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martedì 12 agosto 2014

Yes, of course! No lodge?

Alla BBC ha fallito. E adesso ci prova con i media vaticani

    patten
    Nominato a sorpresa lo scorso 9 luglio presidente del comitato per la riforma dei media vaticani, Lord Christopher Patten, una star del conservatorismo inglese, cresciuto alla scuola di Margareth Thatcher, non sembrerebbe l’uomo più adatto a ricoprire questo ruolo, per i puristi della Chiesa “povera per i poveri”.
    Ma ha provveduto il cardinale George Pell, nuovo numero uno dell’amministrazione della Santa Sede, a dissipare questi scrupoli.
    In un’ampia intervista del 6 agosto al Catholic News Service, l’agenzia on line della conferenza episcopale degli Stati Uniti, Pell ha detto che se si vogliono soccorrere i poveri bisogna pur avere dei soldi e farli fruttare:

    “Ricordo una battuta di Margaret Thatcher sul buon Samaritano, che se non era un pochino capitalista, se non aveva i suoi bei soldi, non avrebbe potuto portare alcun aiuto”.
    Per quanto riguarda il futuro dei media vaticani, Pell ha fatto balenare dei tagli là dove “uno sproporzionato ammontare di spesa va a mezzi d’informazione che hanno pochi utenti”. Ma ha detto che di questo non si si occuperà lui e di lasciar lavorare Lord Patten, forte dei suoi tre anni di presidenza della BBC.
    Il Lord inglese entrerà in azione “subito dopo l’estate”. Ma come e perché è arrivata la sua nomina? Quali sono le sue credenziali? È davvero lui l’uomo giusto?
    A leggere il profilo che ne ha tracciato William Ward, veterano del giornalismo britannico, su “Il Foglio” del 12 agosto, più di un dubbio viene.
    *
    IL CARDINALE PATTEN
    di William Ward
    Come molti suoi omologhi continentali, Christopher Patten sembra possedere un tocco da Re Mida “pro domo sua”, nel saper trasformare una lunga catena di pasticci, mezzi fallimenti e totali insuccessi in dorati gettoni di fiducia e stima da parte di molte persone che contano nel mondo, così da acquistare una reputazione globale formidabile, paragonabile a quella di Henry Kissinger o Bill Clinton. Dettaglio curioso – ma non troppo – è l’ammirazione quasi universale di cui gode fra la gente che conta in patria, e la straordinaria stima tributatagli dai media della sinistra salottiera, la Liberal Left, lui che è politico conservatore, un fedelissimo di Margaret Thatcher.
    In un editoriale del 9 luglio scorso il “Guardian” – normalmente spocchiosamente ostile nei confronti sia della Chiesa cattolica romana che del Partito conservatore britannico – si è sperticato nelle lodi di Patten, considerando la scelta del Vaticano “astonishing” e azzardando uno stretto paragone fra il vecchio politico britannico e il dinamico pontefice argentino: “Lord Patten porta al suo nuovo incarico un’esperienza senza paragone nel gestire con eleganza il declino di alcuni enti prestigiosi ma ormai sclerotici come il partito conservatore, la BBC e persino l’impero britannico: queste sue capacità verranno sfruttate al massimo nel suo new job”. Bontà sua: il Vaticano quasi come un “Stato fallito” che sta per essere salvato dal coraggioso supereroe britannico.
    Ma se andiamo a vedere nei particolari i suoi meriti e la sua storia, magari cercando di capire alcune cose sfuggite a papa Francesco o al cardinale George Pell – che lo hanno chiamato per essere capo della nuova commissione della Santa Sede composta di undici saggi, sperando che egli porti il suo “prezioso know how” acquistato alla presidenza della BBC – se ne scoprono delle belle.
