Nuova firma nobile su “L’Osservatore Romano”. Ma è di uno che non crede nella risurrezione
Per la seconda volta nell’arco di un mese, il 4 maggio è comparsa su “L’Osservatore Romano” la firma dello studioso di mistica Marco Vannini, con un articolo a tutta pagina nella sezione culturale.
In esso, l’autore riporta sul giornale detto “del papa” il suo intervento al Festival delle religioni tenuto a Firenze ai primi di maggio, con la partecipazione dei cardinali Leonardo Sandri e Jean-Louis Tauran, del vescovo Vincenzo Paglia, di esponenti dell’ebraismo e dell’islam, ma anche di personalità variamente assortite, come Vito Mancuso, Paolo Mieli, Alessandro Baricco, Emanuele Severino, per non dire della onnipresente Francesca Immacolata Chaouqui.
Sull’edizione fiorentina del “Corriere della Sera” Pietro De Marco ha dedicato un corsivo sferzante al “messaggio fatuo e ridicolizzante che, riguardo alla religione, la formula del ‘Festival’ trasmette a una opinione pubblica senza difese”.
Ma ciò che stupisce ne “L’Osservatore Romano” non è tanto l’assenza di riserve nei confronti di questa deriva verso la religione spettacolo. Quanto piuttosto l’offrire spazio a un autore come Vannini, pur coltissimo nello studio della mistica, senza alcuna evidente presa in considerazione della distanza abissale che intercorre tra le sue posizioni e quelle che sono a fondamento del “Credo” cristiano.
Per capire, basta rileggere ciò che Vannini ha scritto su “la Repubblica” del 18 aprile, tra l’uno e l’altro dei suoi due recenti articoli su “L’Osservatore Romano”.
Nel giorno del Venerdì Santo, nel tratteggiare quello che è per lui il significato della Pasqua, dopo aver premesso che la risurrezione dai morti era una “antichissima fantasia apocalittica giudaica”, Vannini scrive che la risurrezione di Cristo “fu più una costruzione teologica che un fatto reale”, un “evento spirituale” che può essere sperimentato solo interiormente, non come invece sosteneva Paolo, “quel funesto cervellaccio, come lo chiamò Nietzsche, che non comprese il messaggio evangelico della morte dell’anima e della rinascita nello spirito”.
E conclude:
“La affermazione paolina per cui vana è la nostra fede se Cristo non è risorto mostra un concetto di fede non come esperienza spirituale interiore, la cui verità è testimoniata dalla coscienza, ma come credenza estrinseca, la cui verità dipende dal miracolo. E ciò è quanto di più antievangelico ci sia: nel vangelo infatti la ricerca del miracolo è sempre condannata come mancanza di fede, adorazione della forza, dunque non di Dio ma del demonio. La cosa è chiara proprio dalla resurrezione: proporla come una sorta di super-miracolo per convincere gli increduli è tipico dei falsi profeti, degli impostori. Secondo una antica e ben documentata tradizione, uno dei segni della fine dei tempi sarà proprio la messa in scena della propria, peraltro falsa, resurrezione da parte dell’ingannatore supremo, l’Anticristo”.
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