Catechismo della Chiesa cattolica (2309): giustificazione della «legittima difesa con la forza militare» sottoposta ovviamente ad alcune condizioni. Che l’uso della forza sia l’extrema ratio; che il danno da cui difendersi deve essere durevole, grave e certo; che ci sia speranza di successo; che la risposta difensiva non deve provocare più danni di quelli che si vogliono evitare. Sempre il Catechismo al n. 2310 così si esprime: «I pubblici poteri, in questo caso [laddove siano presenti tutte le condizioni previste], hanno il diritto e il dovere di imporre [sic] ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale».
Gaudium et Spes (79): «fintantoché esisterà il pericolo della guerra […] una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati […]. Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace».
Populorum progressio (31): «sappiamo che l'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove ingiustizie»: in questo caso si legittima la guerra civile a patto che ricorrano le condizioni ivi descritte.
Libertatis conscientia, documento della Congregazione per la Dottrina della fede (78-79): «La lotta contro le ingiustizie non ha senso, se non è condotta con l'intento di instaurare un nuovo ordine sociale e politico in conformità con le esigenze della giustizia. […] Questi princìpi devono essere rispettati in modo speciale nel caso estremo del ricorso alla lotta armata, che il magistero ha indicato quale ultimo rimedio per porre fine a una ‘tirannia evidente e prolungata, che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un Paese’».
Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (502): «Le esigenze della legittima difesa giustificano l'esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace. Ogni persona che presta servizio nelle forze armate è concretamente chiamata a difendere il bene, la verità e la giustizia nel mondo; non pochi sono coloro che in tale contesto hanno sacrificato la propria vita per questi valori e per difendere vite innocenti».
Messaggi di Natale del 1948 di Pio XII (28): «Un popolo minacciato o già vittima di una ingiusta aggressione, se vuole pensare ad agire cristianamente non può rimanere in una indifferenza passiva; tanto più la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplici spettatori in un atteggiamento d'impassibile neutralità. Chi potrà mai valutare i danni già cagionati in passato da una tale indifferenza, ben aliena dal sentire cristiano, verso la guerra di aggressione?».
Discorso per le Celebrazioni per il 60° anniversario dello sbarco in Normandia, 4 Giugno 2004 del Card. Joseph Ratzinger: «La pace e il diritto, la pace e la giustizia sono inseparabilmente connessi. Quando il diritto è distrutto, quando la giustizia prende il potere, la pace è sempre minacciata ed è già, almeno in parte, compromessa. Certamente la difesa del diritti può e deve, in alcune circostanze, far ricorso ad una forza commisurata. Un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza».
Le parole di Ratzinger e di Pio XII sottintendono un principio importante in morale: non impedire un evento, che si ha la responsabilità di impedire, equivale a cagionarlo. Qualora una nazione venga aggredita, gli atti omissivi di uno Stato in rapporto alla difesa nazionale o di altre nazioni che potrebbero intervenire, che determinassero un’invasione ingiusta, sarebbero imputabili allo Stato stesso o ai Paesi renitenti. Non impedire un’aggressione, anche con l’uso della forza, significa collaborare indirettamente all’aggressione stessa, rendersi responsabili della mancanza di pace futura.
Non c’è solo il Magistero che si esprime a favore della guerra difensiva ma anche i santi. Ne prendiamo due, icone di un certo irenismo molto alla moda, san Francesco e Padre Pio. Partiamo dal primo e andiamo a leggere nella Legenda major cosa si dissero il santo di Assisi e il sultano Al-Kamil nel loro famoso incontro. Il sultano così si rivolge a Francesco: «Il vostro Dio ha insegnato nei suoi Vangeli che non si deve rendere male per male. [...] Quanto più dunque i cristiani non devono invadere la nostra terra?». È la tipica obiezione che potrebbe venire oggi dai cristiani pacifisti. Ecco la risposta di Francesco: «Non sembra che abbiate letto per intero il Vangelo di Cristo nostro Signore. Altrove dice infatti: ‘Se un tuo occhio ti scandalizza, cavalo e gettalo lontano da te, con il che ci volle insegnare che dobbiamo sradicare completamente un uomo per quanto caro o vicino — anche se ci fosse caro come un occhio della testa — che cerchi di toglierci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Per questo i cristiani giustamente attaccano voi e la terra che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quelli che potete. Se però voleste conoscere il creatore e redentore, confessarlo e adorarlo, vi amerebbero come loro stessi».