    Certo, la BBC con la sua formidabile reputazione di “broadcaster più autorevole e più famoso del mondo”, che trasmette all’estero fra radio e televisione in quasi trenta diverse lingue – il BBC World Service – sarebbe per molti versi un buon punto di riferimento per il servizio mediatico d’oltre Tevere. Ma i tre anni passati nell’ufficio più importante di Broadcasting House, l’imponente sede art déco in Upper Regents Street nel centro di Londra, sono stati un totale fiasco, sia per lui che per l’azienda, nonché per chi ci lavora.
    Patten era stato chiamato nella primavera del 2011 per diventare il presidente della BBC Trust, la vigilanza dell’ente radiotelevisivo britannico, dal governo presieduto da David Cameron e dall’allora ministro per la cultura e i media, il tory di destra Jeremy Hunt. La BBC si trovava in crisi economica, strategica e morale da diversi anni e Patten era “di gran lunga il candidato più autorevole disponibile” secondo Cameron. Le attese erano altissime, e come sempre, i peana dei media di sinistra generosissimi: Steve Hewlett (da anni il media editor della BBC) sul “Guardian” titolò fiduciosamente: “Lord Patten is the man for the job at the BBC trust”, spiegando come “i colleghi più intimi a Oxford, dove egli è rettore, sottolineano il suo impegno e le sue capacità a comunicare il significato globale dell’istituzione a un pubblico più vasto”. Ma nei tre anni successivi, fino alle sue dimissioni il 6 maggio di quest’anno (a causa di impellenti cure per un problema cardiaco, secondo la versione ufficiale, ma considerate piuttosto diplomatiche da molti commentatori bene informati) la sua presidenza dell’ente radiotelevisivo più prestigioso del mondo è stata di gran lunga la peggiore, la più imbarazzante e inetta nella storia più che settantennale della BBC. Ripetutamente, ha cercato di influenzare gli eventi e le persone all’interno della struttura esecutiva dell’ente oltre i limiti e ha evitato di accettare responsabilità per i suoi errori, cercando di delegare la colpa ad altri.
    Che avesse litigato con un direttore generale ultrapagato e dalle decisioni piuttosto opache come Mark Thompson (finito poi ceo del “New York Times”) non sarebbe stato uno scandalo, se l’irruente e autoreferenziale Patten non l’avesse trasformato in una faida quasi personale. Al suo posto, Patten aveva un suo candidato in pectore, che in seguito ai colloqui di facciata con gli altri candidati è stato regolarmente premiato con l’incarico esecutivo più prestigioso e potente dell’intera industria mediatica britannica ed europea: un tale di nome George Entwistle, con anni di valida esperienza nella produzione di news e documentari, ma nessunissima capacità dimostrata nelle scienze amministrative, e idem per quanto riguarda l’arte politica nel gestire i complessi e delicati rapporti con il parlamento, il governo e altre autorità. Il povero Entwistle diventò presto per i media “Patten’s poodle” – barboncino, cagnolino – fin quando, nel giro di qualche settimana della sua incertissima direzione generale esplose il più grave scandalo etico nella storia della corporation: l’affaire Jimmy Savile.
