Sinodo sulla Famiglia, le preoccupanti indiscrezioni: aperture verso il diversamente Matrimonio? In che termini? Kant (sì, proprio lui) fa scuola da secoli e sembra invitare i Padri ad usare LA RAGIONE che in Vaticano pare prendere altre strade.
Riporto sano sano un intervento dell'ottimo PEREGRINO TUC.
In
Concilio, in tema di famiglia, non si vollero condannare senza indugi
il naturalismo e il freudismo per paura di un nuovo “caso Galilei” (così
si espresse durante i lavori Suenens). Oggi vediamo le conseguenze di
questa scelta: tanta pastorale, senza più una parola sulla bellezza
della castità e della famiglia cattolica.
La Chiesa che un tempo condannò i princìpi del razionalismo illuminista ora indugia innanzi ad un progressismo ben più oscuro.
Leggete voi stessi: ormai Kant sorpassa “a destra” tanti fedeli e chierici cattolici.
La Chiesa che un tempo condannò i princìpi del razionalismo illuminista ora indugia innanzi ad un progressismo ben più oscuro.
Leggete voi stessi: ormai Kant sorpassa “a destra” tanti fedeli e chierici cattolici.
“
L’«unione sessuale» (‹commercium sexuale›) è l’uso reciproco che un
essere umano fa degli organi e delle facoltà sessuali di un altro (‹usus
membrorum et facultatum sexualium alterius›). Quest’uso può essere
esercitato o in modo «naturale» (tale da poter generare propri simili)
oppure in modo «innaturale», e quest’ultimo può riguardare o una persona
dello stesso sesso oppure un animale di specie diversa da quella umana.
Queste trasgressioni delle leggi si chiamano vizi contro natura
(‹crimina carnis contra naturam›) o anche vizi innominabili, i quali, in
quanto lesivi dell’umanità posta nella nostra propria persona, non
possono sottrarsi, senza alcuna restrizione ed eccezione al biasimo
universale.
Ora, l’unione sessuale naturale risponde o unicamente alla «natura» (‹vagalibido, venus volgivaga, fornicatio›), oppure alla legge. Quest’ultimo tipo di unione è il «matrimonio», vale a dire l’unione di due persone di sesso diverso per il possesso delle loro prerogative sessuali per tutta la vita. Lo scopo di generare figli e di educarli può sempre essere uno scopo di natura, che essa ha impresso come inclinazione in entrambi i sessi. Ma che l’uomo, sposandosi, «debba» proporsi questo scopo non è necessario per attribuire conformità giuridica a questa unione, perché altrimenti, quando si interrompe la procreazione, il matrimonio dovrebbe sciogliersi automaticamente.
Anche supponendo, infatti, che lo scopo posto alla base di questa unione sia il piacere procurato dall’uso reciproco delle proprie prerogative sessuali, il matrimonio non è discrezionale, ma è un contratto necessario basato sulla legge dell’umanità. In altri termini, quando un uomo e una donna vogliono godere reciprocamente delle loro prerogative sessuali, «devono» necessariamente sposarsi, e ciò è necessario in base alle leggi giuridiche della ragione pura.
di Riccardo Cascioli
Qualche strumentalizzazione e forzatura è ovvia, da mettere in conto, ma sostenere che il poco esaltante spettacolo offerto dal Sinodo nei giorni scorsi sia solo frutto dei media, è quantomeno assurdo. Benedetto XVI aveva parlato di un Concilio Vaticano II reale e un Concilio dei media, ma pensare di poter applicare quello schema al Sinodo in corso è completamente fuori luogo: si deve riconoscere che i giornali hanno riportato esattamente ciò che dai briefing quotidiani, dalle conferenze stampa e dalle interviste veniva effettivamente comunicato, inclusa la Relazione Erdö di fine prima parte.
Se poi, come fanno alcuni giornali, ci si ostina a volere far credere che il clima al Sinodo è disteso, che la Relazione Erdö rispecchia fedelmente quanto detto in aula e che c’è solo qualche dissenso marginale, allora si scade nel patetico: lo stesso cardinale Erdö in conferenza stampa sembra abbia voluto prendere le distanze almeno da alcune parti della relazione letta; e poi sono intervenuti il prefetto della Dottrina della Fede, i vescovi africani, il presidente dei vescovi polacchi, il cardinale Burke, e altri: tutti a contestare la corrispondenza di quanto scritto con quanto avvenuto nell’aula sinodale. E in più accuse esplicite alla direzione del Sinodo di voler manipolare la comunicazione per favorire una linea ben precisa.