Infine Padre Pio. Ecco cosa pensava il santo di Pietrelcina della guerra: «Noi siamo tutti chiamati a compiere il penoso dovere, rappresentato dalla guerra. Dobbiamo fare tutto il nostro dovere a seconda delle nostre forze, dobbiamo cooperare al bene comune, e renderci propizia la misericordia del Signore. L'ora solenne che la Nazione nostra attraversa non è un abbandono del cielo. La più grande misericordia di Dio si è il non lasciare in pace con se stesse quelle Nazioni che non sono in pace con Dio. Misere quelle Nazioni colle quali il Signore non più parla, neanche col pacifico sdegno, poiché è segno che esse sono state rigettate da lui» (Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario I [1910-1922] a cura di M. da Poblatura e A. da Ripabottoni, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 2004).
di Tommaso Scandroglio 20-08-2014
Cacciari: il Papa abbandona l'idea di "guerra giusta" di Wojtyla
20 Agosto 2014 - 09:36
"Io dal Papa mi aspetto qualcosa di piu', valori assoluti" (ASCA) - Roma, 20 ago 2014 - Parlando di liceita' a fermare, anche militarmente, gli jihadisti dell'Is in Iraq, Papa Francesco "ha abbandonato completamente l'idea cattolica di 'guerra giusta'", secondo Massimo Cacciari: "Quando io stablisco che la guerra deve essere fondata sul diritto internazionale, il cui organo effettivo e' rappresentato dalle Nazioni Unite, non ha piu' senso parlare di 'guerra giusta'. La categoria di giusto non ha a che fare con il diritto positivo". Il filosofo, ex sindaco di Venezia, afferma in un'intervista a Repubblica: "La posizione di Francesco e' fragilissima. La sua e' una posizione che potrebbe sostenere un Renzi o una Merkel. Se mi permette, io dal Papa mi aspetto qualcosa di piu', ossia che mi dica che bisogna intervenire sulla base di valori considerati assoluti. Un grande Papa medievale, se ci fosse un eccidio di cristiani come quello in atto, tenderebbe alla crociata. Per fortuna l'attuale papa non lo e'. Francesco ragiona in termini realistici. Pero' pone alla Chiesa un problema teologico". Anche Wojtyla sostenne l'intervento militare a Sarajevo: "Ma la sua - afferma Cacciari - era ancora un'idea tradizionale di 'guerra giusta'. Wojtyla e' stato l'ultimo grande Papa medievale, che ha chiuso un secolo straordinario. La sua storia appartiene alle tragedie del Novecento. E' stato il Papa che ha sfidato l'impero comunista. Francesco e' il Papa gesuita che percepisce con grande realismo il tramoto dell'Occidente. E teme che il conflitto iracheno possa rendere difficile l'evangelizzazione soprattutto in quelle zone". In questo senso, secondo il filosofo, "la Chiesa cattolica conlfuisce sulle posizioni del diritto positivo che sono proprie dei laici. E non e' un caso che a compiere questo passaggio sia un papa gesuita: e' la posizione di chi vuole contare - secondo la tradizione di quell'ordine - sul piano politico dell'immanenza". Ska
Massimo Cacciari: «Le parole del papa su guerra e pace? Una svolta radicale per la chiesa cattolica»
La Repubblica
La Repubblica
(Simonetta Fiori) «Si tratta di una svolta radicale nella teologia politica della Chiesa. Per la prima volta Francesco abbandona l’idea cattolica di “guerra giusta”». Massimo Cacciari interpreta come «una novità epocale» le parole del pontefice sulla tragedia irachena.
Il Papa ha sostenuto che è lecito fermare la violenza dei seguaci del califfato islamico. Fermare, non fare la guerra. E i modi in cui fermarla devono essere decisi dalle Nazioni Unite. Si appella in sostanza a un organismo internazionale.
«Ma questo è un bel problema. Un Papa che si mette a ragionare in termini realistici, e sulla base di diritti positivi, una questione teologica la pone. La mia non è una critica. Solo una constatazione delle colossali trasformazioni dentro la Chiesa».
A cosa di riferisce?
«Con quelle parole papa Francesco ha abbandonato completamente l’idea cattolica di “guerra giusta”. Quando io stabilisco che la guerra deve essere fondata sul diritto internazionale, il cui organo effettivo è rappresentato dalle Nazioni Unite, non ha più senso parlare di “guerra giusta”. La categoria di giusto non ha a che fare con il diritto positivo».
Sta dicendo che il giusto ha a che fare con valori assoluti?