    Savile era stato – fino alla sua morte nell’ottobre 2011 – per molti lustri il più famoso disc jockey e il più amato presentatore “giovanilista” (la morte lo colse a 75 anni) britannico, e solo dopo il decesso si era scoperto che dietro la facciata impertinente e buffonesca ci fosse un pedofilo predatore e instancabile. Una serie di “si dice” circolava sotto voce da decenni alla BBC e nel mondo dello spettacolo britannico, ma nessuno sembrava sapere con certezza qualcosa. Per un paese che da oltre un decennio è in preda al panico collettivo rispetto alla pedofilia, sembrava stranissimo che a Natale di quell’anno un lungo documentario investigativo su di lui preparato da un paio di giornalisti della Newsnight – ammiraglia delle analisi della BBC – fosse soppresso a favore di un generico programma nostalgico in chiave positiva sull’inquietante showman. Quando la verità sui misfatti di Savile emersero sugli altri canali tv e nei tabloid, la BBC – nella persona del suo nuovo dg Entwistle – finì nell’occhio del ciclone. La reputazione per l’integrità deontologica, il coraggio e incisività nel trovare le verità occultate – da sempre fiore all’occhiello delle redazioni di Broadcasting House – furono messe pesantemente in dubbio. Poi, in un grottesco tentativo di raddrizzare la barca capovolta, Newsnight trasmise un servizio isterico e calunnioso su un orfanotrofio in Galles, dove “diversi personaggi politici”, compreso un ex tesoriere del partito conservatore, Lord MacAlpine, vennero accusati di mostruosi atti sessuali contro minorenni. E il presidente della BBC, l’uomo tanto osannato dai media di sinistra, e chiamato al Vaticano da papa Francesco e dal cardinale Pell, uomini di Chiesa che del fustigare i “crimina graviora” della pedofilia si sono fatti una santa missione, che fece? Mantenne per diverse settimane un atteggiamento di malcelato disdegno nei confronti di chi gridava allo scandalo e all’incompetenza.
    Per un po’, Patten ha cercato di salvare il suo protetto Entwistle, il quale invece, in seguito a un’intervista in diretta a Today – il celebre programma di news mattutino di BBC Radio 4, la più prestigiosa in Inghilterra – nel quale John Humphrys lo umiliò e massacrò con domande sui casi congiunti Savile-MacAlpine alle quali Entwistle non seppe rispondere – si dimise, dopo soltanto 54 giorni di servizio. Un fiasco per la BBC, una tragedia personale per il fido Entwistle. Per un qualsiasi altro presidente della corporation sarebbero arrivate le dimissioni. Ma ciò non avvenne per il Re Mida Patten. Non solo: presiedette a una serie di trasmissioni commemorative per il Diamond Jubilee della regina Elisabetta talmente frivole e banali che la gente stentava a credere che fossero prodotte dalla BBC, da decenni specializzata in reportage “reali” insieme autorevoli e di facile consumo. Davanti alla valanga di critiche, silenzio.
    E ancora. Un ambiziosissimo progetto di digitalizzare tutti i sistemi informatici e il materiale d’archivio della corporation è stato alla fine abbandonato perché “totalmente impraticabile” dopo molti mesi di critiche da parte degli esperti del settore. Chiamato esplicitamente da Cameron nel 2011 per mettere ordine amministrativo nella BBC, per ridurre le spese eccessive e per correggere il significativo “political bias” – l’inclinazione editoriale di tutte le sue trasmissioni verso le opinioni e le tesi care alla sinistra salottiera – Lord Patten ha fallito clamorosamente. Cameron e i Tory sono rimasti molto delusi non solo per la sua palese inadeguatezza esecutiva ma, insieme a quasi tutto il parlamento, anche molto irritati dalla sua maniera presuntuosa e “high handed”, nel rifiutare qualsiasi responsabilità per i suoi difetti, o quelli dei suoi subalterni.
