Papa Francesco, Palestina. “Cristiani morte”, orina su chiesa da ebrei ortodossi
ROMA – Chissà se Papa Francesco nel suo imminente viaggio in Palestina e Israele riuscirà almeno a convincere il governo israeliano a restituire o comunque assegnare alla Chiesa il Cenacolo di Gerusalemme. Vale a dire, la sala sul monte Sion dove secondo la tradizione si è consumata l’Ultima Cena tra Gesù e gli apostoli. E dove da qualche anno gli atti di vandalismo e disprezzo sono in crescita.
Mancano meno di due settimane alla partenza del Pontefice per la visita di tre giorni, dal 24 al 26 di questo mese, nella cosiddetta Terra Santa e il barometro segna già tempesta. Il giornale Jerusalem Post, che certo non è di sinistra, parla del timore addirittura di azioni incontrollate da parte dei coloni, che il noto intellettuale e scrittore Amos Oz senza più mezzi termini ha definito neonazisti.
I coloni hanno reagito denunciandolo “per odio razziale” e dichiarando in coro:
“Ci attendiamo che la polizia finalmente arresti Amos Oz”
Ma a lanciare l’allarme è soprattutto il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fuad Twal, vale a dire il massimo rappresentante della Chiesa cattolica in Israele e Palestina, che si è lamentato con alcuni visitatori e cronisti:
“Stiamo assistendo a un’ondata di atti estremisti che avvelenano l’atmosfera di coesistenza e di cooperazione. In particolare ora che siamo in procinto di accogliere il Pontefice”.
Monsignor Twal si riferisce ai “price tag”, come vengono chiamati in gergo gli atti di violenza e vandalismo degli estremisti e dei coloni. Nei giorni scorsi una chiesa è stata imbrattata a bella posta anche con scritte ingiuriose: cancellate, sono ricomparse.
L’impunità che di fatto protegge questi gesti ha spinto un estremista a firmare con nome e cognome una lettera di minacce inviata alla sede del vicariato patriarcale di Israele, retta a Nazareth dal vescovo Giacinto Boulos Marcuzzo. La lettera tra l’altro intimava ai cristiani di andarsene al più presto da Israele. Averla firmata ha reso però inevitabile l’arresto del suo autore.
“Noi qui non siamo stranieri, i cristiani sono i figli di questa terra. Abbiamo il diritto di proseguire la nostra missione”.
ha commentato il vescovo Marcuzzo.
I maggiori indiziati per gli atti di vandalismo e per le minacce sono gli ebrei ultraortodossi, che non si limitano più a colpire chiese e moschee, ma ormai anche gruppi pacificisti israeliani e addirittura basi dell’esercito. Al punto che il procuratore generale dello Stato, Yehuda Weinstein, ci ha tenuto a ricordare che
“in particolari violazioni di legge, dove ci sia notizia ed evidenza amministrativa di coinvolgimento in crimini d’odio, è consentito trattenere sospetti per un periodo esteso sotto detenzione amministrativa senza processo”.
Per il ministro della Pubblica Sicurezza, Yitzhak Ahoronovich, e per quello della Giustizia, Tizpi Livni, i “price tag” sono dei veri e propri atti di terrorismo, e pertanto i loro autori sono da considerare terroristi e come tali vanno trattati.
Chissà se Papa Francesco a Betlemme andrà non solo in visita alla basilica della Natività, sorta sulla mangiatoia dove secondo la tradizione è nato Gesù, ma anche a dare almeno un’occhiata al Campo dei Pastori, dove secondo la Chiesa gli angeli annunciarono ai pastori la nascita fatidica. Se ci andrà, vedrà che è ridotto a un campetto anonimo, stretto tra ristoranti e un albergo, ma soprattutto vedrà come la grande colata di cemento della colonia sulla collina di fronte pare una enorme valanga che sta per investire e sommergere la stessa Betlemme. La radice cioè del cristianesimo. Ormai inglobata dagli israeliani nel comune di Gerusalemme, come ne fosse un sobborgo.
Se il nugolo di palazzine della colonia di fronte al Campo dei Pastori sembra una metafora della volontà di rivincita di certo ebraismo nei confronti del cristianesimo, l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu non ha gradito che il 29 giugno 2012 l’Unesco abbia dichiarato la Chiesa della Natività e la via dei Pellegrini di Betlemme “patrimonio dell’intera umanità”.