È evidente che tutto ciò non è invenzione dei giornali. Piuttosto, sapendo come funziona il circuito della comunicazione e cosa si aspettano i media “laici”, se non si vogliono dare messaggi fuorvianti si deve piuttosto pensare a comunicare in modo diverso. A meno che invece, il titolo “La Chiesa apre alle unioni civili e ai gay” sulle prime pagine di tutto il mondo non fosse esattamente l’obiettivo che qualcuno si prefiggeva.
Solo ipotesi ovviamente, ma leggere ancora che qualcuno si lamenta del “Sinodo dei media” e delle “invenzioni” dei giornalisti – dopo tutto quello che è stato detto e fatto – è francamente insopportabile.
Peraltro non deve neanche scandalizzare che ci siano scontri duri. Il fatto in sé non è nulla di nuovo, è stato così dall’origine e molte volte nel corso dei secoli ci sono state dispute feroci, teologiche e pastorali. A far pensare dovrebbe invece essere altro, ovvero ciò che sta dietro alle discussioni che hanno tenuto banco in questi giorni. Le questioni della comunione ai divorziati risposati e delle unioni omosessuali, in fondo, sono soltanto un effetto e non una causa.
Un padre sinodale – ci informa la sintesi ufficiale – intervenendo dopo la Relazione Erdö ha notato che, tra le tante cose che non andavano nel testo, mancava un adeguato riferimento alla realtà del peccato. Giusto, ma anche questa è una conseguenza.
Ciò di cui in effetti non c’è traccia è la chiamata alla santità. La santità attraverso la forma particolare del matrimonio, nelle diverse circostanze in cui questo può svilupparsi; la consapevolezza chiara che la pastorale è anzitutto accompagnare le singole persone e le famiglie al compimento del proprio destino. Non sappiamo se nessuno dei vescovi lo abbia effettivamente ricordato, di sicuro non ve n’è traccia nelle sintesi quotidiane e nella Relazione Erdö. Ed è ciò che veramente sorprende. Eppure se non si ha chiaro questo punto tutto il resto diventa fatalmente ideologico.
È soltanto in un cammino di immedesimazione in Cristo che trovano adeguata ragione anche la fedeltà coniugale, l’apertura alla vita, rapporti affettivi ordinati e secondo natura. Se si perde di vista la chiamata alla santità, il ricapitolare tutte le cose in Cristo, si finisce fatalmente per discutere quanto è possibile cedere al mondo senza mettere in discussione la dottrina. E si fanno giravolte linguistiche per conciliare l’inconciliabile (vedi il caso delle unioni omosessuali, come spiega benissimo Roberto Marchesini). È questo il destino delle denominazioni protestanti.
Se si perde il riferimento alla santità verso cui tendere, anche la missione cambia significato. Diventa soltanto una missione “orizzontale”, cioè Cristo si riduce alla spinta per andare a soccorrere chi ha bisogno: i poveri, gli emarginati, le famiglie in difficoltà, e così via. Lo scopo – come sottolineava padre Piero Gheddo in uno splendido articolo qualche giorno fa – diventa risolvere i problemi del mondo, fare stare meglio l’umanità. Così la domanda fondamentale attorno a cui è ruotato il Sinodo, sembra essere stata “Come risolviamo i problemi delle situazioni difficili?”. Nasce così l’idea che la Comunione sia usata come medicina, come un palliativo, più che altro psicologico (il sentirsi pienamente accettati nella situazione in cui si è), tende a perdere il significato sacramentale («segno efficace della Grazia, istituito da Gesù Cristo per santificarci», diceva il vecchio Catechismo). Così si spiega anche perché l’unica coppia che ha parlato abbia proposto un modo per superare l’imbarazzo di un figlio gay.