«Ma certo. La dignità teorica e teologica della “guerra giusta” è fondata su valori assoluti e irrelativi, che non vengono decisi dalle Nazioni Unite».
Lei si riferisce al principio di bellum iustum di Sant’Agostino, che traeva la legittimità della guerra non dal diritto ma dalla volontà di Dio?
«Sì, lei lo dice in termini più radicali, ma è così. Per parlare di “guerra giusta” devo riconoscere in Dio la volontà di quel conflitto, non affidarmi al diritto internazionale, che nasce dall’accordo tra diritti positivi nazionali».
Papa Francesco non parla mai di “guerra giusta”, anzi respinge la parola “guerra”. Ed esclude i bombardamenti. Ma la sua posizione teorica non sembra distante dalla nozione di “guerra giusta” elaborata da Norberto Bobbio, che era fondata su basi giuridiche: l’intervento militare può essere un mezzo per difendere il diritto dei popoli aggrediti.
«Sì, c’è analogia. Bobbio esprimeva un principio laico per il quale è necessario l’intervento militare per salvaguardare i diritti umani. Ma se è corretto quello che abbiamo detto finora — ossia che Francesco considera legittimo un intervento nella misura in cui viene deciso dall’Onu — siamo in presenza di una laicizzazione dell’idea cattolica di “guerra giusta”. Non vedo differenze neppure con la posizione sostenuta da tutti i governi europei durante le guerre del Golfo. Si tratta di una banalizzazione laicista della “guerra giusta”».
Ma perché “banalizzazione”? Un Papa non può invocare una guerra, allora cerca di dare la sveglia ai governi.
«Ma io parlo dal punto di vista della teologia politica: la posizione di Francesco è fragilissima. La sua è una posizione che potrebbe sostenere un Renzi o una Merkel. Se mi permette, io dal Papa mi aspetto qualcosa di più, ossia che mi dica che bisogna intervenire sulla base di valori considerati assoluti. Un grande papa medioevale, se ci fosse un eccidio di cristiani come quello in atto, tenderebbe alla crociata. Per fortuna l’attuale papa non lo è. Francesco ragiona in termini realistici. Però pone alla Chiesa un problema teologico».
Anche Wojtyla aveva sostenuto negli anni Novanta la necessità dell’intervento militare come extrema ratio. E davanti all’assedio di Sarajevo usò la stessa formula di Francesco: fermiamo gli aggressori ingiusti.
«Ma la sua era ancora un’idea tradizionale di “guerra giusta”. Wojtyla è stato l’ultimo grande papa medioevale, che ha chiuso un secolo straordinario. La sua storia appartiene alle tragedie del Novecento. È stato il papa che ha sfidato l’impero comunista. Francesco è il papa gesuita che percepisce con grande realismo il tramonto dell’Occidente. E teme che il conflitto iracheno possa rendere difficile l’evangelizzazione soprattutto in quelle zone».
Nel Novecento il rapporto tra Chiesa cattolica e guerra è stato controverso. Benedetto XV stigmatizzò la Grande Guerra come “inutile strage”, ma i cappellani militari in trincea usavano le immaginette per promuovere il conflitto.
«Certo. Ma questa è la storia, che ripropone le contraddizioni della Chiesa. Oggi noi assistiamo a un grande passaggio culturale: per quanto concerne le questioni della pace e della guerra, la Chiesa cattolica confluisce sulle posizioni del diritto positivo che sono proprie dei laici. E non è un caso che a compiere questo passaggio sia un papa gesuita: è la posizione di chi vuole contare — secondo la tradizione di quell’ordine — sul piano politico dell’immanenza ».
È significativa anche l’enfasi che ha posto sulla “terza guerra mondiale”.
«La guerra mondiale è un conflitto tra grandi potenze, qui che c’entra? Però il pontefice ha voluto avvertirci: guardate che le guerre stanno dilagando, non possiamo assistere impotenti alle stragi quotidiane. Manca il katéchon , la forza per tenere a freno stermini e genocidi. Il Papa si richiama a questa forza».
fonte
Il Papa ha sostenuto che è lecito fermare la violenza dei seguaci del califfato islamico. Fermare, non fare la guerra. E i modi in cui fermarla devono essere decisi dalle Nazioni Unite. Si appella in sostanza a un organismo internazionale.
«Ma questo è un bel problema. Un Papa che si mette a ragionare in termini realistici, e sulla base di diritti positivi, una questione teologica la pone. La mia non è una critica. Solo una constatazione delle colossali trasformazioni dentro la Chiesa».
