La linea dell’accoglienza chiesta da Bergoglio su famiglia e sacramenti. L'invito alla Chiesa a non chiudersi in se stessa
Corriere della Sera
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(Gian Guido Vecchi) «Vicinanza e compassione: così il Signore Gesù visita il suo popolo. Quando noi vogliamo annunziare il Vangelo, questa è la strada. L’altra strada è quella dei dottori della legge, degli scribi... Parlavano bene, insegnavano la legge bene. Ma lontani. Mancava la compassione e cioè patire con il popolo ».
C’è una coerenza profonda nelle parole di Francesco. Quelle pronunciate ieri a Santa Marta richiamano innumerevoli interventi, a cominciare dalla prima domenica del suo pontificato, il 17 marzo 2013, la misericordia di Dio come «abisso incomprensibile» contrapposto all’ipocrisia dei «puri», «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono». Fu allora che il Papa - cosa più unica che rara, all’Angelus - citò ai fedeli «un libro che mi ha fatto molto bene», scritto dal cardinale teologo Walter Kasper. Quel libro si intitolava, appunto, Misericordia .
Meno di un anno più tardi, a febbraio, Francesco avrebbe affidato a Kasper la relazione introduttiva, davanti ai cardinali, al Sinodo sulla famiglia di ottobre. In questo contesto, il tema dei divorziati risposati, cui è tuttora negata la comunione, non sarà l’unico né il più importante ma certo è diventato esemplare dell’atteggiamento che avrà la Chiesa. Non è un mistero che tra i cardinali si confrontino da mesi due linee: quella più conservatrice, rappresentata dal prefetto dell’ex Sant’Uffizio Gerhard Müller, per il quale «la misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio» e non si può andare contro l’indissolubilità del matrimonio; e la linea di Kasper che nella sua relazione, elogiata da Bergoglio come esempio di «teologia in ginocchio», suggeriva di «valutare con misericordia caso per caso» e un «cammino penitenziale» per riammettere i divorziati risposati all’eucarestia, senza per questo cambiare la dottrina dell’indissolubilità.
Francesco vuole che se ne discuta liberamente, tanto che tra i 191 padri sinodali ha voluto pure i più conservatori. Ma ha ammonito i vescovi a guardare all’essenziale e a non cadere in una «casistica» astratta. Domenica il Papa ha sposato anche coppie conviventi e con figli, non c’erano impedimenti canonici ma la scelta di Francesco era un segnale: «Il matrimonio non è una fiction !». La Chiesa deve guardare alla realtà concreta, chinarsi sui feriti del mondo. «Tenerezza», «carezza», «accoglienza». Soprattutto no alle «dogane pastorali». Pochi giorni fa, Kasper ha usato un’immagine analoga: «La Chiesa non può dare l’impressione di essere un castello con il ponte levatoio tirato su e le porte serrate, postazioni e sentinelle».
Ma le parole più chiare sono arrivate ancora da Francesco, in tema di «correzione fraterna», nell’Angelus del 7 settembre: «Tra le condizioni che accomunano i partecipanti alla celebrazione eucaristica, due condizioni sono fondamentali per andare bene a Messa: tutti siamo peccatori e a tutti Dio dona la sua misericordia». Una posizione sul senso dei sacramenti che ricorda quella espressa dal cardinale Carlo Maria Martini, confratello gesuita di Bergoglio, nella sua ultima intervista: «I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati, alle coppie risposate, alle famiglie allargate... Prima della Comunione noi preghiamo: Signore, io non sono degno. Noi sappiamo di non essere degni. L’amore è grazia. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta: come può la Chiesa arrivare in aiuto, con la forza dei sacramenti, a chi ha situazioni familiari complesse?».
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C’è una coerenza profonda nelle parole di Francesco. Quelle pronunciate ieri a Santa Marta richiamano innumerevoli interventi, a cominciare dalla prima domenica del suo pontificato, il 17 marzo 2013, la misericordia di Dio come «abisso incomprensibile» contrapposto all’ipocrisia dei «puri», «Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono». Fu allora che il Papa - cosa più unica che rara, all’Angelus - citò ai fedeli «un libro che mi ha fatto molto bene», scritto dal cardinale teologo Walter Kasper. Quel libro si intitolava, appunto, Misericordia .
Meno di un anno più tardi, a febbraio, Francesco avrebbe affidato a Kasper la relazione introduttiva, davanti ai cardinali, al Sinodo sulla famiglia di ottobre. In questo contesto, il tema dei divorziati risposati, cui è tuttora negata la comunione, non sarà l’unico né il più importante ma certo è diventato esemplare dell’atteggiamento che avrà la Chiesa. Non è un mistero che tra i cardinali si confrontino da mesi due linee: quella più conservatrice, rappresentata dal prefetto dell’ex Sant’Uffizio Gerhard Müller, per il quale «la misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio» e non si può andare contro l’indissolubilità del matrimonio; e la linea di Kasper che nella sua relazione, elogiata da Bergoglio come esempio di «teologia in ginocchio», suggeriva di «valutare con misericordia caso per caso» e un «cammino penitenziale» per riammettere i divorziati risposati all’eucarestia, senza per questo cambiare la dottrina dell’indissolubilità.
Francesco vuole che se ne discuta liberamente, tanto che tra i 191 padri sinodali ha voluto pure i più conservatori. Ma ha ammonito i vescovi a guardare all’essenziale e a non cadere in una «casistica» astratta. Domenica il Papa ha sposato anche coppie conviventi e con figli, non c’erano impedimenti canonici ma la scelta di Francesco era un segnale: «Il matrimonio non è una fiction !». La Chiesa deve guardare alla realtà concreta, chinarsi sui feriti del mondo. «Tenerezza», «carezza», «accoglienza». Soprattutto no alle «dogane pastorali». Pochi giorni fa, Kasper ha usato un’immagine analoga: «La Chiesa non può dare l’impressione di essere un castello con il ponte levatoio tirato su e le porte serrate, postazioni e sentinelle».
Ma le parole più chiare sono arrivate ancora da Francesco, in tema di «correzione fraterna», nell’Angelus del 7 settembre: «Tra le condizioni che accomunano i partecipanti alla celebrazione eucaristica, due condizioni sono fondamentali per andare bene a Messa: tutti siamo peccatori e a tutti Dio dona la sua misericordia». Una posizione sul senso dei sacramenti che ricorda quella espressa dal cardinale Carlo Maria Martini, confratello gesuita di Bergoglio, nella sua ultima intervista: «I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati, alle coppie risposate, alle famiglie allargate... Prima della Comunione noi preghiamo: Signore, io non sono degno. Noi sappiamo di non essere degni. L’amore è grazia. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta: come può la Chiesa arrivare in aiuto, con la forza dei sacramenti, a chi ha situazioni familiari complesse?».
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......e via tutti felici e contenti come nelle favole!quando arriverà il giorno di rendere l' anima a Dio che suggeriscono di dirgli?credevo Fossi tutta misericordia e non anche giustizia?rischiamo di rendere vano il Sacrificio di Gesù ....ricordiamo ......se anche un angelo vi predicasse un vangelo diverso sia anatema!
RispondiEliminaricordiamo che davanti a Dio è la persona che renderà conto del peccato commesso non "il peccato"quindi è fuorviante continuare a dire di non giudicare il peccatore ma il peccato.......perché si condanna l'anima alla perdizione se non si converte!
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