Francesco I
00120 Città del Vaticano
Santità:
premetto, esternandoLe la mia non facile decisione di scriverLe questa lettera in cui, con degno rispetto ma con pari chiarezza priva di perifrasi, Le sottopongo alcuni momenti ed aspetti della sua catechesi che in me, come in gran parte del cattolicesimo, hanno destato, e destano, sorpresa, imbarazzo e dissenso aperto e ragionato.
Non credo, perciò, di scrivere, e di affermare, cose a Lei nuove ed ignote – che una parte dell’informazione mondiale ha già sottolineato – se considero il suo pontificato quale momento storico discriminante ed elemento di rottura con il bimillenario assetto della Chiesa Cattolica Apostolica e Romana.
D’altra parte mi rammento che proprio Lei, santità, ha tenuto a precisare, nell’intervista concessa all’ateo sig. Scalfari Eugenio, di voler compiere, secondo la direttiva del Concilio Vaticano II, quella rivoluzione che i pontefici suoi predecessori non hanno saputo avviare. E rivoluzione sta per ribaltamento, sta per moto niente affatto pacifico ma foriero di rovine e di disastri, sta per oscuramento della Tradizione e per radicale e nuova gestione del Magistero. Sul che mi permetto farLe presente che qualcuno, nel passato ci ha provato, dal di fuori e dal dentro alla Chiesa, ma con nulli risultati poiché “STAT CRUX DUM VOLVITUR ORBIS”.
Seguo con somma attenzione il Suo magistero, e proprio questa mia attenzione consente a me, fedele nutrito di Vecchio e di Nuovo Testamento, di Patristica, di Sant’Agostino, di San Tommaso d’Aquino, del Catechismo mirabile di San Pio X e di Bernard Bartmann, di sottoporLe alcune domande con cui, raccogliendo i luoghi più eminenti, più discussi e più problematici della sua pastorale, vi esprimo il mio netto dissenso, le mie perplessità e il mio stupore, lieto però di poter essere smentito in forza dell’autorità della Parola di Cristo più che di quella del Vaticano II.
Sono dieci semplici domande, poche e limitate rispetto alla vasta mole di argomenti che la sua pastorale ha suscitato, a cui potranno seguire, se Lei vorrà, risposte parimenti semplici ed esaustive, nell’osservanza di quel comandamento con cui Gesù invitava i discepoli alla chiarezza, allorché ammoniva “il vostro parlare sia Sì Sì No No. Ciò che è in più viene dal maligno” (Mt. 5, 37). Domande semplici ma che, per i contenuti di talune, sarà necessario estendere il discorso in quanto il tema in esse trattato è di quelli che abbisognano di spazio e dispiegamento.
Una di queste, e sarà la prima, riguarda il recentissimo “Incontro di preghiera per la pace” svoltosi l’8 giugno c. a. Domenica di Pentecoste, in Vaticano dove Lei ha riunito, per “pregare insieme”, i signori Abu Mazen islamico, Shimon Peres israelita e il patriarca ortodosso Bartolomeo I.
Vengo pertanto alla ricognizione del fatto e delle successive questioni.
1 - Le cronache giornalistiche, radiofoniche e televisive ci hanno dato notizia ed immagini dell’incontro che Lei aveva proposto già nel suo recente viaggio in Terra Santa, un incontro di preghiera comune per l’ottenimento della pace, con i rappresentanti del popolo palestinese, dello stato ebraico e con il patriarca ortodosso quale “notaio” – mia personale nota – della cerimonia. Ci è stato comunicato che siffatto incontro è avvenuto in “un luogo neutro”, nei giardini vaticani cioè, dove ciascuno ha invocato il proprio dio nello scenario culturale di un evidente e illecito sincretismo religioso mai prodottosi proprio nella sede e nel cuore del Cattolicesimo. E tutto ciò nel giorno della solennità della Pentecoste quasi a voler dimostrare che lo Spirito Santo sia stato ispiratore e assistente di quell’incontro spurio! Ma lo Spirito Santo è stato assente in quella circostanza in cui tre confessioni religiose hanno pregato per lo stesso Dio (quale?), in cui la vera confessione, la Cattolica, ha volontariamente cancellato la realtà assoluta di Dio/Trinità, in funzione di una falsa unità con false confessioni, per sostituirla con quella di un generico dio.
Intanto, trovo assai reticente, se non addirittura ipocrita, definire “luogo neutro”, privo cioè di segni religiosi, i giardini vaticani quasi che questi siano territorio di nessuno, quasi che essi non facciano parte della Santa Sede, quasi che essi non siano i luoghi dove il primo Vicario di Cristo, San Pietro, versò il proprio sangue a testimonianza e a gloria dell’unico Dio/Trinità.
Il mio dissenso e la mia disapprovazione si incentrano sull’oscuramento del concetto di DIO, unico e vero che, in forza della Parola di Gesù, Seconda Persona della S. S. Trinità, è Quello predicato e adorato dalla Chiesa Cattolica. Quale valore possano avere le preghiere di chi invoca Allah - entità inesistente - o di chi poggia la propria fede sul Talmud – l’accolta delle più ingiuriose espressioni contro Gesù, la B. V. Maria e i cristiani - è cosa che solo la “pastorale” del Concilio Vaticano II, e il magistero dei papi conciliari, possono inventarsi.
Si ripete lo scandalo della preghiera inter/unireligiosa che, da Assisi ’86, ha aperto il Tempio del vero ed unico Dio – il Dio Cattolico, quello annunciato dalla Chiesa di Cristo, la Katholika - alla folla degli infedeli saccheggiatori, così come recita il salmo “Deus venerunt gentes in haereditatem tuam: polluerunt templum sanctum tuum” (Ps. 78, 1) e ha dato consistenza ontologica e soteriologica a idoli che altro non sono, come afferma il salmista, demòni: “omnes dii gentium daemonia” (Ps. 95, 5).
Il sacro suolo della Santa Sede, la Cattedra di San Pietro sono stati profanati da un’incredibile iniziativa mediatica, spacciata per operazione di pace politica, con cui sono risuonati i nomi degli dèi falsi e bugiardi accomunati a quello dell’Unico e Vero. In sostanza: violazione patente ed irredimibile del primo Comandamento: NON AVRAI ALTRO DIO FUORI CHE ME. Gesù, infatti, non ha detto ai suoi discepoli “andate nel mondo, dialogate, pregate e camminate insieme alle altre religioni nei cui idoli è presente lo Spirito del Padre”, ma ben diversamente, e con nulla possibilità di equivoca esegesi, ha prima eletto Pietro, Capo della Chiesa visibile e suo Vicario, guida della “mia chiesa” – gr. mou ecclesìa = la Chiesa di Me (Mt. 16, 18) – e, poi, ha loro comandato “Euntes in mundum universum praedicate evangelium omni creaturae: qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit; qui vero non crediderit condemnabitur” (Mc. 16, 16). Altro che camminare e pregare insieme!