    Nato nel 1944, ottime scuole cattoliche private e poi Oxford, Chris Patten ha aderito al partito Tory nel 1966 all’età di 22 anni. È diventato deputato nel 1979, con la vittoria di Margaret Thatcher, “junior minister” nel 1983, responsabile per l’ambiente nel 1989 e nel 1990 presidente del partito, l’anno in cui la Thatcher fu defenestrata. Molto amico del successore della Lady, il suo ex prediletto John Major, fu invitato da questi a gestire la campagna elettorale del 1992, che a sorpresa vide la quarta vittoria consecutiva dei Tory. Patten perdette il suo seggio, ma iniziò la sua graduale ascesa con mezzi non più elettorali. Nonché la sua trasformazione da zelota thatcheriano nel “Tory che piace di più alla sinistra”, che dì lì in poi fu il suo marchio di fabbrica.
    Major ripagò il debito elettorale quasi subito, promuovendolo governatore di Hong Kong, incarico che durò cinque anni, fino alla consegna della città ai cinesi di Pechino. Persino lui, uomo così sicuro della propria importanza e superiorità morale, rimase sorpreso di quanto fosse lussuosa la sua vita da ventottesimo – e ultimo – governatore della perla dell’oriente. Godette insieme alla sua famiglia (moglie e tre figlie) di uno stile di vita imperiale e anacronistico – con tanto di yacht privato e stuoli di lacchè – e ammise quanto fosse difficile rinunciarci nel 1997, dopo che buona parte della stampa aveva lodato la sua come una missione diplomatica riuscita: aveva “lottato per i principi della democrazia contro i matusa di Pechino”.
    Il mito di Sir Chris Patten (il titolo onorifico che gli diede il grato amico Major, mentre nel 2005 arrivò il titolo di Lord) come grande statista era nato, e sarebbe stato coccolato di anno in anno. Nel 1998 persino la regina Elisabetta fu convinta della sua importanza, e lo fece Companion of Honour, uno dei titoli più esclusivi del reame, un circolo di soli 65 membri, tutte persone di chiarissima fama. Nel 2000, come regalo a Tony Blair per averlo sostenuto come candidato alla presidenza della Commissione europea, Romano Prodi lo nominò commissario europeo co-responsabile con Javier Solana per le relazioni estere; non ebbe nessun successo nel cercare di coordinare una posizione congiunta dell’UE rispetto alla guerra in Iraq. Nel 2003 fu selezionato dal parlamentino di Oxford quale nuovo vice Chancellor, cioè rettore, un ruolo in gran parte cerimoniale, ma che offre molto prestigio e opportunità per influenzare le persone. È ancora in carica.
    Dopo l’annuncio della visita di Benedetto XVI in Gran Bretagna nel 2010 il cardinale arcivescovo di Westminster Vincent Nichols affidò a Patten di prendersi cura dell’organizzazione della visita. Finì che per una curiosa benevolenza dei media Lord Patten fece la figura di colui senza il quale “i preparativi per la visita papale sarebbero caduti nel caos totale”, implicitamente dipingendo il bravo cardinale Nichols come un incapace pasticcione. Una nota commentatrice angloirlandese cattolica (che preferisce mantenersi anonima) ci ha raccontato: “Quando lo conobbi negli anni Ottanta, ed era solo deputato, era molto simpatico. Poi l’esperienza di Hong Kong gli ha dato alla testa e il suo complesso di superiorità si è sviluppato. A Oxford non ha fatto nulla di eccezionale, e alla BBC è stato un disastro. Rispetto alla visita papale, si sa che Nichols è rimasto molto seccato per lo spin doctoring a suo favore, e credo, francamente, che in Vaticano sarà un disastro”.
    *
    Circa l’infatuazione per la BBC non del Vaticano ma della nuova CEI impersonata dal suo segretario generale Nunzio Galantino, vedi:

