Antecedenti del kasperismo, della sofistica pastorale al Concilio e dogma cattolico.

Per gli adoratori di Kasper, normalisti ingenui e non.


12maggio1974
Nel 1974 il divorzio avendo raccolto il suffragio del popolo del popolo italiano, quel plebiscito non poteva non contenere la volontà generale della nazione e per essere seguito a un’estesa campagna di chiarificazione non poteva dissimulare il suo carattere anticattolico.
L’inimicizia dello Stato moderno verso la Chiesa non si era congiunta mai all’impugnazione del diritto naturale, di cui è principal presidio la Chiesa. ma in età postconciliare la defezione del 1974 dell’Italia e nel 1981 della Spagna ha consumato la pienissima emancipazione della società europea dalla sua base religiosa …
La desistenza dalla fermezza da parte della Chiesa si manifestò in Italia al tempo della campagna referendaria contro il divorzio, quando si videro non pochi preti parteggiare, tollerandoli i loro Superiori, per la dissolubilità …
La desistenza apparve anche dal Protocollo firmato dalla Santa Sede col Portogallo in febbraio 1975 per riformare il Concordato del 1940- Mentre il patto precedente stipulava che in ossequio al principio dell’indissolubilità i coniugi cattolici rinunziavano alla facoltà civile di chiedere il divorzio e che pertanto i tribunali della Repubblica portoghese non possono pronunziare il divorzio di coniugi canonicamente sposati, il Protocollo del 1975 si limita a richiamare ai coniugi cattolici l’indissolubilità e riconosce ai tribunali civili di pronunziare la dissoluzione del vincolo.
Minore diviene lo stupore per tale novazione se si considerano le dichiarazioni di taluni Padri del Vaticano II in favore della dissolubilità del vincolo. Erano vescovi della Chiesa Orientale soggetti all’influsso della disciplina matrimoniale della Chiesa ortodossa. Questa ammette il divorzio in diversi casi, tra cui c’è la colpa del coniuge che complotta contro lo Stato. Come questa disposizione indultiva della Chiesa Ortodossa dipenda dalla servitù politica di essa nei confronti dell’Impero bizantino e dall’Impero zarista, fu ben lumeggiato dal card. Charles Journet nella sessione CXXXIX del Concilio.
L’intervento era una risposta alle suggestioni di mons. Elia Zoghbi, vicario patriarcale dei Melchiti in Egitto, affinché si sciogliesse il nodo tra il coniuge ingiustamente abbandonato e il coniuge colpevole. Avendo la suggestione eccitato uno smisurato scalpore nell’assemblea e nella stampa, il presule stimò doveroso dichiarare in un successivo intervento in Concilio che proponendo quella dispensa egli non intendeva affatto derogare al principio dell’indissolubilità. Ma viene ovvia la replica: non basta mantenere lessicalmente un cosa, quando poi si pretende farla coesistere illesa a un’altra cosa che la distrugge.
L’attacco più spiegato all’indissolubilità fu però condotto dal Patriarca dei Melchiti Maximos IV che riprese con maggior impegno le proposte di mons. Zoghbi e raccolse in un volume gli interventi conciliari e le sue dichiarazioni extraconciliari. L’abbandono della dottrina non viene ovviamente professato come tale, ma porposto come una variazione della disciplina e non del dogma e come una soluzione pastorale.
Si pone in capite libri l’indissolubilità, definita solennemente nel Tridentino oggetto di fede e che chiude la porta a ogni discussione. Ma poi con la sofistica propria dei neoterici si viene a dire “Nella Chiesa Cattolica si trovano dei casi di ingiustizia veramente rivoltante, che condannano degli esseri umani, la cui vocazione è quella di vivere nello stato comune del matrimonio … e che sono impediti senza che ne abbiamo colpa e senza che essi possano, umanamente parlando, sopportare tutta la loro vita questo stato normale”.
Agli argomenti del Patriarca si oppone la perpetua tradizione della Chiesa e, in linea teoretica, tutta la dogmatica cattolica. Non ci diffondiamo sul metodo bustrofedico proprio dei neoterici, di camminare in un senso concedendo vocalmente l’indissolubilità, ma poi volgersi tosto in senso opposto affermando la dissolubilità, come se le contraddittorie coesistessero.

Romano Amerio
Romano Amerio

Le affermazioni del Patriarca oltrepassano il limite che divide la libertà teologica del dogma di fede e così vengono per obliquo a investire i principi della religione. Si rigetta infatti implicitamente il divario sofferenza e ingiustizia protestando che il coniuge innocente patisca dalla Chiesa un dolore ingiusto. Qui è implicata tutta la teodicea nonché la dottrina cattolica del dolore.


L’ingiustizia è evidente dal canto del coniuge che ha rotto la comunione, ma il patriarca ne fa un’ingiustizia anche dal canto della Chiesa, la quale per tenersi fedele al principio evangelico non meno che la diritto naturale, non si arroga di togliere quel dolore. Essa punisce il coniuge colpevole dell’ingiustizia, privandolo per esempio dell’eucaristia e infliggendogli altre diminuzioni dei suoi diritti, ma non fa mai prevalere il bene eudemonologico al bene morale e alla legge. Anzi la base del cristianesimo è l’idea del Giusto sofferente e la religione non promette l’esenzione dal dolore mondano, ma dal dolore nell’altra vita e fa entrare il dolore in un ordine integrato della presente e della futura vita in una veduta essenzialmente sovrannaturale. [Mentre] La posizione del Patriarca è naturalistica.
La Chiesa non ha per fine peculiare la rimozione del dolore … Gli uomini devono adoperarsi per rimuovere e punire l’ingiustizia, ma ciascuno vi è esposto indipendentemente dal suo stato morale. Gli uomini soffrono perché sono uomini, non perché siano personalmente malvagi. Non entro nel discorso teologico che mostra ogni male umano dipendere originariamente dalla colpa. La religione non prende scandalo dalla sofferenza del giusto e non vi ravvisa un’ingiustizia, ma la vede sempre nell’ordine totale del destino e sempre associata a un sentimento prevalente di gaudio dato dalla speranza dell’immortalità “feliciter infelices” secondo al formula di sant’Agostino risuonante testi paolini. Il Patriarca invece prende il dolore come un’ingiustizia, anziché esperienza della virtù, partecipazione al Cristo, purificazione ed espiazione per i propri e per gli altrui peccati, e per di più trasloca la responsabilità dell’ingiustizia dal colpevole alla Chiesa.
[Da "Il Divorzio" di Romano Amerio in "Iota Unum"]