Ciò significa che nessun’altra confessione religiosa, e quindi non l’ebraismo, non l’islamismo possono vantare carismi di salvezza, checché ne dica il supponente ed eretico documento conciliare Nostra Aetate (2, 3, 4) il cui aberrante messaggio, causa di profondo inquinamento dottrinario, sarà, davanti a Dio, capo d’accusa e motivo di colpa per tutti coloro che lo proposero e lo approvarono, compreso l’allora Papa regnante e per quanti ancora oggi ne tengono conto applicandone ed osservandone le linee guida.
Perché mai, allora, simile convegno proprio nel cuore del Cattolicesimo?
Era sufficiente ricordare l’esito di quel primo antico “incontro di preghiera” organizzato tra il profeta Elia e i sacerdoti di Baal (I Re, 18). Noi tutti sappiamo come è andata e noi tutti ora temiamo che qualcosa di punitivo accadrà alla Chiesa per aver operato in senso contrario al comando di Dio.
Ci viene comunicato, altresì, che con gesto blasfemo ed eversivo, è stata data lettura del Corano, cosa peraltro affatto consequenziale perché già nel lontano giugno del 1994 Giovanni Paolo II, con incredibile e superficiale temerarietà, nel salone delle udienze, aveva baciato quel libro che è l’antitesi del Santo Vangelo, inducendo con ciò a ritenerlo quale scritto sacro. Non mi vieto, santità, di definire questo gesto come veraapostasìa. Per noi cattolici, radicati nella Santa Tradizione, non esiste altra Verità che quella contenuta nella Scrittura di Dio Uno e Trino, e questo capovolgimento dogmatico produrrà ancora, come ha già prodotto, maggiori ed ulteriori danni nelle coscienze dei fedeli.
Lei rammenterà, ad esempio, la crociata che l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi e, ancora prima, il cardinale Carlo Maria Martini, condusse a favore di moschee rionali, quasi che la loro missione fosse quella di lavorare per Maometto. Dopo Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Lei si assume una pesantissima responsabilità da far “tremar le vene e i polsi” - come scrive il nostro maggior poeta.
Lei ha, infatti, dato legittimità e riconoscimento ufficiale a due confessioni, più una terza, la scismatica ortodossa, ravvisando in esse forza e valenza di salvezza di pari valore a quella cattolica. Ma Lei crede che il Signore avrà ascoltato quelle spurie preghiere, che salivano proprio dalla Sua Sede, le abbia accolte in odore di soavità? E poi: per quale scopo? La pace? Nobile scopo se non fosse che la pace terrena dipende da quella dello spirito, dipende da quella che Dio concede a chi è battezzato nel nome della Trinità. Non sono mie considerazioni ma sono gli insegnamenti di Gesù il quale ebbe chiaramente a dire ai suoi discepoli “Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis, non quomodo mundus dat, ego do vobis” (Gv. 14, 27). Come vede, non è proprio la vera e necessaria pace che, in quell’ibrido incontro, è stata chiesta. Solo con la conversione al Vero Dio e con il ritorno di tutti gli erranti nella Vera e Unica Chiesa sarà possibile anche la pace terrena.
Ma da quanto ci è dato di vedere, da decenni in qua, la Chiesa ha rinunciato alla conversione preferendo il più comodo e meno rischioso metodo del dialogo. E i risultati sono sotto gli occhi del mondo: abbandoni dalla vita consacrata – 13.123 nel solo periodo 2008/2012 - svuotamento delle chiese, fuga dai confessionali, adesione alla massoneria, alle sètte e alle filosofie orientali e sataniste, ma, in compenso, tanto chiasso e rumore, folle oceaniche negli stadî, sulle spiagge, nelle piazze in occasione dei viaggi pontifici, nella scenografìa di una immensa spettacolarizzazione massmediatica della figura del Pontefice al quale oso, con rispetto ma con sincerità schietta, ricordare che non sarà l’applauso del mondo ad attirare nuove adesioni al Vangelo e nuove conversioni alla Chiesa di Cristo, perché questo applauso, questa ridda di riviste mondane a lui inneggianti, rappresentano la ricompensa degli uomini e non di Dio, il quale ammonì “Vae cum benedixerint vobis homines; secundum haec enim faciebant pseudoprophetis patres eorum” (Lc. 6, 20).
Il suo pontificato, Santità, si sta caratterizzando per una straordinaria e tracimante visibilità massmediatica, per gesti inusuali, spettacolari ed eversivi aggiungo, gesti che Lei giustifica con la necessità di “rianimare la Chiesa”, con la necessità che essa stupisca e sorprenda.
Ma la Chiesa, quale Corpo di Cristo, non ha bisogno della sala di rianimazione, perché “numquam reformanda quia numquam deformata”, semmai sono gli uomini di Chiesa a doversi rianimare in Cristo, dopo i molteplici tradimenti, in questi ultimi 60 anni, consumati nei Suoi confronti. Bene se ne accorse San Pio da Pietrelcina quando ebbe la visione di Gesù flagellato e grondante di sangue. “Egli (Gesù) mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti, regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo delle sacri vesti… osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con grande espressione di disgusto sul volto, gridando < Macellai !> E rivolto a me disse < Figlio mio, non credere che la mia agonìa sia stata di tre ore, no; io sarò, per cagione delle anime da me più beneficate, in agonìa sino alla fine del mondo >” (L. Peroni: Padre Pio da Pietrelcina – ed. Borla, 2002, pag. 150).
Vengo alla domanda:
Non crede, allora, vista la completa sterilità ed inutilità, in termini eucologici e teologici, di questo incontro, che sarà il caso di chiedere perdono a Dio e di riconsacrare lo spazio sacro dei giardini vaticani - nel cui terreno, a beneficio delle telecamere tv, è stato piantato un ibrido ulivo - e con esso la Santa Sede e la Cattedra di San Pietro, profanati dalla presenza di ostili e false confessioni?
Esiste un Solo ed Unico Dio, in tre Persone uguali e distinte. Padre, Figlio e Spirito Santo. Ma è stato assimilato, nella sede di Pietro, ad altre pseudo divinità.
Perché?