    Il cardinale Patten

    La misteriosa ascesa del Lord chiamato a ridisegnare i media del Vaticano. Dalla politica alla Bbc, svernando a Hong Kong

    Christopher Francis Patten, Barone Patten di Barnes, classe 1944, per tre anni è stato alla presidenza della Bbc e ora è stato chiamato a lavorare per il Vaticano (foto LaPresse)
    Una caratteristica britannica è quella di non dare molto spago ai politici che hanno perso un’elezione, o che hanno fatto un serio errore di strategia politica, anche ai livelli più elevati.
    Winston Churchill nel 1945 vinse la guerra ma perse la pace, Margaret Thatcher nel 1990 inciampò nella famigerata Poll Tax senza considerarne le conseguenze, più di recente Michael Gove, è diventato d’un tratto “il politico più odiato del reame”, nonostante la profonda amicizia e complicità personale con il premier David Cameron. Per i più bravi (o quelli che hanno qualche segreto da poter spendere in caso di necessità) c’è a volte “l’uscita dignitosa” di una promozione ai Lord. Per gli altri c’è l’oblio. Ma riciclarsi da fallimentare politico-diplomatico di Sua Maestà in plenipotenziario mediatico di Sua Santità è in effetti un colpo di teatro in grado di sovvertire le più ferree regole sociali del Regno Unito: non ci sono parcheggi gratis (o magari lucrosi) per i dinosauri. Difatti, esistono in patria pochissime eccezioni alla regola. Il caso più clamoroso concerne dunque un politico che non ha vinto un suffragio popolare dal lontano 1987, ma che a distanza di quasi trent’anni vede la sua influenza pubblica in continua crescita, in barba a ogni fattuale prova delle sue capacità. Cosicché l’uomo in questione è stato di recente nominato presidente di una commissione vaticana incaricata di studiare la futura strategia mediatica della Santa Sede. L’uomo si chiama Christopher Patten. Meglio noto come Lord Patten.
    Come molti suoi omologhi continentali, Chris Patten sembra possedere un tocco da re Mida pro domo sua, nel saper trasformare una lunga catena di pasticci, mezzi fallimenti e totali insuccessi in dorati gettoni di fiducia e stima da parte di molte persone che contano nel mondo, così da acquistare una reputazione globale formidabile, paragonabile a quella di Henry Kissinger o di Bill Clinton. Curioso – ma non troppo – dettaglio è l’ammirazione quasi universale di cui gode fra la gente che conta in patria, e la straordinaria stima tributatagli dai media della sinistra salottiera, la Liberal Left, lui che è politico conservatore, un fedelissimo di Margaret Thatcher.

    In un autorevole editoriale del 9 luglio scorso il Guardian – normalmente spocchiosamente ostile nei confronti sia della chiesa cattolica romana che del Partito conservatore britannico – si è sperticato nelle lodi di Patten (considerando la scelta del Vaticano “astonishing” – mirabile) e azzardando uno stretto paragone fra il vecchio politico britannico e il dinamico Pontefice argentino: “Lord Patten porta al suo nuovo incarico un’esperienza senza paragone nel gestire con eleganza il declino di alcuni enti prestigiosi ma ormai sclerotici, il Partito conservatore, la Bbc, e persino l’impero britannico: queste sue capacità verranno sfruttate al massimo nel suo new job”. Bontà sua: il Vaticano quasi come un “failed state”, che sta per essere salvato dal coraggioso supereroe britannico. Ma se andiamo a vedere nei particolari i suoi meriti e la sua storia, magari cercando di capire alcune cose sfuggite a Papa Francesco o al cardinale George Pell – che lo ha chiamato per essere capo della nuova commissione della Santa Sede composta di undici saggi, sperando che egli porti il suo “prezioso know how” acquistato alla presidenza della Bbc – se ne scoprono delle belle.