La missione a cui Gesù ci ha chiamato è invece quella di andare e annunciare il suo Vangelo, la liberazione dal peccato; certo condividendo il bisogno dell’altro, ma solo perché il bisogno immediato, fisico, è segno di una domanda più profonda che ha solo Cristo come risposta adeguata, come l’episodio della samaritana ci insegna. Si va in tutto il mondo, a tutti gli uomini perché tutti possano venire a Cristo, non per risolvere i loro problemi. Quando la lodavano per tutte le cose che faceva per i poveri, madre Teresa rispondeva: «Ma io non lo faccio per i poveri, lo faccio per Gesù Cristo». È il segreto di tutti i santi, è ciò che tutti noi abbiamo più bisogno di imparare, e ciò di cui più si sente la mancanza in questo Sinodo. Non sappiamo cosa la vita ci riserverà e come anche la nostra situazione matrimoniale potrà evolvere: alla fine tutto dipenderà dal dove posiamo lo sguardo e mettiamo il cuore, qualsiasi cosa accada. O guardiamo in basso, e cerchiamo di risolvere i problemi, o nell'affrontare i problemi guardiamo in alto, con il desiderio di santificarci. “Cercate prima il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in più” (Mt 6,33).
Se ci poniamo in questa prospettiva allora si comincia a comprendere che il problema oggi della Chiesa non è come fare in modo di avvicinare alla comunione chi vive situazioni irregolari, ma capire anzitutto cos’è l’Eucarestia e cosa significa accostarsi alla comunione. Per tutti: basta osservare il modo sciatto e distratto in cui viene vissuto il momento della comunione nella stragrande maggioranza delle nostre chiese per capire che il problema sta qui.
E se la cosa più importante è imparare come si può crescere nell’amore di Dio e santificarci anche nelle situazioni più difficili, allora in questo Sinodo sono mancate testimonianze concrete, esempi visibili a cui tutte le coppie possono guardare, regolari e irregolari. E – almeno a quanto letto nelle sintesi – sono mancate indicazioni chiare sul come, nell’attuale situazione delle famiglie, percorrere con sicurezza la strada che porta al compimento del nostro destino. È questa la vera pastorale che vorremmo sentire.
La nuova Bussola Quotidiana 16/10/14
Ora, l’unione sessuale naturale risponde o unicamente alla «natura» (‹vagalibido, venus volgivaga, fornicatio›), oppure alla legge. Quest’ultimo tipo di unione è il «matrimonio», vale a dire l’unione di due persone di sesso diverso per il possesso delle loro prerogative sessuali per tutta la vita. Lo scopo di generare figli e di educarli può sempre essere uno scopo di natura, che essa ha impresso come inclinazione in entrambi i sessi. Ma che l’uomo, sposandosi, «debba» proporsi questo scopo non è necessario per attribuire conformità giuridica a questa unione, perché altrimenti, quando si interrompe la procreazione, il matrimonio dovrebbe sciogliersi automaticamente.
Anche supponendo, infatti, che lo scopo posto alla base di questa unione sia il piacere procurato dall’uso reciproco delle proprie prerogative sessuali, il matrimonio non è discrezionale, ma è un contratto necessario basato sulla legge dell’umanità. In altri termini, quando un uomo e una donna vogliono godere reciprocamente delle loro prerogative sessuali, «devono» necessariamente sposarsi, e ciò è necessario in base alle leggi giuridiche della ragione pura.
L’uso naturale che si fa
degli organi sessuali dell’altro è, infatti, un «godimento» che in parte
coinvolge anche l’altro. In questo atto un essere umano trasforma se
stesso in cosa, ciò che è in contrasto con il diritto dell’umanità nella
sua propria persona. Ora, questo è possibile soltanto a condizione che,
venendo una delle persone acquista dall’altra «al pari di una cosa»,
allo stesso modo questa a sua volta acquisisca l’altra; così facendo,
infatti, essa si ritrova e ristabilisce la sua personalità. Ma
l’acquisizione di una delle parti dell’essere umano è nello stesso tempo
l’acquisizione dell’intera persona, perché questa costituisce un’unità
assoluta; di conseguenza, l’offrire e il ricevere godimento sessuale non
soltanto è ammissibile a condizione del matrimonio, ma è possibile
«esclusivamente» a questa condizione. D’altronde, che questo «diritto
personale» sia al tempo stesso anche un diritto «di tipo reale» si fonda
sul fatto che, se uno dei coniugi fugge o si concede al possesso di un
altro, il coniuge è giustificato a riportarlo in suo potere in qualsiasi
momento e incontestabilmente, proprio come una cosa.