2 - San Paolo scrive: “Deus exaltavit illum (Jesum) et donavit illi nomen quod est super omne nomen, ut in nomine Jesu omne genu flectatur caelestium, terrestrium et infernorum et omnis lingua confiteatur quia Dominus Jesus Christus in gloria est Dei Patris” (Fil. 2, 9/11). Appare chiaro ed evidente come la genuflessione sia l’atteggiamento interiore e l’omaggio visivo dell’adorazione dovuta al Signore. Lei, santità, ha mostrato di inchinarsi a regine nel gesto di baciar loro la mano; s’è inginocchiato, in un teatro di Buenos Aires, davanti a un pubblico misto di cattolici e di protestanti ricevendo, da questi scismatici tralci secchi, un’inesistente carisma con l’imposizione delle loro mani, atteggiamento ripetutosi nella adunata dei cosiddetti carismatici del 1 giugno presso uno stadio romano; ha baciato la mano inchinandosi al rabbino di Gerusalemme, il rappresentante successore di quel Caifa carnefice che ordinò la morte di Cristo Nostro Signore; ha baciato reverente la mano ad alcuni reduci dei lager nazisti; l’ha baciata a don Michele de Paolis, indecoroso prete noto per l’apologìa dell’omosessualità. Ma le immagini di Lei che celebra la Santa Messa ci mostrano che Lei non si inginocchia davanti a Cristo Eucaristìa, nel momento del Sacrificio, della Consacrazione delle Specie e della Transustanziazione.
I fedeli che, entrando in chiesa, si mettono subito seduti e che restano in piedi durante la Consacrazione e durante la finale benedizione trinitaria, questi fedeli, a cui rimprovero simile irriverente atteggiamento protestante, mi rispondono citando il suo esempio quale norma di comportamento.
Perché?
3 - Quando venne eletto Vicario di Cristo, Successore di San Pietro e Vescovo di Roma, al popolo cattolico in attesa di vederLa, Lei indirizzò non il debito saluto/benedizione del “Laudetur Jesus Christus” nel venerando segno della Croce, ma un banale “buonasera” che fu stimato quale manifestazione di un papa “vicino alla gente” anzi, tra la gente, quasi che siffatto saluto laico e salottiero sia privilegiato canone di sacralità. I cattolici ebbero, quella sera, davanti a sé non un Pontefice ma un “amico, uno di noi”.
Consequenziale a questo suo “stile” fu, ad esempio, quel suo telefonare a un giovane padovano dandogli e chiedendogli l’uso del tu, e motivando siffatto amicale galateo col dire che gli Apostoli “non si rivolgevano mica a Gesù chiamandolo Eccellenza!” Spinto da questa sua affermazione, ho controllato la Scrittura dove ho scoperto che gli Apostoli si rivolgevano a Gesù chiamandolo “Figlio di Dio – Maestro – Cristo –Messia – Santo di Dio - Rabbi –Figlio di Davide – Signore mio e Dio mio”.
Altro che un approccio cameratesco!
Rifiuto, pertanto Santità, questo suo comportamento che similmente in altre circostanze ha dato modo di offrire l’immagine di un Papa più vescovo di Roma e meno Vicario di Cristo, così come amaramente stigmatizzo e critico acerbamente il fatto che Lei, quella sera, abbia sentito l’urgenza di inviare il suo primo messaggio non all’ecumene cattolico ma al rabbino di Roma, al dott. Riccardo Di Segni come se costui vantasse, e vanti, un credito o un elemento di stima in più rispetto alla Cristianità.
Io, cristiano cattolico, figlio fedele della Santa Madre Chiesa Cattolica/Apostolica/Romana, mi son sentito come il figlio a cui non vengono date nemmeno le briciole che cadono dal tavolo; mi son sentito come il vitello grasso, sacrificato a un “fratello” il cui ritorno non solo è lontano ma è addirittura vietato, stando alla dichiarazione di Benedetto XVI affidata al cardinale Bagnasco, secondo cui la Chiesa non ha in programma alcun tentativo di evangelizzazione del popolo ebraico. Ha rinunciato, consapevolmente e ufficialmente, a corrispondere al comando di Gesù: “Potius ite ad oves, quae perierunt domus Israel” (Mt. 10, 6) – andate piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele.
Diciamo che la Chiesa, o meglio, i suoi uomini, hanno disobbedito all’ordine del suo Fondatore preferendo obbedire a un’indicazione “pastorale” del Concilio (N. Ae. N. 4), volontariamente disattendendo la norma indicata da San Pietro: “Oboedire oportet Deo magis quam hominibus” (Acta Ap. 5, 29) - prima, cioè, la legge di Dio e poi quella degli uomini.
Perché?
4 - Ha fatto il giro del mondo l’udienza che Lei, in “forma privata” ha concesso lo scorso agosto 2013 al sig. Scalfari Eugenio. Da quell’incontro, su cui molte furono le rimostranze di tanti cattolici, e non per l’aver Lei ricevuto un ateo conclamato, un “figlio perso” – e non ancora ritrovato - ma per le affermazioni paradossali prodotte in quella circostanza, da quest’incontro dicevo, è scaturito un libro a quattro mani, datato 11 settembre 2013 (?) - DIALOGO TRA CREDENTI E NON CREDENTI.
Intanto, suona a me molto strano che, il testo dell’intervista, prudentemente cancellato dal sito del Vaticano, sia stato invece materia ed argomento di un libro. Ma ciò che dèsta sorpresa, fra le molte affermazioni che vi si trovano ne figura una quale titolo dell’argomento, così scritta: “LA VERITA’ NON E’ MAI ASSOLUTA – Papa Francesco”. Un’affermazione che sintetizza la sua teoria secondo cui la verità è “una relazione”, cioè, una categoria della conoscenza.
Senza andare a scomodare la filosofia aristotelica o quella tomistica, basterebbe sfogliare qualche paginetta del Vangelo per leggere: “EGO SUM VIA, VERITAS ET VITA”. (Gv. 14, 6). Gesù è la sola Verità, Assoluta, la Verità fatta Essere, non ce n’è altra, ma con l’aver Lei definito la verità come qualità relativa, s’è ingraziato il mondo laico al quale non sembra vero di poter giustificare la propria condotta con sì fatto relativismo, e, soprattutto, poter vivere e comportarsi “secondo coscienza”, quella singola coscienza da Lei nominata giudice primo ed ultimo di ogni atto individuale, buono o cattivo. Lei, con tale affermazione ha, pertanto, cancellato i dieci Comandamenti e reso ufficiale l’esercizio del dubbio cartesiano di cui son testimonianze le molte omelìe che, sul tema, vengono svolte da stolti ed insipienti sacerdoti.