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    Che avesse litigato con un dg ultrapagato e dalle decisioni piuttosto opache come Mark Thompson (finito poi ceo del New York Times) non sarebbe stato uno scandalo, se l’irruente e autoreferenziale Patten non l’avesse trasformato in una faida quasi personale. Una cosa che forse va bene in un azienda privata, ma non nella pacata ed educata Gran Bretagna. Durante la procedura dei colloqui per la successione al malcapitato dg, ebbe a suggerire alla vice di Thompson Caroline Thomson (nessuna parentela) che per cercare un altro impiego (nel senso: non vai bene qui, cara mia) cercasse aiuto presso uno studio di headhunters della City – la Russell Reynolds Associates – di cui Pattten è un “non-executive director”. Ci fu una breve bufera mediatica intorno al caso – gli inglesi amano denunciare un qualsiasi conflitto d’interesse come la peste – ma l’ineffabile Chairman Patten fece spallucce. Ma c’era una gatta che ci covava: Patten aveva già un suo candidato in pectore, che in seguito ai colloqui di facciata per gli altri candidati è stato regolarmente premiato con l’incarico esecutivo più prestigioso e potente dell’intera industria mediatica britannica (ed europea): un tale, di nome George Entwistle. George Who? Fu la reazione incredula dei più: si trattava di un “insider” – un anonimo interno alla Corporation, con anni di valida esperienza nella produzione delle trasmissioni news e documentari, sì, ma nessunissima esperienza o capacità dimostrata nelle scienze amministrative (per un ente così massiccio e prestigioso poi), e idem per quanto riguarda l’arte politica nel dover gestire i complessi e delicati rapporti con il Parlamento, il governo e altre autorità. Certo, Entwistle non presentava la stessa spocchia elitaria di Thompson, sembrava piuttosto “one of the boys”, in senso democratico, ma era del tutto privo di carisma, e ancora più clamoroso, non era capace di articolare i suoi pensieri, i suoi ordini, in pubblico. Difatti, Patten l’aveva scelto proprio per questa sua mancanza d’esperienza, pensando di poter contare sulla sua assoluta lealtà e obbedienza. Il povero Entwistle diventò presto per i media “Patten’s poodle” – barboncino, cagnolino – fin quando, nel giro di qualche settimana dalla sua incertissima direzione generale esplose il più grave scandalo etico nella storia della Corporation: l’affaire Jimmy Savile.
    Savile era stato – fino alla sua morte nell’ottobre 2011 – per molti lustri il più famoso disc jockey e il più amato presentatore “giovanilista” (la morte lo colse a 75 anni) britannico, e solo dopo il decesso si era scoperto che dietro la facciata impertinente e buffonesca ci fosse un pedofilo predatore e instancabile. Una serie di “si dice” circolava sotto voce da decenni alla Bbc e nel mondo dello spettacolo britannico, ma nessuno sembrava sapere con certezza qualcosa.

    Per un paese che da oltre un decennio è in preda al panico collettivo rispetto alla pedofilia, sembrava stranissimo che a Natale di quell’anno un lungo servizio documentario investigativo preparato da un paio di giornalisti della Newsnight – ammiraglia delle analisi della Bbc2 – fosse soppresso a favore di un generico programma nostalgico “natalizio” in chiave positiva sull’inquietante showman. Quando la verità sui misfatti di Savile emersero sugli altri canali tv, e nei tabloid diversi mesi dopo, la Bbc – nella persona del suo nuovo dg George Entwistle – finì nell’occhio del ciclone. La reputazione per l’integrità deontologica, del coraggio e incisività nel trovare le verità occultate – da sempre fiore all’occhiello delle redazioni di Broadcasting House – furono messe pesantemente in dubbio. Poi, in un grottesco tentativo di raddrizzare la barca capovolta, Newsnight trasmise un servizio isterico e calunnioso su un orfanotrofio in Galles, dove “diversi personaggi politici”, compreso un ex tesoriere del Partito conservatore, Lord MacAlpine, vennero accusati di mostruosi atti sessuali contro minorenni. E il presidente della Bbc, l’uomo tanto osannato dai media di sinistra, e chiamato al Vaticano da Papa Francesco e dal cardinale George Pell, uomini di chiesa che del fustigare i “crimina graviora” della pedofilia si sono fatti una santa missione, che fece? Mantenne per diverse settimane un atteggiamento di malcelato disdegno nei confronti di chi gridava allo scandalo e all’incompetenza, al contrario di quelle celebri “communication skills” di cui abbiamo tutti sentito e letto moltissimo.

    Per un po’, Patten ha cercato di salvare il suo protetto “George Who?”, il quale invece, in seguito a un’intervista in diretta a “Today” – il celebre programma di news mattutino di Bbc Radio 4, la più prestigiosa in Inghilterra – nel quale il “mastino dei media” John Humphrys lo umiliò e massacrò con con domande sui casi congiunti Savile-MacAlpine, alle quali Entwistle non seppe rispondere – si dimise, dopo soltanto 54 giorni di servizio. Un fiasco per la BBC, una tragedia personale per il fido Entwhistle, e per un qualsiasi altro presidente delle Corporation sarebbero state le dimissioni consegnate su un piattino d’argento. Ma ciò non avvenne per il re Mida Patten. Non solo: presiedette a una serie di trasmissioni commemorative per il “Diamond Jubilee” della regina Elisabetta (un evento preso molto sul serio dagli inglesi) talmente frivole e banali che la gente stentava a credere che fossero prodotte dalla Bbc, da decenni si è specializzata in reportage “reali” insieme autorevoli e di facile consumo. Davanti alla valanga di critiche, silenzio.