Per gli stessi motivi, il rapporto fra coniugi rappresenta un rapporto di possesso retto sull’«uguaglianza». Ciò vale tanto per le persone che si posseggono reciprocamente (di conseguenza soltanto nella «monogamia», poiché nella poligamia la persona che si concede ottiene soltanto una parte di quella persona alla quale si era data interamente e, in questo modo, si riduce a semplice cosa), quanto per i beni di fortuna, al cui uso, tuttavia, si può parzialmente rinunciare, a anche se soltanto con un contratto particolare.
[…]
Il contratto matrimoniale viene «perfezionato» soltanto con la «coabitazione coniugale» (‹copula carnalis›). Un contratto fra due persone di sesso diverso stipulato con l’intesa segreta di astenersi dalla comunione carnale o sapendo che una delle due parti o entrambe non ne sono capaci, costituisce un «contratto simulato» e non istituisce il matrimonio, il quale, di conseguenza, può essere sciolto da una qualsiasi delle due parti. Ma se l’incapacità interviene soltanto in un secondo momento, quel diritto non può decadere a causa di questo evento non imputabile ad alcuno.
L’«acquisizione» di una moglie o di un marito non avviene, dunque, ‹facto› (con la coabitazione) senza un contratto precedente, e nemmeno ‹pacto› (unicamente mediante il contratto matrimoniale senza la coabitazione conseguente), bensì soltanto ‹lege›, ossia quale conseguenza giuridica dell’obbligazione di costituire un’unione sessuale unicamente mediante il «possesso» reciproco delle persone, il quale si attua soltanto grazie all’uso delle prerogative sessuali.”
Immanuel Kant, “Metafisica dei costumi” (1797).
Per gli stessi motivi, il rapporto fra coniugi rappresenta un rapporto di possesso retto sull’«uguaglianza». Ciò vale tanto per le persone che si posseggono reciprocamente (di conseguenza soltanto nella «monogamia», poiché nella poligamia la persona che si concede ottiene soltanto una parte di quella persona alla quale si era data interamente e, in questo modo, si riduce a semplice cosa), quanto per i beni di fortuna, al cui uso, tuttavia, si può parzialmente rinunciare, a anche se soltanto con un contratto particolare.
[…]
Il contratto matrimoniale viene «perfezionato» soltanto con la «coabitazione coniugale» (‹copula carnalis›). Un contratto fra due persone di sesso diverso stipulato con l’intesa segreta di astenersi dalla comunione carnale o sapendo che una delle due parti o entrambe non ne sono capaci, costituisce un «contratto simulato» e non istituisce il matrimonio, il quale, di conseguenza, può essere sciolto da una qualsiasi delle due parti. Ma se l’incapacità interviene soltanto in un secondo momento, quel diritto non può decadere a causa di questo evento non imputabile ad alcuno.
L’«acquisizione» di una moglie o di un marito non avviene, dunque, ‹facto› (con la coabitazione) senza un contratto precedente, e nemmeno ‹pacto› (unicamente mediante il contratto matrimoniale senza la coabitazione conseguente), bensì soltanto ‹lege›, ossia quale conseguenza giuridica dell’obbligazione di costituire un’unione sessuale unicamente mediante il «possesso» reciproco delle persone, il quale si attua soltanto grazie all’uso delle prerogative sessuali.”
Immanuel Kant, “Metafisica dei costumi” (1797).
Quella domanda a cui il Sinodo non risponde
di Riccardo Cascioli
Qualche strumentalizzazione e forzatura è ovvia, da mettere in conto, ma sostenere che il poco esaltante spettacolo offerto dal Sinodo nei giorni scorsi sia solo frutto dei media, è quantomeno assurdo. Benedetto XVI aveva parlato di un Concilio Vaticano II reale e un Concilio dei media, ma pensare di poter applicare quello schema al Sinodo in corso è completamente fuori luogo: si deve riconoscere che i giornali hanno riportato esattamente ciò che dai briefing quotidiani, dalle conferenze stampa e dalle interviste veniva effettivamente comunicato, inclusa la Relazione Erdö di fine prima parte.