Il cattolico, Santità, non dubita mai della parola di Dio, Verità Assoluta, ma trova difficoltà, semmai e certamente, nel tentativo di comprenderne il Mistero.
E allora: perché?
E allora: perché?
5 - Nel corso del suo primo anno di pontificato, Lei ha ricevuto capi di stato atei, massoni, regine pagane e scismatiche, associazioni mondialiste (B’naï B’rith); ha inviato fervidi saluti ad entità finanziarie di respiro massonico (World Economic Forum di Davos); si è prodigato per il salvataggio fisico dell’ateo radicale Marco Pannella; ha ricevuto in udienza privata gnostici e miscredenti; ha favorito, con la sua visita pastorale a Lampedusa, lo sbarco di migliaia di clandestini inducendo, indirettamente, il governo italiano a depennarne il reato con le disastrose conseguenze di una nazione, l’Italia, scossa da un disordine sociale mai avvertito se non nelle invasioni barbariche di antica memoria.
Il suo motto “misericordia e tenerezza” marca in maniera decisa il suo operare. In questo primo anno del suo pontificato continua, inoltre, una sperimentazione liturgica che vede sante messe – lo scrivo in minuscolo - concelebrate con i massoni (Brasile, parrocchia di Nossa Senhora da Conceiçao, 20 agosto 2012), con gli anglicani, con gli induisti e con i buddisti; sante messe il cui celebrante si camuffa da pagliaccio proponendosi, come in alcune chiese di Germania, quale intrattenitore di spettacolini comici allo stesso modo con cui Lei, mi permetta questa segnalazione, in piazza San Pietro posò, con una coppia di sposi, in foggia di clown dal naso a pomodoro; sante messe in cui volteggiano discinte ballerine nel ritmo di rumori che presumono definirsi “musica sacra”; sante messe come quella officiata a Genova, nella Cattedrale di San Lorenzo tramutata in una vociante bettola, dal cardinale Angelo Bagnasco in occasione delle esequie (?) del prete (?) don Gallo Alessandro durante le quali s’è cantato “bandiera rossa”, “bella ciao” tra una canèa e un tripudio di urli, di bandiere arcobaleno, nella vertigine abominevole di una sacrilega Comunione dispensata dal pavido prelato a un noto sodomita, transessuale, ateo e buddista; spettacoli di frati e suore che si piccano di svolgere opera evangelizzatrice sfilando e danzando per le vie delle città nel pieno parossismo di un alienante baccanale; processione ed intronizzazione, ad opera di due vescovi, della statua del pagano idolo di Minerva –horresco referens!!! - nella basilica della Madonna di Aparecida; celebrazioni del Sacramento della Cresima trasformate in esposizioni tipo Coldiretti o inaugurazione di supermercato, con una processione d’offertorio carica di verdure, paste, frutta, vini, oli, patatine, insaccati, pasticcini, fiori, formaggi, pesce. Manca soltanto il reparto degustazione. E il lungo catalogo potrebbe continuare col rammentarLe la presenza di docenti gnostici e neopagani nelle Università cattoliche e nei seminarî – lupi nell’ovile di Cristo - , onoranze accademiche rese a personaggi di storica professione di ateismo – mi riferisco alla medaglia al merito conferita dalla Pontificia Università Lateranense al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano - terminando con il recentissimo indecente spettacolo di una giovane suora sguaiata, frenetica e urlante, esibitasi sugli schermi televisivi in piena Quaresima! - il periodo di penitenza di Nostro Signore Gesù - una suorina che considera la “voce” come il dono più prezioso datole dal Signore, dimentica, la così povera di senno e di serietà presa dal raptus della celebrità mediatica, che il dono più prezioso dovrebbe essere, come è, la sua vocazione.
Ora, Santità, a fronte a simili aberrazioni a cui nessuno, dico nessuno, nemmeno Lei e nemmeno i Papi precedenti, ha voluto, più che saputo, non dico sancire una secca condanna ma nemmeno porre un benché timido argine o una momentanea ferma, a fronte di ciò, dicevo, fa invece mostra di sé la sua acerba e dura decisione di commissariare l’ordine dei Frati e delle Suore dell’Immacolata, su cui pendono azioni restrittive, corsi di rieducazione tipo sovietico, e vincoli che nemmeno nei regimi più tirannici vengono adottati. E’ la riedizione perfetta della persecuzione che il recente santo Giovanni XXIII mise in atto contro San Pio da Pietrelcina. La colpa loro? Forse il fatto di essere fedeli alla Tradizione e celebrare la Santa Messa secondo il Vetus Ordo mai abolito e, comunque, rinvigorito con il motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI; forse il fatto di rappresentare una parte della Chiesa, florida e ricca di vocazioni; forse perché rifiutano di intrupparsi in congreghe sincretiste o esibirsi in salotti tv; forse perché immersi nella contemplazione e nella meditazione; forse perché, in concomitanza delle manifestazioni della trascorsa GMG di Rio, invece di ballare e di cantare insieme ai vescovi e ai cardinali colà convenuti – spettacolo inverecondo e miserevole! - essi pregavano nel silenzio claustrale. Sicché, mentre ai nemici di Dio e alle false religioni vengono spalancate le porte e le carezze della misericordia, dell’accoglienza, del rispetto e della tenerezza, ai figli più fedeli vengono riservate mortificazioni e frustate che son simili in tutto a quelle inflitte a Gesù. Lei avrà sentito e letto, su questo argomento, le espressioni di protesta e di biasimo e, tuttavia, niente è cambiato. Anzi: il degrado del sacro è in progressivo avanzamento,”in fine velocior” ma tutto è silenzio.
Perché?
Perché?
6 - Durante una sua omelìa in Santa Marta, Lei ebbe ad esprimere – in forma certamente ipotetica ma indiziaria di retropensiero modernista – alcune riflessioni circa lo stato d’animo della B. V. Maria nel momento in cui, silenziosa Madre dei dolori, sotto la Croce assisteva, con Giovanni, alla morte del Figlio di Dio e Suo. Nel solco di una Mariologìa che parte da lontano, dal protestante R. Bultmann, colui che considerava il culto reso a Maria quale “cancro del cattolicesimo”, giù giù sino all’eretico K. Rahner di cui è nota la negazione della “verginitas in partu” di Maria, fino alle mariane fantasie proletarie, populiste e da fotoromanzo di don Tonino Bello, si sta radicando una letteratura, un’antropologìa o un’estetica più che una teologìa, che fa della Madre di Dio – colei che ha cantato il Magnificat! - una sciocca donnetta qualunque, una femmina “ignorantella” come ebbe a definirla un anziano canonico durante l’omelìa tenuta nella mia Chiesa parrocchiale, una donna a cui – come suggerisce il citato don Bello – sarebbe opportuno togliere, finalmente, l’aureola per sentirla “una di noi e come noi”.