    E ancora. Un ambiziosissimo progetto di digitalizzare tutti i sistemi informatici e il materiale “content” della Corporation (Digital Media Initiative è stato finalmente abbandonato perché “totalmente impraticabile” dopo molti mesi di critiche da parte degli esperti del settore. Ma invece di accettarne la responsabilità per averlo avallato, e magari chiedere scusa al potentissimo Public Accounts Committee del Parlamento di Westminster (la commissione della Revisione dei conti), il Lord si è rifiutato di rilasciare allo scrutinio della commissione gli atti interni rilevante al Dmi “perché non sarebbe costruttivo”. Selezionato esplicitamente da Cameron nel 2011 per fare ordine amministrativo, per ridurre le spese eccessive e per correggere il significativo “political bias” – l’inclinazione editoriale di tutte le sue trasmissioni verso le opinioni e le tesi care alla sinistra salottiera – Lord Patten ha fallito clamorosamente.

    Cameron e i Tory sono rimasti molto delusi non solo per la sua palese inadeguatezza esecutiva, ma insieme a quasi tutto il Parlamento, anche molto irritati dalla sua maniera presuntuosa e “high handed”, nel rifiutare qualsiasi responsabilità per i suoi difetti, o quelli dei suoi subalterni. Non solo Mark Thompson l’ha accusato pubblicamente di dire una serie di bugie (sulle questioni budgetarie di cui sopra), ma anche un altro dg, Greg Dyke (veterano molto rispettato dell’epoca Blair) l’ha criticato ferocemente per i vari fiaschi, invitandolo alcuni mesi fa a dimettersi per incompetenza, bollandolo come un “busted flush” (una mano di carte da gioco da perdente) “mi sorprende molto che Patten stia ancora alla presidenza della Bbc, sarebbe molto meglio se se ne andasse”.

    Nato nel 1944, ottime scuole cattoliche private e poi Oxford, Chris Patten ha aderito al partito Tory nel 1966 all’età di 22 anni; dopo cinque da direttore del Research department del partito (1974-’79) è stato eletto deputato nel 1979, con la vittoria di Margaret Thatcher. Junior minister nel 1983, responsabile per l’Ambiente nel 1989, e nel 1990 presidente del partito, l’anno in cui la Thatcher fu defenestrata. Molto amico del successore della Lady, il suo ex prediletto John Major, fu invitato da questi a gestire la campagna elettorale del 1992, che a sorpresa vide la quarta vittoria consecutiva dei Tory, un vero capolavoro strategico, ma denunciato dalla sinistra come “una campagna brutale e vandalistica” (il Guardian). Patten però perdette il suo seggio elettorale a Bath (sempre secondo il Guardian, perché “gli elettori della circoscrizione lo trovavano persona orrenda e arrogante”), e con ciò inizia la sua graduale ascesa, con mezzi non più elettorali. Nonché la sua trasformazione da zelota thatcheriano nel “Tory che piace di più alla sinistra”, come scrisse il sarcastico Sunday Times, che dì lì in poi fu il suo marchio di fabbrica.

    John Major ripagò il debito elettorale quasi subito, promuovendolo governatore di Hong Kong, incarico che durò cinque anni, fino all’“Hand Over” ai cinesi di Pechino. Persino lui, uomo così sicuro della propria importanza e superiorità morale, rimase sorpreso di quanto fosse lussuosa la sua vita da 28esimo – e ultimo – governatore della Perla dell’oriente. Godette insieme alla sua famiglia (moglie Lavender e le tre figlie, belle bionde che gli sono state molto utili come “famiglia ideale” in politica) di uno stile di vita imperiale e anacronistico – con tanto di yacht privato e stuoie di lacchè – e ammise quanto fosse difficile rinunciarci nel 1997, dopo quello che buona parte della stampa aveva lodato la sua come una missione diplomatica riuscita: aveva “lottato per i principi della democrazia contro i Matusa di Pechino”.