Se poi, come fanno alcuni giornali, ci si ostina a volere far credere che il clima al Sinodo è disteso, che la Relazione Erdö rispecchia fedelmente quanto detto in aula e che c’è solo qualche dissenso marginale, allora si scade nel patetico: lo stesso cardinale Erdö in conferenza stampa sembra abbia voluto prendere le distanze almeno da alcune parti della relazione letta; e poi sono intervenuti il prefetto della Dottrina della Fede, i vescovi africani, il presidente dei vescovi polacchi, il cardinale Burke, e altri: tutti a contestare la corrispondenza di quanto scritto con quanto avvenuto nell’aula sinodale. E in più accuse esplicite alla direzione del Sinodo di voler manipolare la comunicazione per favorire una linea ben precisa.
È evidente che tutto ciò non è invenzione dei giornali. Piuttosto, sapendo come funziona il circuito della comunicazione e cosa si aspettano i media “laici”, se non si vogliono dare messaggi fuorvianti si deve piuttosto pensare a comunicare in modo diverso. A meno che invece, il titolo “La Chiesa apre alle unioni civili e ai gay” sulle prime pagine di tutto il mondo non fosse esattamente l’obiettivo che qualcuno si prefiggeva.
Solo ipotesi ovviamente, ma leggere ancora che qualcuno si lamenta del “Sinodo dei media” e delle “invenzioni” dei giornalisti – dopo tutto quello che è stato detto e fatto – è francamente insopportabile.
Peraltro non deve neanche scandalizzare che ci siano scontri duri. Il fatto in sé non è nulla di nuovo, è stato così dall’origine e molte volte nel corso dei secoli ci sono state dispute feroci, teologiche e pastorali. A far pensare dovrebbe invece essere altro, ovvero ciò che sta dietro alle discussioni che hanno tenuto banco in questi giorni. Le questioni della comunione ai divorziati risposati e delle unioni omosessuali, in fondo, sono soltanto un effetto e non una causa.
Un padre sinodale – ci informa la sintesi ufficiale – intervenendo dopo la Relazione Erdö ha notato che, tra le tante cose che non andavano nel testo, mancava un adeguato riferimento alla realtà del peccato. Giusto, ma anche questa è una conseguenza.
Ciò di cui in effetti non c’è traccia è la chiamata alla santità. La santità attraverso la forma particolare del matrimonio, nelle diverse circostanze in cui questo può svilupparsi; la consapevolezza chiara che la pastorale è anzitutto accompagnare le singole persone e le famiglie al compimento del proprio destino. Non sappiamo se nessuno dei vescovi lo abbia effettivamente ricordato, di sicuro non ve n’è traccia nelle sintesi quotidiane e nella Relazione Erdö. Ed è ciò che veramente sorprende. Eppure se non si ha chiaro questo punto tutto il resto diventa fatalmente ideologico.
È soltanto in un cammino di immedesimazione in Cristo che trovano adeguata ragione anche la fedeltà coniugale, l’apertura alla vita, rapporti affettivi ordinati e secondo natura. Se si perde di vista la chiamata alla santità, il ricapitolare tutte le cose in Cristo, si finisce fatalmente per discutere quanto è possibile cedere al mondo senza mettere in discussione la dottrina. E si fanno giravolte linguistiche per conciliare l’inconciliabile (vedi il caso delle unioni omosessuali, come spiega benissimo Roberto Marchesini). È questo il destino delle denominazioni protestanti.
Se si perde il riferimento alla santità verso cui tendere, anche la missione cambia significato. Diventa soltanto una missione “orizzontale”, cioè Cristo si riduce alla spinta per andare a soccorrere chi ha bisogno: i poveri, gli emarginati, le famiglie in difficoltà, e così via. Lo scopo – come sottolineava padre Piero Gheddo in uno splendido articolo qualche giorno fa – diventa risolvere i problemi del mondo, fare stare meglio l’umanità. Così la domanda fondamentale attorno a cui è ruotato il Sinodo, sembra essere stata “Come risolviamo i problemi delle situazioni difficili?”. Nasce così l’idea che la Comunione sia usata come medicina, come un palliativo, più che altro psicologico (il sentirsi pienamente accettati nella situazione in cui si è), tende a perdere il significato sacramentale («segno efficace della Grazia, istituito da Gesù Cristo per santificarci», diceva il vecchio Catechismo). Così si spiega anche perché l’unica coppia che ha parlato abbia proposto un modo per superare l’imbarazzo di un figlio gay.
