Si legge, su varî documenti, che la Chiesa cattolica, ritenendosi – a ragione – l’unica religione salvifica per elezione divina e per deposito di Verità, non ritiene di farne parte organica e che, pertanto, vi figura, come abbiamo scritto, quale osservatrice. Il che, anche al più sprovveduto fedele, suona abbastanza ipocrito ché, se il Magistero ritiene veramente quanto riferito, non dovrebbe nemmeno metterci la punta del becco. Ma tant’è: questo è lo stile del linguaggio conciliare fatto di no/ma, sì/però, mai/tuttavia, quel linguaggio di legno che Romano Amerio definì ‘circiteristico’ (Iota unum – ed. Lindau 2009 pag. 104).
Per quale caso ci siamo, oggi, impegnati a scrivere? Vediamo.
Vogliamo parlare di un altro evento, uno dei tanti che caratterizzano ancor più negativamente la vicenda terrena e la personalità di papa Francesco e che i massmedia mondiali, in ispecie quelli a caratura laicista che giornalmente consumano e bruciano tonnellate di incenso sull’altare dell’adulazione, hanno tenuto sotto coperchio a chiusura ermetica avendone, anche loro, avvertito – ah, quando si dice la percezione dell’indecenza! – l’effetto di rimbalzo negativo nei confronti dell’elogiato.
Fatti ed episodî che, una volta svelati perché sfuggiti alla ferrea censura del ‘politicamente corretto’, ci si dà da fare per rivestirli di positive connotazioni e ragioni pedagogiche, in nome della ‘trasparenza’ ma, soprattutto, all’insegna della ‘normalità umana’ nel cui nome, nell’intervento tenuto all’assise dei Superiori Generali (27/29 novembre 2013 – Salesianum, Roma – Ed. La Civiltà Cattolica, 4 gennaio 2014) egli definisce la vita come ‘realtà complessa’, fatta di grazia e di peccato, per la quale “se uno non pecca non è uomo”. Sicché, anche i vizî privati o le pregresse mancanze personali diventano, per compiaciuta o smascherata esternazione, segnavia modellari assimilati a pubbliche virtù, a necessarie mende collegate alla precarietà complessa della vita, mercé quella sincerità, quella bonomìa che sembrano tipizzare l’intero comportamento dell’attuale pontefice.
Il 9 giugno 2014 –
- Papa Bergoglio ha ricevuto, nel salone del Palazzo Apostolico, e non nella Casa di santa Marta, una delegazione di Indiani Quechuas argentini, una delegazione di cui in appresso diremo cifra culturale e caratura dottrinaria e sociale.
Fra i tanti doni presentati ed offerti, figuravano due bustone, due sacche contenenti foglie di coca su cui papa Bergoglio – horresco referens! – ha steso le mani in segno di palese consacrazione, mimando scandalosamente il rito divino del Santo Sacrificio!!!
Perché ‘scandalosamente’?
Primo, perché da queste foglie si estrae la ‘coca’ – la morte bianca – il cui monopolio, come riferiscono le cronache giornaliere, scatena vere e proprie guerre tra i gruppi e i cartelli della droga. Secondo, perché i Quechuas argentini, e in genere tutti gli abitanti della cordigliera andina che da sempre la masticano come stimolante psicotropo, per gli effetti esilaranti che essa produce stoltamente credono – come i loro antenati precolombiani – che tali foglie siano di origine divina e, per conseguenza, adorano la pianta della coca come una divinità. Stiamo, cioè, nel territorio del paganesimo e dell’animismo tribale.
A questa scena corre parallela un’antica corrispondenza storica, così come la racconta Elemire Zolla (L’androgino, Como 1989) – citato da Piero Vassallo in:Ritratto di una cultura di morte. I pensatori neognostici, Ed. D’Auria, Napoli 1994 pag. 52 – secondo il quale “nelle cerchie naassene di Samaria, l’illuminazione veniva cercata mediante il culto rituale di un serpente e mangiando un pane eucaristico allucinogeno contenente mandragora”.
Contro questi riti si scagliarono i Santi Padri della Chiesa: Ireneo, Epifanio, Clemente i quali compresero i danni fisici ma, soprattutto, quello teologico/morale che ne derivava, come il dissolvimento della fede e la corruzione della ragione. “E’ infatti illusorio sperare che la fede cada sopra il perfetto capovolgimento dell’intelletto. Molto saggiamente Gregorio XVI, un papa infamato a causa della strenua lotta che sostenne contro il dilagare delle tossicodipendenze (dilagare causato scientemente dai mercanti illuminati del liberalismo), impose al clero cinese che fosse negato il battesimo agli oppiomani. È una lezione dura, ma è da essa che occorre ricominciare. La fede è totalmente incompatibile con la follìa. L’umanità moderna non potrà incontrare il Salvatore se non avrà prima riconosciuto il Padre. È questa la vera gnosi” (Piero Vassallo: Ritratto di una cultura di morte,cit. pag. 38).
In direzione totalmente opposta si è, invece, mosso il Presidente della Multinazionale Cattolica WCC, alias il Papa della Cristianità, il quale, col suo gesto, ha direttamente legittimato l’uso immediato che di quelle foglie si fa e, indirettamente ma non meno gravemente, il suo più nocivo derivato, la polvere di coca cioè.