    Ma dai diari del sempre lucido e scettico spin doctor Alastair Campbell (che accompagnò il neo premier Tony Blair e il principe Carlo a Hong Kong per la rituale cessione politica nel 1997) si rileva altresì che il neo premier laburista era ansioso di cambiare strategia e aprire ai nuovi capi dell’ex colonia, democratica o non più democratica che fosse. Secondo Campbell, Patten era “troppo emotivamente coinvolto nella questione di Hong Kong, come se fosse veramente ‘sua’”. Alla cerimonia dell’“Hand Over”, “Tony sembrava seccato e imbarazzato delle emozioni esagerate di Patten, e ce ne siamo scappati appena possibile”. Ma non importa, i diari dello spin doctor laburista rimasero inediti per oltre un decennio. Il mito di Sir Chris Patten (il titolo onorifico che gli diede il grato amico Major, nel 2005 arrivò invece il titolo di Lord) come grande statista era nato, e sarebbe stato coccolato di anno in anno. Nel 1998 persino la regina Elisabetta fu convinta della sua importanza, e lo fece Companion of Honour (CH), uno dei titoli più esclusivi del reame, un circolo di solo 65 membri, tutte persone di chiarissima fama. Nel 2000, come regalo a Tony Blair per averlo sostenuto come candidato alla presidenza della Commissione europea, Romano Prodi lo nominò commissario europeo co-responsabile con Javier Solana per le Relazioni estere; non ebbe nessun successo nel cercare di coordinare una posizione congiunta dell'Ue rispetto alla guerra in Iraq. Nel 2003 fu selezionato dal parlamentino di Oxford quale nuovo vice Chancellor (rettore), un ruolo in gran parte cerimoniale, ma che offre molto prestigio e opportunità per influenzare le persone; è ancora in carica. Difatti, un evento quasi surreale cui partecipò nel novembre del 2009 durante il prestigioso Reuters School of Journalism ad Oxford, fu una specie di festschrift – una celebrazione della persona – di Carlo De Benedetti, che Patten qualificò non tanto quale il bravo e abile uomo d’affari che è, quanto come “un uomo che rappresenta l’essenza della decenza etica, un grandissimo paladino della legalità che non teme mai difendere a spada tratta il pluralismo dell’informazione”, trasformando il ruolo strettamente al di sopra delle parti che era stato chiamato a interpretare in un pulpito molto, molto di parte. Chiaro che i media e gli accademici britannici (all’epoca come ora tutti condizionati pavlovianamente a ridere solo quando si parla di Silvio Berlusconi) gli accordarono un tripudio.

    Altrettanto curioso –  dopo l’annuncio dell’imminente visita di Benedetto XVI in Gran Bretagna nel 2010 – l’invito da parte del cardinale arcivescovo di Westminister, Vincent Nichols, a Patten di prendersi cura dell’organizzazione della visita. Finì che per una curiosa benevolenza (e complicità) dei media, Lord Patten fece la figura di colui senza il quale “i preparativi per la visita papale sarebbero cadute nel caos totale”, implicitamente dipingendo il bravo cardinale Nichols come un incapace pasticcione. Una nota commentatrice anglo-irlandese cattolica (che preferisce mantenersi anonima) ci ha raccontato: “Quando lo conobbi negli anni 80, ed era solo deputato, era molto simpatico. Poi l’esperienza di Hong Kong gli ha dato alla testa e il suo complesso di superiorità si è sviluppato. A Oxford non ha fatto nulla di eccezionale, e alla Bbc è stato un disastro. Rispetto alla visita papale, si sa che Nichols è rimasto molto seccato per lo spin doctoring a suo favore, e credo, francamente, che in Vaticano sarà un disastro”.
    © FOGLIO QUOTIDIANO

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