A cosa di riferisce?
«Con quelle parole papa Francesco ha abbandonato completamente l’idea cattolica di “guerra giusta”. Quando io stabilisco che la guerra deve essere fondata sul diritto internazionale, il cui organo effettivo è rappresentato dalle Nazioni Unite, non ha più senso parlare di “guerra giusta”. La categoria di giusto non ha a che fare con il diritto positivo».
Sta dicendo che il giusto ha a che fare con valori assoluti?
«Ma certo. La dignità teorica e teologica della “guerra giusta” è fondata su valori assoluti e irrelativi, che non vengono decisi dalle Nazioni Unite».
Lei si riferisce al principio di bellum iustum di Sant’Agostino, che traeva la legittimità della guerra non dal diritto ma dalla volontà di Dio?
«Sì, lei lo dice in termini più radicali, ma è così. Per parlare di “guerra giusta” devo riconoscere in Dio la volontà di quel conflitto, non affidarmi al diritto internazionale, che nasce dall’accordo tra diritti positivi nazionali».
Papa Francesco non parla mai di “guerra giusta”, anzi respinge la parola “guerra”. Ed esclude i bombardamenti. Ma la sua posizione teorica non sembra distante dalla nozione di “guerra giusta” elaborata da Norberto Bobbio, che era fondata su basi giuridiche: l’intervento militare può essere un mezzo per difendere il diritto dei popoli aggrediti.
«Sì, c’è analogia. Bobbio esprimeva un principio laico per il quale è necessario l’intervento militare per salvaguardare i diritti umani. Ma se è corretto quello che abbiamo detto finora — ossia che Francesco considera legittimo un intervento nella misura in cui viene deciso dall’Onu — siamo in presenza di una laicizzazione dell’idea cattolica di “guerra giusta”. Non vedo differenze neppure con la posizione sostenuta da tutti i governi europei durante le guerre del Golfo. Si tratta di una banalizzazione laicista della “guerra giusta”».
Ma perché “banalizzazione”? Un Papa non può invocare una guerra, allora cerca di dare la sveglia ai governi.
«Ma io parlo dal punto di vista della teologia politica: la posizione di Francesco è fragilissima. La sua è una posizione che potrebbe sostenere un Renzi o una Merkel. Se mi permette, io dal Papa mi aspetto qualcosa di più, ossia che mi dica che bisogna intervenire sulla base di valori considerati assoluti. Un grande papa medioevale, se ci fosse un eccidio di cristiani come quello in atto, tenderebbe alla crociata. Per fortuna l’attuale papa non lo è. Francesco ragiona in termini realistici. Però pone alla Chiesa un problema teologico».
Anche Wojtyla aveva sostenuto negli anni Novanta la necessità dell’intervento militare come extrema ratio. E davanti all’assedio di Sarajevo usò la stessa formula di Francesco: fermiamo gli aggressori ingiusti.
«Ma la sua era ancora un’idea tradizionale di “guerra giusta”. Wojtyla è stato l’ultimo grande papa medioevale, che ha chiuso un secolo straordinario. La sua storia appartiene alle tragedie del Novecento. È stato il papa che ha sfidato l’impero comunista. Francesco è il papa gesuita che percepisce con grande realismo il tramonto dell’Occidente. E teme che il conflitto iracheno possa rendere difficile l’evangelizzazione soprattutto in quelle zone».
Nel Novecento il rapporto tra Chiesa cattolica e guerra è stato controverso. Benedetto XV stigmatizzò la Grande Guerra come “inutile strage”, ma i cappellani militari in trincea usavano le immaginette per promuovere il conflitto.
«Certo. Ma questa è la storia, che ripropone le contraddizioni della Chiesa. Oggi noi assistiamo a un grande passaggio culturale: per quanto concerne le questioni della pace e della guerra, la Chiesa cattolica confluisce sulle posizioni del diritto positivo che sono proprie dei laici. E non è un caso che a compiere questo passaggio sia un papa gesuita: è la posizione di chi vuole contare — secondo la tradizione di quell’ordine — sul piano politico dell’immanenza ».
È significativa anche l’enfasi che ha posto sulla “terza guerra mondiale”.
«La guerra mondiale è un conflitto tra grandi potenze, qui che c’entra? Però il pontefice ha voluto avvertirci: guardate che le guerre stanno dilagando, non possiamo assistere impotenti alle stragi quotidiane. Manca il katéchon , la forza per tenere a freno stermini e genocidi. Il Papa si richiama a questa forza».
fonte
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.