Naturalmente non Le starò a dire che l’essere Ella senza peccato, essere la Madre di Dio, la Beata tra le genti, la Madre della Chiesa la pone al di sopra dell’umanità peccatrice conferendole proprio quell’aureola che scioccamente taluno vorrebbe cancellare.
Sul solco di questa letteratura, lei ebbe dunque ad ipotizzare nella mente di Ella pensieri di contenuto pessimista, pensieri da cui traspirava la delusione per un epilogo così tragico del Figlio da Dio a malfattore, pensieri in cui ferveva l’amarezza per antiche promesse fattele e non mantenute. Forse si rivolgeva così a Dio: “Tu, quel giorno mi hai detto che sarà grande; tu mi hai detto che gli avresti dato il trono di Davide, suo padre, che avrebbe regnato per sempre e adesso io lo vedo lì. La Madonna era umana” E forse aveva la voglia di dire < Bugìe! Sono stata ingannata! >” .
Queste le autentiche sue considerazioni.
Insomma, Lei, seppur ipoteticamente, applicò a Maria le categorie dell’umanità peccatrice. Eppure, a legger il Vangelo noi sappiamo che Ella sapeva della sua dolorosa missione, lo sapeva già da quando aveva risposto all’angelo “Fiat” (Lc. 1, 38); lo sapeva perché, nel giorno della presentazione al Tempio, il santo Simeone le aveva vaticinato una spada nel cuore (Lc. 2, 34); lo sapeva perché Ella meditava in cuor suo tutto ciò che si riferiva a suo Figlio (Lc. 2, 51), lo sapeva così bene da seguirLo sulla Via Crucis. Non sarebbe stata la Madre della Chiesa se avesse, seppur crepuscolarmente, dubitato della parola di Dio.
Mi chiedo, perciò, con quale fine didattico o pedagogico Lei abbia prodotto affermazioni così intrise di antropologìa, le quali, pur anco ristrette nell’ambito di un’omelìa, non sono mai pensieri privati del Papa ma, ad onta di quanto dichiara padre F. Lombardi, rientrano nel perimetro del suo magistero ordinario e, perciò, fanno catechesi.
A tale circostanza debbo accostarne un’altra in cui Lei, sempre riferendosi alla B. V. Maria, ne illuminava la misericordia materna, larga e generosa come quella del Figlio. E propose, agli ascoltatori, una specie di parabola in cui Lei descriveva la figura di San Pietro, custode e portiere del Paradiso il quale, di giorno, ne chiude implacabilmente la porta ai peccatori. Ma la Madonna, Lei aggiunse, di notte quando tutti dormono, apre silenziosamente e fa entrare “i poveri peccatori”.
Io credo per certo che ciò non avviene dacchè non si è mai sentito che i peccatori vadano diritti in Paradiso, come non vi sarebbe arrivato quel buon ladrone, che peccatore lo era ma che lucrò la beatitudine eterna se non espiando la colpa con la morte, accanto a Gesù. La Chiesa ha sancito, per l’accoglienza delle anime peccatrici, l’esistenza del Purgatorio che, mi permetta di osservare, rischia, dopo la sua sortita, di esser cassato come già il suo predecessore Benedetto XVI, ora cardinal Ratzinger, cassò il Limbo.
Un buon pedagogo e maestro deve sempre scegliere, pesare e tarare le parole specie se queste diventano parte di autorevole catechesi. L’immagine di Maria che, di soppiatto, apre la porta del paradiso ai peccatori, cozza contro quella di Fatima dove, ai tre pastorelli la Madre di Dio mostrò l’Inferno che vuoto non è, come dichiara il v. Balthasar, o come sembra alludere la sua parabola. Non può, Nostra Signora, violare la giustizia di Dio o trascurare la Sua volontà.
E, allora: perché?
E, allora: perché?
7 - “Il celibato dei sacerdoti cattolici non è un dogma di fede, si può cambiare”. Così i massmedia sintetizzano il suo pensiero espresso ai giornalisti, sull’aereo che La riportava da Gerusalemme a Roma. “La Chiesa cattolica ha preti sposati, nei riti orientali. Il celibato non è dogma di fede, è una regola di vita, che io apprezzo tanto e credo che sia un dono di Dio per la Chiesa. Non essendo un dogma di fede, c’è sempre la porta aperta”: queste, invece, le sue autentiche parole.
Si resta non solo sorpresi ma tanto più turbati, scossi diciamo, da queste sue considerazioni che sembrano non tenere in debito conto 1) il Vangelo e 2) la saggezza della Chiesa. Intanto suona indiziario di possibili e future riforme quel dire “non è un dogma di fede”, laddove la negazione “non” prevale a beneficio di probabili aperture.
Certamente – ma sarebbe il caso di approfondirlo - il celibato dei preti cattolici non è dogma di fede ma è tuttavia una categoria esistenziale, più che una regola di vita come Lei afferma, in quanto afferente alla trascendenza divina e, perciò, necessaria per poter espletare tutte le mansioni a cui Dio chiama l’eletto.
Parlando del matrimonio, Gesù, dopo averne affermato l’indissolubilità, in risposta a talune obiezioni, così insegna: “Sunt enim eunuchi, qui de matris utero sic nati sunt; et sunt eunuchi, qui facti sunt ab hominibus; et sunt eunuchi, qui seipsos castraverunt propter regnum caelorum. Qui potest capere capiat” (Mt. 19, 12).
La parte finale di questa pericope dice chiaramente che il celibato – reso castraveruntin latino e eunoùchisan in greco – è necessaria condizione per chi intende rispondere alla chiamata di Dio, chiamata per la quale si rinuncia non solo al matrimonio ma anche ai propri familiari, al mondo, agli affetti umani. Pietro chiede a Gesù: “Ecce, nos reliquimus omnia et secuti sumus Te; quid ergo erit nobis?”. Risponde Gesù. “Omnis qui reliquerit domum vel fratres aut sorores aut patrem aut matrem aut uxorem aut filios aut agros propter nomen meum, centuplum accipiet et vitam aeternam possidebit” (Mt. 19, 27/29).
