Avete più visto suor Cristina? No?
Meglio così
Ma che fine ha fatto suor Cristina? All’ora del suo maggior trionfo mi
chiedevo: riuscirà suor Cristina Scuccia da Comiso a evangelizzare il
mondo dello spettacolo? Le auguravo di sì, anche se qualche addetto ai
lavori dello showbiz si domandava se il suo successo mondiale fosse
dovuto alle capacità canore o all’abito che portava. Certo, i precedenti
non incoraggiavano. Ci fu a suo tempo, fra Cionfoli, terziario
francescano, che addirittura calcò le passerelle di Sanremo. Anche
allora, sorpresa, interviste, clamore. E lui, ieri come oggi, parlava di
«dono», parola-talismano che, ieri come oggi, manda in solluchero i
preti e li rende favorevoli senza se e senza ma pure all’espianto degli
organi.
L’abuso del termine, oggi, equivale a quello che negli anni Settanta teneva banco
nel clero: «profetico». Qualsiasi posizione o gesto che fosse al limite
dell’ortodossia o anche oltre veniva acclamato da certuni come
«profetico». Oggi, invece, è tutto un «dono»: la visita del vescovo, una
lettera pastorale, una nuova enciclica, il saluto scritto del cardinale
eccetera. Vabbe’, torniamo a noi. Fra Cionfoli, passato il suo momento,
rientrò nell’oblio e risulta che oggi sia un tranquillo padre di
famiglia. Negli stessi anni i rotocalchi riportavano notizie e foto su
quello che era considerato il cappellano del mondo dello spettacolo,
frate Eligio, che accompagnava il calciatore Rivera perfino in
discoteca. In quest’ultimo caso non indossava il saio ma un più comodo
look adatto alla circostanza, sia pur di color marrone francescano. Con
tutta la sua buona volontà, nemmeno lui riuscì nell’impresa di
evangelizzare l’ambiente e finì col ritirarsi in buon ordine. Erano i
tempi della «conversione» di Celentano, il che è tutto dire. Ho
conosciuto personalmente un sacerdote espressamente incaricato di
seguire quel mondo, un compianto monsignore, sociologo nell’ateneo
pisano. In occasione di un incontro, confidò a noi, pubblico ristretto,
il suo pratico flop. Anzi, disse che, quando nelle sue lezioni di
spiritualità per artisti accennava al sesto e al nono comandamento, lo
pregavano nemmeno tanto velatamente di parlare d’altro. Il fatto è che
si tratta di un mondo per definizione trasgressivo, nel quale, anzi,
molti hanno fondato vistose carriere proprio sulla trasgressione
pubblica e privata.
Nel campo della musica, un settore rimasto abbastanza indenne è quello della lirica
e della sinfonica, per via della severa disciplina personale richiesta.
Ma la nostra orsolina Cristina ha scelto il pop. Auguri. Certi
ambienti, va detto, sembrano realmente imbattezzabili. É ormai lontano
il ricordo dei preti-operai, esperimento che la Chiesa permise -
soprattutto in Francia e, successivamente, in Italia - negli anni
Quaranta e Cinquanta, con qualche appendice nei primi Sessanta.
L’esperimento fallì in pieno, perché quei preti, entrati in fabbrica per
evangelizzare, tornarono evangelizzati dal verbo di Marx e del
sindacalismo socialista. L’ambiente era davvero proibitivo. Meglio
aspettarli fuori, gli operai. Così come fece il Servo di Dio Felice
Prinetti (1842-1916), sacerdote Oblato di Maria Vergine, quando gli
venne assegnata la parrocchia del quartiere operaio dominato dal
sindacalismo anarchico.
Ogni giorno si sedeva su una panca della sua chiesa col borsellino accanto e aspettava. Poiché
i sindacalisti erano buoni solo ad aizzare allo sciopero, le mogli
degli operai, di nascosto, ricorrevano alla carità del prete quando la
tavola piangeva o non avevano i soldi per le medicine ai figli. Poco
alla volta anche i loro mariti si ammorbidirono e, in qualche anno, andò
a finire che quel quartiere «rosso» divenne «bianco». E pensare che, al
suo arrivo, il Prinetti era stato accolto con aggressioni e attentati
(chi vuol saperne di più può leggere la biografia che gli ho dedicato, Ufficiale e sacerdote, Paoline 1994).
Uno che, per necessità, era costretto a battere cassa in ambienti poco adatti a un
sacerdote era don Bosco. Quando veniva invitato nei salotti dell’alta
società, per prima cosa invitava le dame presenti a coprire le loro
vistose scollature: in caso contrario si sarebbe visto costretto ad
andarsene, e pazienza per la raccolta-fondi. Potremmo continuare con gli
esempi, ma avvertendo che, pur prescindendo dalla santità, si è sempre
trattato di forti personalità. Che però hanno preferito non entrare ma,
appunto, aspettare fuori chi era dentro. Si chiama prudenza, ed è una
virtù cardinale.
Nel nostro caso, la personalità adeguata dovrebbe averla suor Scuccia, la prudenza i suoi superiori. Detto questo, de hoc satis:
non sta a noi giudicare. Staremo a vedere. Il tempo, si sa, è
galantuomo. Infatti, è molto probabile che, come si dice nel gergo
televisivo, suor Cristina sia stata solo una «meteora». Forse la si
rivedrà nella rubrica «indovina chi è» del programma di amarcord Techetechetè.
Nel frattempo, l’unico a mantenerne viva la memoria è il Gabibbo. In
data 7 agosto si legge sui giornali un «si dice». Si dice che i
superiori della suora abbiano negato il nulla osta alla sua
partecipazione a Sanremo, con prevedibile delusione dell’editore
musicale, già pronto ad adattare a sala d’incisione uno spazio del
convento. Forse, in effetti, si stava esagerando…
abbiate pietà!!!!!non ricordate queste tragedie...... fatele cadere nell'oblio!!!!quanto fango sulla chiesa!!!una suora che canta e fa segni luciferini.....pietà di noi Signore!!
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