La missione a cui Gesù ci ha chiamato è invece quella di andare e annunciare il suo Vangelo, la liberazione dal peccato; certo condividendo il bisogno dell’altro, ma solo perché il bisogno immediato, fisico, è segno di una domanda più profonda che ha solo Cristo come risposta adeguata, come l’episodio della samaritana ci insegna. Si va in tutto il mondo, a tutti gli uomini perché tutti possano venire a Cristo, non per risolvere i loro problemi. Quando la lodavano per tutte le cose che faceva per i poveri, madre Teresa rispondeva: «Ma io non lo faccio per i poveri, lo faccio per Gesù Cristo». È il segreto di tutti i santi, è ciò che tutti noi abbiamo più bisogno di imparare, e ciò di cui più si sente la mancanza in questo Sinodo. Non sappiamo cosa la vita ci riserverà e come anche la nostra situazione matrimoniale potrà evolvere: alla fine tutto dipenderà dal dove posiamo lo sguardo e mettiamo il cuore, qualsiasi cosa accada. O guardiamo in basso, e cerchiamo di risolvere i problemi, o nell'affrontare i problemi guardiamo in alto, con il desiderio di santificarci. “Cercate prima il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in più” (Mt 6,33).
Se ci poniamo in questa prospettiva allora si comincia a comprendere che il problema oggi della Chiesa non è come fare in modo di avvicinare alla comunione chi vive situazioni irregolari, ma capire anzitutto cos’è l’Eucarestia e cosa significa accostarsi alla comunione. Per tutti: basta osservare il modo sciatto e distratto in cui viene vissuto il momento della comunione nella stragrande maggioranza delle nostre chiese per capire che il problema sta qui.
E se la cosa più importante è imparare come si può crescere nell’amore di Dio e santificarci anche nelle situazioni più difficili, allora in questo Sinodo sono mancate testimonianze concrete, esempi visibili a cui tutte le coppie possono guardare, regolari e irregolari. E – almeno a quanto letto nelle sintesi – sono mancate indicazioni chiare sul come, nell’attuale situazione delle famiglie, percorrere con sicurezza la strada che porta al compimento del nostro destino. È questa la vera pastorale che vorremmo sentire.
La nuova Bussola Quotidiana 16/10/14
Io, divorziato risposato, salvato dalla misericordia della Chiesa
a
cura di Federico Catani
Le
discussioni che si stanno tenendo al Sinodo straordinario voluto da
Papa Francesco per dibattere sui principali problemi della famiglia
sono alquanto sconvolgenti. Dai giornali e dai briefing di padre
Lombardi, emerge un quadro desolante. Sono infatti davvero tanti gli
interventi dei padri sinodali che, seppur con un linguaggio spesso
ambiguo, lasciano intendere la loro volontà di cedere ai desiderata
del mondo laico e relativista in tema di divorzio, contraccezione e
omosessualità. Sembra sia arrivato il momento di liquidare il grande
insegnamento di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il che
sarebbe non solo un tradimento del Magistero perenne della Chiesa, ma
anche del Concilio Vaticano II, che i vari cardinali Kasper e
compagnia dicono di voler seguire. A sentire certi alti prelati, la
Chiesa finora non avrebbe mai mostrato misericordia e accoglienza
verso chi sbaglia. Ma è vero tutto ciò? La Chiesa ha davvero
insegnato il falso e imposto una disciplina senza pietà? Per capirlo
occorre basarsi sui fatti ed è per questo che abbiamo intervistato
Luigi (nome di fantasia per tutelarne la privacy), un cattolico vero,
militante, addirittura tradizionalista e che in tema di matrimonio e
famiglia ha fatto i suoi errori.
Caro
Luigi, puoi raccontarci la tua storia?
Sono
nato nel 1970. Mi sono sposato nel 1991, separato nel 1996 e divorziato
nel 1998 dopo aver avuto due figli. Posso dire che per tutti gli anni '90
sono vissuto nelle periferie della fede. Andando a Messa sempre di
meno e tralasciando ogni dovere cristiano.