Il Divino Maestro ci dice che il regno dei cieli e la vita eterna non sono paragonabili alle cose umane e che per essi ogni altra attività o condizione di vita è meno che uno iota.
Il celibato, finalizzato al servizio di Dio e soprattutto al conseguimento della santità, non è, pertanto, una mera norma disciplinare imposta dalla Chiesa, tanto per ottenere dal consacrato un tipo di risposta meno dispersiva e più attenta. No, esso ècondizione esistenziale ed essenziale prescritta da Gesù stesso, che se non è dogma è egualmente cogente come cogente è la pratica del digiuno e della preghiera per scacciare taluni demònî (Mt. 17, 21).
Lei, tanto per lasciare aperta la porta a future e probabili varianti – quanto, cioè, ilmondo chiede – cita come esempio di possibile e non devastante cambiamento, le chiese orientali. Poteva, allora, indicare anche le chiese protestanti e, di conseguenza, parlarci dello sfascio di quelle confessioni che perseguono stili di servizio aderenti alle esigenze dell’uomo più che a quelle di Dio. Non si può servire a due padroni, alla famiglia intesa come carico di responsabilità e polo di tutte le cure, e a Dio il quale, come bene sappiamo è esigente e geloso.
La stampa mondiale e l’opinione pubblica stanno da tempo facendo forza sulla Chiesa perché, in omaggio allo “spirito del tempo”, si cambi tradizione per far dei sacerdoti uomini integrati e immersi nel mondo, consapevoli delle problematiche sociali, vicini al prossimo, assistenti sociali insomma e, soprattutto, lontani dalla tentazione della turpe pedofilìa. Un prete sposato non avrebbe motivo di lordare il voto di castità perché non ce ne sarebbe necessità, e le pulsioni carnali sarebbero canalizzate e legittimate dallo stato coniugale, dicono con supponente saggezza, come se non avvenissero, e numerosi e quotidiani, i casi di violenze sessuali anche nelle famiglie.
Sono argomenti capziosi in funzione di grimaldelli per far saltare, con l’introduzione del matrimonio ecclesiastico, quella formidabile compagine – il clero e gli ordini monacali – che proprio nel celibato e per il celibato riescono ancora – ma fino a quando? - a mantenere la struttura della Chiesa immobile al soffiar dei venti del modernismo.
Ma l’argomento più sottile, portato a sostegno di questa richiesta laica, è quello della pedofilìa clericale di cui da anni si occupano le cronache mondiali. La Chiesa, e i suoi uomini, hanno in ciò una pesante responsabilità diretta perché, se ben si analizza il turpe fenomeno, troviamo che esso nasce, o meglio, si ingrossa e si diffonde, da quella infausta riforma dei seminarî che, sotto la spinta deformatrice del Concilio Vaticano II, ha, oltre ad aver alleggerito il cursus studiorum, permesso l’andirivieni dei seminaristi per il fine settimana manco si trattassero di pensionanti, e dopo aver defenestrato i saggi e santi “direttori spirituali”, ha preso in organico psicologi e psicoanalisti esperti a valutare, con speciosi test, la reale consistenza della vocazione in ciò sostituendosi allo Spirito Santo e a Cristo, il quale è Colui che sceglie – “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv. 15, 16), Cristo e non psicologi, personaggi portatori di una pseudoscienza priva di pietas e di caritas, una scienza atea con cui, freudiani o junghiani, nel solco del buonismo russoiano e pelagiano, predicano la bontà degli istinti e delle pulsioni che, in quanto elementi di una “natura buona”, vanno soddisfatti senza avvertenza di senso del peccato e di colpa.
In sintesi: abbasso il timor di Dio e l’orrore per il peccato. Probabilmente anche San Tommaso d’Aquino o San Luigi Gonzaga, se avessero avuto quali “direttori spirituali” siffatti esperti dell’anima, avrebbero ceduto alle tentazioni col ritenere lecito ciò che, invece, ai sensi del sesto e nono comandamento è illecito. E’ nato così, anzi, si è diffuso in ragione esponenziale questo fenomeno proprio all’ombra del cieco permissivismo conciliare.
Si aprano le porte al matrimonio dei sacerdoti e ci troveremo nelle condizioni di una confessione protestante la cui caratteristica è l’interpretazione personale svincolata da un Magistero e, soprattutto, libera dall’insegnamento di Gesù.
Io credo che, di determinati argomenti, quali il celibato dei sacerdoti e l’indissolubilità del matrimonio, non sia il caso di parlare nel prossimo Sinodo, in quanto solo per il discuterne si metterebbe in dubbio e si avrebbe la sconfessione della Parola di Gesù e l’asservimento di Lui, eterno e trascendente il tempo, allo spirito dei tempi.
Ed allora: Perché?
Io credo che, di determinati argomenti, quali il celibato dei sacerdoti e l’indissolubilità del matrimonio, non sia il caso di parlare nel prossimo Sinodo, in quanto solo per il discuterne si metterebbe in dubbio e si avrebbe la sconfessione della Parola di Gesù e l’asservimento di Lui, eterno e trascendente il tempo, allo spirito dei tempi.
Ed allora: Perché?
8 - Nei suoi interventi, Santità, Lei spesso cita la parola “sfide”, quelle che il mondo propone alla Chiesa e la frequenza con cui lo ripete fa supporre che la Chiesa, nella sua bimillenaria storia non le abbia mai affrontate. E sono: le sfide contro il celibato dei preti e a favore del sacerdozio femminile, le sfide per il livellamento e lo svilimento dogmatico in nome di un razionalismo cartesiano, le sfide della cultura e della scienza, le sfide liberiste dei movimenti civili, pur anco le sfide che l’umanità omosessuale lancia - e con quale orgoglio le lancia! - per un riconoscimento giuridico ed etico, le sfide della nuova costellazione plurifamiliare, le sfide di quel cattolicesimo costituito da divorziati risposati che esigono come un diritto dovuto la Comunione, le sfide delle periferie e dei centri, le sfide della gioventù, le sfide della disordinata massa migratoria che si accumula giorno per giorno nei centri di accoglienza, le sfide della tecnologìa informatica che Lei ha adottato mettendosi in contatto diretto con milioni di seguaci che navigano per Internet. Insomma, sfide che provengono tutte dal mondo e che Lei, Santità, è deciso di affrontare per dimostrare che la Chiesa non arretra di fronte all’evoluzione della società.
E così leggiamo che “le coppie gay oggi pongono nuove sfide a livello educativo… ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: <la fidanzata di mia madre non mi vuol bene>… Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? A questa generazione che cambia? Bisogna stare attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede”.
