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I soldi della Cricca a Scola (che poteva essere Papa)
Nell'ambito dell'inchiesta sullo scandalo Mose, il nome del Cardinale è stato fatto più volte
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Nell'ambito dell'inchiesta sullo scandalo Mose, il nome del Cardinale è stato fatto più volte
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A Venezia, sotto un caldo torrido e un’inchiesta sul Mose che rischia di travolgere il sistema economico politico e sociale del Nord Est, c’è chi ricorda in questi giorni con un po’ di malinconia il vecchio patriarca Marco Cè. «Tutta un’altra spiritualità, quando arrivò Angelo Scola cambiò tutto» spiega un vecchio veneziano che ha vissuto in questi anni sulla laguna e che assiste attonito al crollo del sistema, dalla politica alla magistratura, dai controllori del Magistrato alle Acque ai giudici della Corte dei Conti.
Non c’è da dargli torto. Perché l’arrivo nel 2002 dell’attuale arcivescovo di Milano, allievo di Don Giusanni, cardinale di Comunione e Liberazione, rivoluzionò la curia veneziana, un centro religioso diverso dal resto d’Italia, influenzato sin dagli anni ’60 dalla Democrazia Cristiana del Doge Carlo Bernini. C’è una regola non scritta in Canal Grande che tutti i veneziani però ricordano quasi a memoria e che amano ripetere nei bacari di fronte a uno spritz: il patriarca di Venezia o muore oppure va a fare il Papa in Vaticano. È successo a Pio X a cavallo tra l’800 e il ’900, la tradizione è continuata con Giuseppe Roncalli, Papa Giovanni XXIII, si è conclusa con Giovanni Paolo I, Albino Luciani. Scola invece ha rotto la consuetudine, persino con un piccolo giallo. Perché la Cei nel giorno della nomina di Papa Francesco fece uscire per errore un comunicato in cui si esprimevano « i sentimenti dell’intera Chiesa italiana nell’accogliere la notizia dell’elezione del Card. Angelo Scola a Successore di Pietro».
Del resto, a Milano come a Roma, è noto come colui che diede lezioni di filosofia e antropologia a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri a metà degli anni ’70 aspirasse alla cattedra di San Pietro dopo l’amico e maestro Joseph Ratzinger. Per farlo, si sostiene a Venezia, aveva creato negli anni una macchina del consenso elettorale impareggiabile, che poteva superare le frontiere, arrivando in Asia, Africa e Sud America, coinvolgendo così i cardinali più lontani che poi avrebbero potuto eleggerlo in conclave. E questa operazione passava anche attraverso la rivista Oasis, la scuola Giovanni Paolo I, ma soprattutto per la Fondazione Marcianum, università del patriarcato, ente cattolico d’eccellenza, che in questi giorni sta comparendo a più riprese nelle inchieste sul Mose, perché tra le tante realtà finanziate dal Consorzio Venezia Nuova, come pure dalle cooperative rosse come la Coveco. «Mazzacurati (Giovannni, presidente Cvn, ndr) ci disse che era stata un’esplicita richiesta del patriarca Scola» dice l’ex manager della Mantovani Piergiorgio Baita ai magistrati. Anche perché sin dalla sua fondazione, nel 2004, aveva come membri del consiglio di amministrazione sia lo stesso Mazzacurati, capo supremo delle tangenti, sia Giovanni Orsoni, ormai ex sindaco di Venezia, entrambi arrestati nell’inchiesta sulle dighe mobili che dovrebbero difendere la laguna dalle maree. Del resto Orsoni è tutt’ora procuratore di San Marco, la più prestigiosa carica vitalizia della Repubblica di Venezia dopo il Doge, legata a doppio filo con il patriarcato: tanto che l’elezione a sindaco del 2010 si narra sia stata sostenuta dal Pd ma soprattutto da Scola.