Nel 1999, mi sono rimesso “in cammino” come dice Papa Francesco. Un
cammino che mi ha portato a una confessione generale all'inizio del
2000. Mi trovavo in Cile e la scoperta di una pietà popolare finora
a me sconosciuta – statue fiorite, edicole sacre illuminate da
candeline, processioni pubbliche, ecc. - mi ha spinto a tornare a
Messa. Stranamente, mentre faticavo a imparare lo spagnolo locale, ho
capito tutta un'omelia che parlava della penitenza necessaria per
accedere alla misericordia di Dio. Mi restavano pochi giorni prima di
tornare in Europa e temevo di perdere lo slancio salvifico che mi
aveva preso se avessi aspettato di rientrare a casa per confessarmi. Avevo
tuttavia un problema, quello della lingua. Mi dovevo confessare nella
mia lingua. Ed è così che mi sono ritrovato una domenica sera nel
priorato della Fraternità San Pio X a Santiago del Cile. Non mi
spaventava l'idea di andare “dai lefebvriani”, perché li avevo
conosciuti nella mia gioventù. Come penitenza, il sacerdote mi ha
chiesto di fare gli esercizi spirituali di Sant'Ignazio.
Solo qualche mese dopo il mondo mi ha lasciato compiere la penitenza. Durante quelle settimane di confessioni incomplete, sono
tornato a Messa ogni domenica esercitandomi a praticare la comunione
di desiderio. Fino agli esercizi spirituali pensavo d'altronde di essere
in una condizione – quella di divorziato – che mi vietava per
sempre l'accesso alla comunione sacramentale. Devo dire che quando il
prete (sempre della FSSPX) mi ha spiegato che non era così e che il
cammino della Santa Comunione mi era di nuovo aperto finché mi
fossi impegnato a vivere in stato di grazia – cioè vivendo da sposo anche
se divorziato – la mia anima si è riempita di gioia e di gratitudine.
Ancora oggi fatico a capire come mai il Signore possa essere così
generoso!
Dal
2000 al 2008, ho praticato ben sei volte gli esercizi spirituali.
Sempre dalla FSSPX.
E'
dunque con l'aiuto di preti catalogati come “ultras” che ho
affrontato un grave caso di coscienza visto che, nel 2005, una delle
mie amiche mi ha fatto capire che era più di un amica per me e che,
dunque, voleva sapere se potevo offrirgli più della mia amicizia.
Avevo sentito parlare più volte della possibilità di chiedere
l'esame canonico della validità del mio matrimonio, ma l'avevo sempre
scartata pensando che il Signore mi volesse penitente per tutto il
resto della mia vita. Tuttavia, questa volta ho deciso di parlarne
con il mio confessore (sempre della FSSPX), il quale mi ha detto che la Chiesa
prevedeva tale possibilità e che, se pensavo nel fondo della mia
anima che la richiesta fosse fondata, potevo perfettamente avviare la procedura.
“Basta - mi disse - che tu sia pronto ad accettare il verdetto della
Chiesa, quale che sia. E che tu ti attenga a vivere da sposo e non da
fidanzato fino alla chiusura del processo.”
Non
vi racconto le vicissitudini attraversate dal 2006, quando ho bussato
per la prima volta alla porta di un avvocato diocesano, al 2009,
quando ho avuto la conferma della nullità del mio
matrimonio. Dovete sapere tuttavia che vivere come mi aveva raccomandato
il mio confessore è stato molto difficile, visto che la vita
della mia “non fidanzata” era condizionata dalla mia scelta. Di
fatto, significava non vederci più. Vivevamo a 1000 chilometri
di distanza, il che limita le tentazioni ma aumenta anche le
incertezze. Sopratutto per lei, il cui destino si ritrovava sospesa a
una decisione sulla quale non aveva potere. Io, intanto, mi affidavo al
mio confessore e agli esercizi di Sant'Ignazio.