In pratica, chiosano alcuni commentatori, bisognerebbe evangelizzare questi giovani senza indurli, però, a detestare le scelte dei genitori e le proprie, in quanto si correrebbe il rischio di fornire loro antidoti contro la fede. E’ come se qualche Sodomita, o qualche Gomorreo biblico, voglia intentare causa civile contro il Signore degli eserciti per danni procurati materiali e traumi psicologici causati dallo sprofondamento delle due città peccatrici. Insomma, tenerezza, comprensione e “laissez faire”.
Io sarei prudente, Santità, non solo ad accettare questi guanti di sfida ma a considerarli tali, addirittura “educativi”, perché so che, intanto, non v’è alcunché di positivo e di pedagogico nel vantare una complessione omosessuale, e poi perché agirei in senso contrario a Cristo il quale le sfide le rigettò non prendendole in considerazione – come avvenne nel deserto – e perché, confidando troppo sulle forze personali, potrei rischiare di essere avviluppato e inghiottito da chi, come Satana, è maestro di arte persuasoria.
Conosce la storia di quel don Mario Mazzoleni che, pieno di scienza teologica e di retorica, volle nel 1992 andare in India a convertire quel satanasso di Sai Baba? Ebbene, tanto ci seppe fare nel suo intento, che divenne suo discepolo e “profeta”. Superbia intellettuale che Dio ha punito, come bene insegna la B. V. Maria nel suo “Magnificat”: “Dispersit superbos mente cordis sui” (Lc. 1, 51). Esibire, perciò, atteggiamenti omosessuali ed esigerne il riconoscimento, non è una sfida ma una provocazione che va respinta proprio per non essere irretiti nella melassa del buonismo russoiano.
E’ la Chiesa, piuttosto, che dovrebbe proporre e lanciare la sua sfida, una sola, quella che Cristo annunciò a coloro che volevano essere suoi discepoli: “Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me” (Mt. 16, 24).
Questa è la vera sfida, le altre sono soltanto polvericcio dialettico e trappole nascoste nel contesto di dialogo sterile e stressante. Questo la Chiesa deve proporre, e non accettare altre e altrui manovre diversive che preludono al pericolo di confederarsi col nemico. L’esempio di Cristo che liquida Satana è la via che la Chiesa deve percorrere in questa fattispecie, ma sembra che l’intendimento dei pastori sia diverso.
Perché?
9 - Alcuni anni fa, forse dieci, nella chiesa “Cristo Lavoratore” in Civitavecchia, un Crocifisso, posto centralmente dietro l’altare, venne spostato a latere e sostituito da un’immagine della B.V. Maria perché, a detta di un locale teologo laico – addottoratosi, pensi un po’, in un corso triennale di “scienze religiose (?)” - la visione continua della morte mal rappresentava la gioia di una Chiesa in cammino verso la Resurrezione. Un cristiano “adulto” che, in questa circostanza, ebbi facile gioco a denominarlo “adultero”.
Naturalmente esplose la contestazione dei fedeli in forza della quale il Crocifisso venne riportato nel posto consentaneo, e cioè dietro e al centro dell’altare del sacrifico.
Ciò avveniva in un periodo in cui in Italia e nel mondo s’era scatenata la campagna contro i segni cristiani sloggiati dagli ospedali, dalle scuole, dai tribunali col solerte e incredibile concorso di indegni e codardi sacerdoti che, in forza della nefasta già citata Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”, sostenevano questa apostasìa ritenendo essere di maggiore valore il rispetto verso le culture altre che quello per il Signore.
Questo mi venne in mente allorché, dalle immagini diffuse dalla stampa e dalle emittenti tv in occasione della sua recente visita in Terra Santa, e precisamente durante un incontro con le autorità religiose di Israele, tutti hanno avuto modo di notare la scomparsa del suo pettorale – il Crocifisso – occultato dalla fascia, come se fosse stato intenzionalmente lì collocato. Fatta salva l’ipotesi di una casualità, di un fatto accidentale, resto tuttavia perplesso anche perché, nonostante l’avvertimento di un prelato a Lei vicino, e l’imbarazzo di molti vescovi – come attestano le agenzie - il pettorale è rimasto a lungo nascosto, quasi a rendere visivo il tasso di rispetto verso l’altra confessione a cui non sarebbe stato buon gesto di amicizia esibire il gran Segno del Cristianesimo in casa altrui.
Una supposizione che, però, ha un precedente.
Ammessa la fondatezza della casualità, mi domando perché, allora, nella sua prima udienza concessa alla stampa, nell’aula Paolo VI, in casa propria, Lei manifestò consapevolmente, e non accidentalmente, la stessa delicatezza impartendo ai presenti la benedizione trinitaria in silenzio e interiormente, e solo per non ledere la dignità di quanti giornalisti, atei, gnostici, miscredenti e di altre confessioni che si sarebbero, come Lei ebbe a precisare, sentiti discriminati, offesi o turbati.
A fronte di queste manifestazioni risuona perentorio e tremendo l’ammonimento di Cristo che è bene rammentare: “Qui autem negaverit me coram hominibus, negabo et ego eum coram Patre meo qui in caelis est” (Mt. 10, 33). Accertata la casualità del pettorale nascosto, la vicenda della benedizione negata si configura, però, come atto di mancata testimonianza.
Perché?
Perché?
10 - “Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur”. Così come, mentre si chiacchiera a manca e a dritta di accoglienza, solidarietà, spirito del tempo, rinnovamento, carisma, profezia, rivoluzione, partecipazione, la Chiesa – o meglio – le chiese, le case di Dio vengono espugnate ed incendiate dal quel fuoco di Satana di cui PaoloVI – in funzione prima di piromane e poi di pompiere - aveva intravisto il suo fumo.
Lo spirito riformatore del Concilio, nella smania di allinearsi ai tempi e alla cultura moderna, ha lentamente desacralizzato la Casa di Dio, casa di orazione e di purificazione, in multisala dove laici e chierici vi tengono le più svariate ed indecenti attività.
La poco benemerita “Comunità di S. Egidio”, sotto il patrocinio del vescovo Mons. Vincenzo Paglia, ha da tempo fatto occupazione di suolo sacro in quel di Santa Maria in Trastevere, veneranda basilica paleocristiana, allestendovi, ad ogni Natale che Dio manda, una trattoria ove, col pretesto di dar mensa ai poveri, sfilano personalità ed eminenze nel turbinìo di cellulari e telecamere, mentre l’ambiente si satura di cattivi odori e di rumori non proprio consoni alla santità del luogo. Carità allo stato puro divanitas e di smaccata pubblicità ad usum delphini.
