Inizia una sezione dedicata a tematiche riguardanti il Magistero della Chiesa. Bisogna iniziare col comprendere quale relazione intercorra tra Dio e l’uomo, riconoscere la reale identità dell’Uno e l’altro.
Con questo articolo, con l’aiuto di Dio e invocando la sua benedizione, inizia sul Settimanale di Padre Pio, una rubrica dedicata all’approfondimento del Magistero autentico e infallibile della Chiesa sui temi in cui esso, come è noto, non solo è competente in via autoritativa ed esclusiva, ma su cui può anche definire delle verità certe e indiscusse che debbono essere ritenute da tutti i fedeli per poter essere non solo cattolici di nome (come molti...) ma, mutuando un’espressione giovannea, “coi fatti e nella verità”: i temi della Fede e della Morale.
Si vuole con ciò rendere un servizio ai lettori, avendo chi scrive (in quanto Parroco), più volte costatato il clima di disagio e confusione dottrinale che non pochi fedeli percepiscono, lamentandosene (giustamente!) e chiedendo lumi e chiarezza a chi è incaricato di darne. Si vuole in questo lavoro avere come bussola di riferimento l’obiettivo e l’intento che mosse il grande (e insuperato) Teologo e Dottore della Chiesa – san Tommaso d’Aquino – a scrivere il suo indiscusso capolavoro, la Summa Theologiae. Oso dunque fare mie le parole che il Doctor Angelicus scrisse nel prologo della Summa: «L’intento che ci proponiamo in quest’opera è di esporre tutto ciò che concerne la religione cristiana nel modo più confacente alla formazione dei principianti [...]. Confidando nell’aiuto di Dio, tenteremo di esporre la dottrina sacra con maggiore brevità e chiarezza consentita da tale materia».
Desidererei trattare i vari argomenti in modo sistematico, cioè considerando le varie branche della Dogmatica cattolica: teologia trinitaria, cristologia, ecclesiologia, antropologia, escatologia, mariologia e morale. Su ciascuno di questi argomenti la Chiesa, in ascolto della divina Rivelazione contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, ha avuto modo di esercitare la sua facoltà di insegnare autenticamente ciò che è divinamente rivelato, ammonendo i suoi figli dal respingere come contrarie le (molte) dottrine divergenti dai suoi pronunciamenti. Darò ovviamente importanza e priorità agli argomenti che mi sembrano più urgenti o di maggiore e stretta attualità, anche in base alla mia esperienza sul campo grazie al ministero pastorale che, per pura grazia e dono di Dio, mi è stato affidato.
Dico subito che la prima questione su cui desidererei soffermarmi è quella antropologica. Negli ultimi cento anni (o forse più) non si è fatto altro che parlare dell’uomo, della sua importanza, dei suoi diritti, della parità tra sessi, della libertà come costitutivo primario dell’essere dell’individuo, del concetto filosofico di persona. Si è negato che gli embrioni sono persone per giustificare l’aborto e, oggi, le tecniche di fecondazione assistita e le varie forme di manipolazione genetica; si pensa (anche da parte di qualcuno all’interno della compagine dei discepoli di Cristo) che l’uomo debba essere il centro e il fine dell’azione della Chiesa, che bisogna servirlo, accontentarlo, accoglierlo sempre e comunque e così via. Diventa pertanto assolutamente prioritario rispondere ad alcune basilari domande: Chi è l’uomo? Da dove viene? Dove va? Perché muore? Quali sono le motivazioni per cui vale la pena farlo nascere e farlo vivere? È vero che la sua libertà è il suo bene supremo? È vero che l’uomo è naturalmente buono e capace di esprimersi a suo piacere?
Bisogna, infatti, sapere che, a causa del pensiero di un noto teologo gesuita dello scorso secolo – Karl Rahner – nella Chiesa si è cominciato a parlare della cosiddetta “svolta antropologica”. Di cosa si tratterebbe? Detto in termini semplici, sintetici e molto esemplificativi, compito della Chiesa (ora finalmente capito) sarebbe quello di mettere non già Dio al centro del suo pensiero, del suo insegnamento e della sua azione (con tutto ciò che questo comporta: splendore del culto, grande importanza della virtù di religione, dei doveri verso Dio, senso del sacro, chiarezza dogmatica, ecc.), ma l’uomo. La Chiesa deve servire l’uomo, parlare all’uomo, ascoltare l’uomo, in virtù del “principio dell’incarnazione”: facendosi uomo in Gesù di Nazareth, Dio avrebbe manifestato la sua volontà di porre l’uomo al centro di tutto. Anche se c’è del vero in quanto formulato in questa dottrina, ma alcune questioni sono spinose e irrisolte: ha senso contrapporre l’uomo a Dio? Di quale uomo, inoltre, si parla? Dell’uomo redento da Cristo o dell’uomo decaduto? Come intendere queste espressioni?
A puro titolo di introduzione e come prima autorevole risposta a questi quesiti, vorrei concludere questa introduzione con le prime due citazioni autorevoli, che vorrebbero rappresentare una sorta di overture alla prima questione che stiamo affrontando. Sono scelti anche con l’intento di rendere omaggio al grande papa Giovanni Paolo II, da poco elevato alla gloria degli altari, che contribuì molto alla stesura del primo in sede conciliare (la Gaudium et Spes) e che fu l’autore del secondo, la prima Enciclica del suo Pontificato (Redemptor Hominis).
Si legge dunque in GS 22: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione». A queste splendide e significative parole fanno eco quelle del grande Pontefice di venerata memoria, che scrive in RH 10: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore – come è stato già detto – rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso. Questa è – se così è lecito esprimersi – la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l’uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l’uomo diviene nuovamente “espresso” e, in qualche modo, è nuovamente creato. Egli è nuovamente creato [...]. L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo – non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere – deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve “appropriarsi” ed assimilare tutta la realtà dell’Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso».
[11] In propria venit, et sui eum non receperunt.
RispondiElimina[12] Quotquot autem acceperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri, his, qui credunt in nomine eius,
[13] qui non ex sanguinibus neque ex voluntate carnis neque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt.
[11] Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
[12] A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
[13] i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.