Ma è così difficile avvertire dove comincia e termina il confine del lecito e dell’opportuno? Anche l’antica saggezza pagana sapeva che esistono dei limiti oltre e al di qua dei quali non può esistere il bene. Recita Orazio “Est modus in rebus, sunt certi denique fines/quos ultra citraque nequit consistere rectum” (Sat. 1, 1, 106).
Ma chi e che cosa rappresentava quella delegazione?
Quella delegazione rappresentava un’associazione socio/politica, la TUPAC AMARU – Argentina, il cui presidente e capo riconosciuto è tale Milagro Sala. Lo statuto sociale del gruppo ha per fine la costruzione di case per gli emarginati, per coloro il cui reddito non consente di possedere un tetto. Nobile scopo che sottoscriviamo con entusiasmo specie se perseguito nel nome di Gesù, come ordina San Paolo. “Quodcumque facitis, ex animo operamini sicut Deo et non hominibus, scientes quod a Domino accipietis retributionem haereditatis. Domino nostro Christo servite” (Col. 3, 23/24) – Qualunque cosa fate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che quale ricompensa, riceverete dal Signore l’eredità. Servite a Cristo Signore.
Senonché . . . sullo stemma dell’associazione spiccava – e spicca tutt’ora, crediamo – la funesta, oleografica figura del mai troppo esecrato Ernesto ‘Che’ Guevara, terrorista e guerrigliero ‘longa manus’ di Fidel Castro, responsabile dell’assassinio di centinaia di campesinos, secondo per ferocia soltanto all’indiano Tupac Amaru, ultimo inca a cui si richiamò il MLN (Movimiento de Liberaciòn Nacional) di indirizzo e prassi marxista/leninista che terrorizzò l’Uruguay dal 1973 al 1985. Capite? Che Guevara!!
Senonchè . . . questa associazione si è schierata, con forte accento e netta partecipazione, a favore dell’omosessualità, deliberando la destinazione di 100 e più abitazioni alla LGBT e promovendo il ‘Gay Pride Parade’ svoltosi il 29 giugno 2014, cioè venti giorni dopo l’udienza papale, in San Salvador de Jujuy dove Tupac Amar ha il suo quartier generale. In . . . San Salvador. . .!!!
Senonchè . . . la sciarpa che Milagro indossava – un manufatto arcobaleno – lungi dal rappresentare un tipico prodotto quechua, era, ed è, il simbolo della comunità omosessuale, lo stesso che in formato bandiera l’indegno prete don Gallo di losca memoria, stendeva sull’altare del Sacrificio di Cristo.
Ora, noi non possiamo pensare che papa Bergoglio non si sia informato dell’identità di questa associazione, né dei suoi scopi sociali né del significato di quanto era stato donato ed esposto. La sua consenziente disponibilità a benedire quelle ‘offerte’ ci dice che fosse, eccome, consapevole dell’inopportunità di concedere, nell’augusto salone del palazzo Apostolico, siffatta udienza alla predetta delegazione cui pertanto riconosceva la cifra e la discendenza dalla ‘teologìa della liberazione’.
Ancora una volta un gesto di rottura con il bimillenario magistero della Chiesa; ancora una volta la prevaricazione della prassi antropologica sulla dogmaticità; ancora una volta l’accettazione e lo sdoganamento di ideologìe e dottrine nemiche di Dio ed amiche del mondo; ancora una volta un volontario, illegittimo riconoscimento di patente evangelicità attribuita a gruppi e movimenti eversori che sono, perciò, in guerra con la Parola di Dio.
In un nostro precedente servizio – L’insostenibile leggerezza del pensiero bergogliano – esaminammo l’arbitraria connotazione di una carità cristiana e di un sano e santo pauperismo che, a detta del papa, il marxismo, rubandola al Cristianesimo, avrebbe espresso nel suo contesto politico/sociale, e stampandola nella sua bandiera. Un deprecabile errore ed un’altrettanto deprecabile ignoranza storica, così come deprecabile è quello testè descritto. Aver benedetto le foglie di coca, aver fatto entrare nei Palazzi Apostolici la trista e dannata figura del simbolo del terrorismo marxista, aver abbracciato e baciato l’esponente della campagna pro/omosessuali e il suo straccio arcobaleno, ci dice che papa Bergoglio non incappa in errori di prospettiva per troppa bontà, accoglienza e misericordia ma che, con calcolata programmazione prepara, per il prossimo Sinodo di ottobre, la rivoluzione nella Chiesa.
Sempre che QUALCUNO glielo permetta fino in fondo. Ma: Non praevalebit!
Exsurge Domine!
di L. P.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV863_L-P_Erba_diavolo_erba_santa.html
Mi sembra di essere in una barca in alto mare in mezzo alla tempesta, e di stare facendo naufragio, con il capitano che invece di stare al timone , e di aiutare l' equipaggio e le persone , se ne già andato con il veloce motoscafo tante ore prima; e noi stiamo andando a sbattere contro gli scogli. Si salvi chi può
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