Ma non è scritto che la beneficenza vera è quella che vien fatta nel silenzio, nel nascondimento perché solo così il Padre celeste ne darà la ricompensa? No! Oggi, se non ci si circonda di trombe e fanfare e non ci si gloria nelle cronache, non si fa carità perché anche questo ufficio è diventato spettacolo. E questa è la ricompensa degli uomini. Cosa che Mons. Paglia non ignora.
Ma fosse solo questo il caso di stravolta destinazione d’uso!
Le chiese sono, intanto concesse a gruppi protestanti per lo svolgimento dei loro scismatici uffici – compresi i dibattiti sull’omosessualità – a comunità islamiche per l’adempimento del digiuno loro, le chiese sono poi diventate sale cinematografiche, tribune e palchi per recite teatrali e concerti bandistici, concerti lirici, concerti rocchettari, assemblee per dibattiti, e in quest’ottica moderna anche l’officio dei sacramenti si è adeguato allo stile spettacolare, non risparmiando il rito funebre costellato di ninnoli varî, rumoroso di applausi, di sequenze testimoniali a pro del defunto, non risparmiando il matrimonio durante il quale si balla al ritmo di musichette festivaliere, mentre scrosciano i battimani e squillano i telefonini, mulinano lanci di cappelli e di riso tra fragorosi hurrà! E col sacerdote che incita il baccanale per una sposa che quasi svestita, mostra le grazie fisiche nell’abominio di uno spettacolo pagano i cui resti sono le cicche di sigarette, le buste di patatine, le bottigliette di plastica, le gomme, i fazzolettini di carta sparsi dappertutto e gli sputi sul pavimento.
Ma nelle chiese si organizzano anche spettacoli circensi, con l’ingresso di cavalli, motociclette, ballerini e ballerine in calzamaglie minimali, con preti che allestiscono l’altare, dove è presente Cristo Eucaristìa, con pelusci, giocattoli, mascherine, palloncini, essi stessi paludati da pagliacci mentre altri organizzano gare di barzellette o giochi televisivi.
Mentre Roma discetta di fratelli in cammino, di dialogo e di tenerezza, la casa di Dio è diventata una spelonca ove si fa di tutto nel modo più osceno.
E’ di questi giorni la notizia dell’occupazione della Basilica romana di Santa Maria Maggiore ad opera di una pattuglia di sfollati e di clandestini nordafricani che ne han fatto dormitorio. Non unico fatto dacché già, in altri tempi, ci furono occupazioni di questo tipo in Italia e in Francia. Vere profanazioni!
Non Le starò a rammentare, Santità, l’invettiva sferzante di Gesù che caccia dal Tempio mercanti, allevatori e banchieri (Mt. 21, 12/13) perché l’episodio è talmente noto che sarebbe mancanza di garbo nei suoi confronti. E nemmeno accetto eventuali giustificazioni, di carattere sociologico o caritativo perché le cose di quaggiù non possono prevalere su quelle di lassù. La mancanza di cibo, di un tetto, di un rifugio non può diventare causa primaria e legittimante di un’occupazione di suolo sacro. “Solve calceamentum de pedibus tuis; locus enim, in quo stas, terra sancta est” (Ex. 3, 5). Il luogo dove abita Dio – il suo Tempio – è sacro e per nessun motivo, che non sia adorazione e preghiera, deve essere profanato, men che meno diventare dormitorio o ristorante.
I fedeli si chiedono perché mai siffatti eventi si verifichino soltanto nelle chiese cattoliche e perché mai in qualche sinagoga o in qualche moschea. La risposta che io mi permetto di dare dice che la Chiesa cattolica è, oggi, un’entità molle di cui è possibile dire tutto e il contrario di tutto e a cui è possibile e lecito fare tutto e il contrario di tutto, finanche trasformare i suoi templi in arene circensi. E’ il senso del sacro che sta degradandosi, quel senso di cui sentì l’immensa forza Giacobbe quando a Betel, luogo della presenza di Dio, esclamò: “Quam terribilis locus iste!” (Gen. XXVIII, 17) reiterando la voce di Dio che parlò a Mosè.
Due anni or sono, in occasione di alcuni disordini scoppiati a Roma ad opera di gruppi specialisti in guerriglia urbana, un giovane, entrato in una chiesa del centro, ne uscì con una statua della Vergine Maria che fu fracassata sul selciato della strada.
Sempre a Roma, tre anni or sono fu riesumata, nella chiesa di S. Apollinare, la salma del famigerato “Renatino” de Pedis, boss della ancor più famigerata “Banda della Magliana”, morto assassinato che, non si sa per quali oscuri maneggi, era ivi stato sepolto.
A Milano, nella antica abbazia benedettina di Chiaravalle, contrariamente alle disposizioni canoniche è, unico laico, sepolto Raffaele Mattioli, già presidente della banca Comit, ateo e gnostico conclamato ed impenitente finale. Ironia della sorte, costui è deposto in quella che era stata la tomba dell’eretica scomunicata Guglielmina la Boema (sec. XIII) che l’Inquisizione aveva, poi, provveduto a traslare in altra terra. Tre chiese che ancora non sono state riconsacrate, con quella benedettina in cui si permette, ancora, la persistenza della salma del Mattioli.
Il magistero tace e, su queste vicende calano il silenzio e l’archiviazione. Ma per i Frati e per le Suore dell’Immacolata. . .!
Perché?
Perché?
Con reverente devozione
13 giugno 2014
P.S. - Le rappresento una richiesta, più che una domanda. Santità, molti fedeli si domandano perché mai Lei calzi scarpe di cuoio nero, fornite di lacci. Se lo chiedono perché le pantofole rosse, di tradizionale e secolare uso, lungi dall’esser considerate un vezzo di abbigliamento, per essi, per noi tutti, rappresentavano, nel colore rosso di segno visibile, i piedi sanguinanti di Gesù sul cammino della Chiesa dei martiri. Ora, la visione di quelle calzature nere ribalta quel sacro significato conferendo alla sua persona non più l’alta funzione di Vicario di Cristo – a cui Lei, peraltro mai accenna – ma quella di un funzionario seppur di elevato rango. Ritorni alle pantofole rosse, e non per esaudire un nostro mero desiderio, ma per tributare a Cristo il dovuto omaggio e per rendere manifesta, anche con tale segno, la partecipazione alla Sua Vita, Passione, Morte e Resurrezione”.
Con devozione
di L. P.
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