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Angelo Scola è stato per molti anni amico personale dell’ex presidente di Assicurazioni Generali Antoine Bernheim, padrino del capitalismo italiano. A Venezia ricordano l’attivismo del patriarca per rimettere in piedi il seminario di Punta della Dogana, attuale sede della Fondazione Marcianum. Nell’atto di nascita compaiono appunto le Generali, il Banco Popolare, il Consorzio Venezia Nuova e la Fondazione del Patriarca Agostini. Sponsor di tutto rispetto, ma la vera svolta fu un altra. E arrivò nel 2004 quando la regione Veneto di Giancarlo Galan — su cui ora incombe una richiesta d’arresto nell’inchiesta sul Mose e il sospetto che fosse a libro paga della cricca — dirottò 50 milioni di euro del fondo speciale per il disinquinamento delle acque di Venezia, al restauro della sede. A beneficiare della nuova destinazione dei fondi furono il palazzo patriarcale di piazzetta dei Leoncini, la basilica della Salute ed il seminario patriarcale alla Salute. Quest’ultimo è appunto la sede dello Studium marcianum, il grande polo di formazione della curia patriarcale costituito, fra l’altro, dallo Studio teologico, «istituzione accademica che ha come finalità la formazione teologica dei candidati al presbiterato della diocesi lagunare, nonché dei fedeli laiciı».
La vicenda creò scalpore a Venezia, anche perché la città ha visto in questi anni girare i fondi statali solo per finanziare il Mose, mentre manca ancora una rete antincendio, più che mai necessaria dopo il rogo del teatro La Fenice nel 1996: sono passati vent’anni e il capoluogo del Veneto è sicura solo per un terzo della sua superficie. Semirari, approfondimenti, convegni. Marcianum in questi anni è stato tutto. E ha sempre ricevuto fondi dalla imprese amiche come in particolare dal Consorzio. Nelle carte dell’inchiesta è Pio Salvioli, funzionario del Consorzio a parlarne rispetto alle disponibilità di Mazzacurati: «Sì, queste tutte e queste in parte. Adesso stiamo citando solo parte di queste dottoressa. Allora, qui in questa parte a disposizione di Mazzacurati erano 15 mila di Galileo, 100 mila di Marcianum, 10 mila di Reolon, 25 mila di Sartori». Il sistema Mose oliava ogni angolo della laguna, non poteva mancare quindi anche il Patriarcato di Venezia. Nelle carte dell’inchiesta c’è pure un foglietto scritto a mano, sequestrato nel luglio 2013 a una dipendente del Coveco, con le “erogazioni” effettuate dalla coop fino all’11 ottobre 2011. Si leggono i nomi di Giampietro Marchese, il Compagno M del Pd, ma anche quelli del consigliere regionale del Pd Lucio Tiozzo (33mila euro) e appunto della Fondazione Marcianum (100mila euro).
Foglietto Coveco
La Marcianum fu perquisita dalla Guardia di Finanza nel 2013. E fu Federico Sutto, uno dei più stretti collaboratori di Mazzacurati a raccontare ai magistrati come funzionava la Fondazione. Il compito di Sutto, infatti, di nuovo arrestato durante la retata del 4 giugno, era quello «di sollecitare le varie imprese che lavoravano per il Consorzio a sostenere il Marcianum. I versamenti sono del tutto regolari, sarebbero state quote annuali versate tramite bonifico. «Scola individua in Mazzacurati il Presidente e da questo inizia una serie di contatti dove aderiscono come soci fondatori una serie di imprese facenti capo alcune al Consorzio e altre no, di cui Mazzacurati in qualche modo si fa parte attiva, assieme al sottoscritto per cui mi disse in qualche modo di sensibilizzarli perché ci possano essere dei contributi come soci sostenitori, rappresentando l’attività della fondazione, cioè il Patriarca li aveva riuniti spiegando come era fatta l’attività, quali erano gli scopi e le cose, e le varie società hanno aderito inizialmente, tutta una serie di società, a contribuire al sostentamento».
Non solo. «Il rapporto con il Patriarca e con questa parte del mondo della Curia - ha detto Sutto ai magistrati - per loro era una cosa che interessava. Soprattutto nei primi due anni, quando si trattava di andare a fare le riunioni... era una cosa che tutti volevano... Anzi, non le dico la visita del Papa, la corsa per i biglietti o altre cose, perché ognuno voleva essere in qualche modo rappresentato... si vede che questo poi gli serviva...». Ma poi le quote di partecipazione a poco a poco scemarono anche perché Scola nel 2011 si allontanò da Venezia. E’ sempre Savioli a insistere con i magistrati su questo punto. «Allora, le cifre che io raccoglievo andavano nella totalità come ho già detto all’ingegner Mazzacurati tramite in linea di massima l’ingegner Luciano Neri. Di queste cifre io non ne sapevo più nulla, tranne quelle che in qualche modo, come ho già descritto l’altra volta, tornavano diciamo al COVECO e potevano essere ridistribuite al Marcianum, piuttosto che in chiave elettorale a un finanziamento ufficiale». Anche chi vuol diventare Papa ha bisogno del suo consenso elettorale.
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