Quando
mi è giunta la buona notizia, il mio confessore (sempre della FSSPX)
mi ha chiesto di presentargli la mia ormai fidanzata (che sapeva ben
poco della FSSPX se non che erano degli “ultras”). E' venuta da
me e ci siamo recati tutti e due da lui con qualche ansia nello
stomaco. Lui, col sorriso sule labbra e in fondo al cuore, ci ha
invitato a sposarci “al più presto, ormai” ma prima ha chiesto a
lei se aveva ben capito che stava per rischiare l'ergastolo – anzi,
ha detto “la perpetuità” - aggiungendo che io, ormai, l'avevo
per forza capito. Fu una bella giornata! Qualche mese dopo
ci sposammo, nella liturgia antica così come l'aveva permesso Papa
Benedetto XVI.
Insomma,
sono un divorziato risposato che si comunica ogni domenica (o quasi,
rimango comunque un peccatore accanito!), in pieno accordo con le
leggi della Chiesa e grazie alla guida spirituale di almeno tre
sacerdoti della Fraternità San Pio X.
Hai
mai sentito la Chiesa distante e troppo arroccata su dure posizioni
dottrinali? Hai dei rimproveri da fare oppure dei ringraziamenti da
esprimere?
Dei
rimproveri? Sarei ingrato. Dei ringraziamenti? E' Cristo che
ringrazio. Il Figlio di Dio fatto uomo per amore per noi, al punto di
guadagnarci la salvezza eterna sul legno della Croce. Cristo che ci
ha lasciato la Sua Madre come mediatrice universale e la Sua Chiesa
come istituzione soprannaturale benché composta di peccatori.
Tuttavia, se invece di incontrare la carità pastorale della FSSPX, mi fossi
presentato nella mia diocesi, chissà se avrei seguito lo stesso
iter? Vedo tanti amici alle prese con situazioni purtroppo analoghe
che non sono giunti alla stessa conclusione. Penso a uno al quale è
stato chiesto di partecipare ai corsi prematrimoniali della
parrocchia per “raccontare alle giovani coppie la sua
esperienza”. Lui, che conviveva con una donna divorziata, e si
sapeva e si sentiva peccatore, non ha capito come poteva servire
d'esempio ad altri. La Provvidenza ha voluto che, anni dopo, morisse
il marito di lei e si sono finalmente sposati lo scorso inverno ma di
sicuro non grazie al loro parroco.
Vista
la tua esperienza, come stai vivendo il dibattito che si sta facendo
in questi giorni di Sinodo?
Ero
molto sereno. Perché Papa Francesco mi piace. Quello di Santa Marta
intendo, quello che parla al popolo cristiano. L'altro, quello che
parla ai media, non lo seguo. Visto che il Sinodo mi sembrava un
evento rivolto al popolo cristiano, in questo periodo così tormentato
per le famiglie di tutto il mondo, non ero preoccupato. Mi sa che mi
sono sbagliato e che, purtroppo, si stia facendo un Sinodo per i
media. Dalla pubblicazione, lunedì, della “Relatio”, ho deciso
di non seguirlo più. Per preservare la mia fede e quella della mia
famiglia.
Avresti
dei suggerimenti da dare, come cattolico, marito e padre ai vescovi
che partecipano al Sinodo?
Di
aprire gli occhi e le orecchie! Da quando la Chiesa pretende di
parlare come il mondo, le vocazioni crollano e le chiese si svuotano.
Chi ha una fede tiepida ha bisogno di scaldarla ogni domenica alla
fornace ardente di carità che è il mistero dell'Eucaristia per
(ri)trovare la forza di entrare in confessionale e di sentirsi dire
“va' e non peccare più” e non “va' e non ti preoccupare che saremo
tutti salvati”. Chi, invece, ha la grazia di una fede ardente,
crede nella redenzione, ma sa che essa passa solo dalla penitenza.
Dunque, quando viene meno la penitenza, addirittura quando sparisce
perfino il senso del peccato, egli è tentato di mandare tutto per aria
o,
peggio, di rivolgersi ad una religione più esigente e più
esplicita: basta vedere le tante conversioni all'evangelismo
pentecostale da una parte e all'islam dall'altra.
Cari
prelati, tutti i discepoli di Sant'Ignazio sanno che non ci sono che
due stendardi: quello di Cristo che ci chiama alla Gerusalemme
celeste e quello di Lucifero che ci vuole servi di Babilonia. Vi
sembra il momento di cambiare bandiera?
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