilio, aveva cancellato la fisionomia.
E, su questa linea, sta l’intera Gerarchia, sta anche il vescovo Rino Fisichella per il quale, anche le barzellette dal contenuto grasso blasfemo – in quanto tirano in ballo il nome del Signore – vanno “contestualizzate”. Ecco qui  il grimaldello del metodo critico/storicistico con il quale ogni esegesi deve tener conto delle coordinate temporali dell’uomo trascurando quelle eterne di Dio: “il contesto”.
  
Vorremo, per concludere, fare un commento a quanto Mons.  Luigi Negri ha, in proposito, affermato.
Il vescovo di Ferrara, in un convegno tenutosi il 25 aprile 2013, nei saloni del palazzo estense, accusò pesantemente e, con fermezza, un film – le streghe di Salem – in cui si faceva ricorso a un linguaggio blasfemo quasi fosse un parlar ordinario. Gli era accanto il rabbino Giuseppe Laras. Ebbene: sarebbe stato del tutto credibile il vescovo se avesse ricordato al rabbino quello sporco, blasfemo  lavoro di denigrazione condotto, contro la Santa Chiesa Cattolica, contro Gesù e i Suoi Santi, da taluni produttori, registi ed attori americani ebrei suoi correligionari i quali non si peritano di disseminare nei vari sceneggiati, specialmente di carattere poliziesco – Cold CasesOrder and Law – CSI –NCIS – pesanti elementi di dileggio e di sarcasmo, dove lo stupratore è un bianco che tappezza la propria camera di albergo con santini, padri pii e madonne; dove lo spacciatore negro si adorna di girocolli  con vistose croci d’oro; dove la prostituta bianco/nera affoga fra le debordanti mammelle la medaglietta miracolosa del B. V. Maria; dove  il pedofilo è sempre un prete cattolico e la suora una lussuriosa;  dove, in scene di particolare crudezza assassina e di bassa macelleria, esplode, a cadenza ritmata, l’intercalare “Cristo, Cristo!!” ; dove c’è sempre una chiesa cattolica al cui interno si compiono nefandezze sessuali. Mai che una sceneggiatura contempli una moschea o una sinagoga!
Bestemmia, nient’altro che bestemmie, caro Mons. Negri. Questo doveva rivolgere al suo amico Laras  e non minacciare di denuncia lo stato italiano per mancata tutela della gioventù. Accanto aveva un rappresentante di quella lobby cultural/finanziaria la quale, alla Santa Chiesa cattolica che porge la sua guancia e il ramoscello d’olivo, riserva, col falso sorriso, il  disprezzo e l’odio.
Era l’occasione per parlare secondo lo stile cristiano del Si Si No No, ma lei ha tenuto, e tiene, più alla amicizia coi nemici di Dio che al rispetto di Dio.
Ci mediti e ci risponda.


di L. P. 

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