“E’ una decisione totalmente politica, che danneggia gravemente la convenzione Onu e la sua immagine”,
è stato il molto risentito commento di Netanyahu, contrariato perché la Palestina, pur non essendo ancora riuscita a essere riconosciuta come Stato, ha i suoi primi due siti storici protetti. E che siti!
Checché ne dica il capo del governo israeliano e credenze religiose a parte, è strano o, meglio, grave che non siano stati dichiarati patrimonio dell’intera umanità il Golgota, il luogo ritenuto il sepolcro di Cristo, la Via Crucis, il monte degli Ulivi e il luogo del fenomenale discorso della Montagna.
Qualche anno fa sono stato a Gerusalemme e ho colto non poche lamentele e accuse da parte dei frati cattolici della locale Chiesa Latina:
“Israele, oltre a una incessante pressione sui palestinesi per spingerli a emigrare, rende difficile la vita ai vari luoghi santi del cristianesimo non solo qui a Gerusalemme, ma anche nell’intera Palestina e Israele. Si direbbe che vogliano recidere le radici storiche del cristianesimo, impadronendosi dei principali luoghi simboli così come vorrebbero fare con la Spianata delle Moschee e hanno fatto con molte moschee, poi demolite”.
E il malumore dello stesso monsignor Twal nei confronti di Netanyahu è già esploso nel marzo di due anni fa. All’epoca, monsignor Twal alla Radio Vaticana ha sottolineato che la Terra Santa ha
“un bisogno spirituale, quello di una vera e propria integrazione tra le diverse religioni, nel segno del rispetto”.
Motivo per cui il monsignore dalla stessa radio ha lanciato un appello:
“Togliamo i muri visibili, togliamo i muri nei cuori degli uomini, i muri della paura, dell’odio, dell’ignoranza. Speriamo che un giorno questa integrazione possa arrivare”.
Per parte sua, la Congregazione per le Chiese Orientali aggiunse che la cosiddetta Terra Santa
“è un patrimonio mondiale di spiritualità, e soprattutto per il mondo cristiano rappresenta un bene il cui valore è ineguagliabile: lo sanno bene i milioni di pellegrini che ogni anno raggiungono i Luoghi Santi. Pregando e confrontandosi con il Vangelo visibile, riscontrabile tra quegli scenari e leggibile su quelle pietre, ritornano nelle loro comunità arricchiti da una esperienza irripetibile e unica. Gerusalemme merita uno spazio privilegiato nel cuore di ogni credente”.
Chissà se Papa Francesco riuscirà a risolvere il contenzioso con le autorità israeliane per quanto riguarda il possesso e la gestione del Cenacolo di Gerusalemme, sul monte Sion, dove secondo la tradizione è avvenuta l’ultima cena di Gesù con i 12 apostoli.
Luogo santo per il cristianesimo, il Cenacolo è l’oggetto di una trattativa giuridica senza fine con Israele. Nel 1333 il sultano mamelucco ha venduto la sala dell’Ultima Cena ai reali di Napoli Roberto d’Angiò e Sancia d’Aragona, che la affidarono alla Custodia di Terra Santa.
I turchi la confiscarono nel 1551 e la diedero in gestione a una famiglia musulmana, i cui discendenti però sono fuggiti a causa della guerra del 1948. Gli israeliani hanno potuto così dichiararla “proprietà di assenti”, dandone la gestione al dicastero degli Affari religiosi. Dopo il 2000 il Vaticano ha chiesto sommessamente al Governo israeliano di prendere in considerazione l’ipotesi della restituzione alla Chiesa. Ma ma gli israeliani hanno fatto orecchie da mercante con la motivazione che dopo tante peripezie è arduo stabilire a chi appartenga quella clamorosa sala.
Intanto gli atti vandalici non si fermano. Oltre alle scritte “Morte ai cristiani” et similia, orinare per sfregio sul muro esetrno del Cenacolo è ormai prassi comune da anni.
Riuscirà Francesco là dove hanno fallito i suoi predecessori? Certo non capita in un bel momento, anche perché il presidente della repubblica israeliana, Shimon Peres, pochi giorni fa ha lanciato contro Netanyahu, che vuole abolire la figura del Capo dello Stato, un attacco senza precedenti:
“Netanyahu mira a trasformare Israele in una dittatura”
Non resta che augurare a Francesco “buon viaggio!”.
In questi giorni in Terra Santa:
[AFP,AhmadGharabli]
*
[EPA/JIMHOLLANDER]
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