Il vescovo destituito in Paraguay. La parola alla difesa
È stato rimosso senza poter leggere i capi d'accusa. Ha bussato alla porta del papa senza essere da lui ricevuto. Ecco la sua ricostruzione dei fatti, sullo sfondo drammatico della Chiesa del suo paese
di Sandro Magister
di Sandro Magister
Eppure è ciò che è accaduto a Ciudad del Este, la diocesi del Paraguay al confine col Brasile e l'Argentina, affacciata sulle cascate dell'Iguazù, nel territorio che tre-quattro secoli fa fu civilizzato e cristianizzato dai missionari gesuiti delle "Reducciones".
Rogelio Ricardo Livieres Plano, il vescovo che papa Jorge Mario Bergoglio ha destituito, era a Roma da alcuni giorni quando il 25 settembre ha avuto notizia della sua avvenuta rimozione.
Ne ha avuto notizia per telefono dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, proprio mentre in Paraguay il nunzio la rendeva pubblica, poco prima del comunicato vaticano ufficiale.
In una nota che ha accompagnato il comunicato, la sala stampa della Santa Sede ha fatto risalire la destituzione di Livieres ai risultati delle visite apostoliche compiute a Ciudad del Este nei mesi precedenti.
Papa Francesco aveva inviato come visitatore un porporato di sua fiducia, lo spagnolo Santos Abril y Castelló, già nunzio in Argentina dal 2000 al 2003 e oggi presidente della commissione cardinalizia di vigilanza sullo IOR.
E questi avrebbe riscontrato nel comportamento del vescovo Livieres – stando alla nota vaticana – un attentato "all'unità della Chiesa di Ciudad del Este e alla comunione episcopale in Paraguay".
Non una riga, però, del dossier accusatorio elaborato dal visitatore apostolico è stata mostrata al vescovo destituito. Né egli, pur presente a Roma, ha avuto esaudita la richiesta di un colloquio con papa Francesco.
A Livieres è stato chiesto ripetutamente di dimettersi. Ma lui non si è piegato. Rimosso d'autorità, ha accettato in obbedienza questa decisione e ha incoraggiato i suoi fedeli a fare altrettanto, benché la giudichi "infondata e arbitraria", frutto di "persecuzione ideologica", come ha spiegato in una lettera al cardinale Ouellet, scritta di getto il giorno stesso della sua destituzione:
> "Eminencia Reverendísima…"
Questa assenza di chiarezza sui reali motivi della rimozione di Livieres ha indotto inoltre i media di tutto il mondo ad associarla al clamoroso arresto avvenuto due giorni prima in Vaticano, "per espressa volontà del papa", dell'ex nunzio Jozef Wesolowski. Come per costui l'imputazione era di gravi abusi sessuali compiuti su minori, così per Livieres la colpa enfatizzata dai media era di avere "coperto" le analoghe malefatte di un sacerdote da lui accolto in diocesi e promosso a proprio vicario.
Padre Federico Lombardi, intervistato dal "New York Times", ha negato che questo fosse "il problema centrale" all'origine della destituzione di Livieres. Ma nei media questa è rimasta la spiegazione principale della sanzione inflitta da papa Francesco al vescovo di Ciudad del Este.
Al quale non resta che dare la parola, per avere un quadro il più possibile bilanciato della vicenda.
Quella che segue è la versione dei fatti dal punto di vista del vescovo Livieres, pubblicata sul sito della diocesi di Ciudad del Este poco prima della sua rimozione.
Nella giustizia civile ogni sentenza di condanna è seguita dalla pubblicazione delle sue motivazioni.
Nel caso di Ciudad del Este la condanna è arrivata, le motivazioni no. Nell'attesa di un confronto, ecco l'impressionante autodifesa del condannato.
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DIFENDERE LA VERITÀ. RIEPILOGO ESPLICATIVO DELLA VISITA APOSTOLICA
Ufficialmente, il nunzio apostolico nel Paraguay informò in una conferenza stampa del 2 luglio 2014 che la Diocesi di Ciudad del Este avrebbe presto ricevuto una visita apostolica "il cui fine era offrirle assistenza per il bene di quella Chiesa particolare".
Ufficiosamente, i media diedero notizia che si stava profilando un vero e proprio "intervento sulla diocesi", cioè un processo la cui conclusione sarebbe stata o la rinuncia o la destituzione del nostro vescovo ed il blocco dell'opera che sta portando avanti.
Presentiamo qui di seguito un riepilogo che inquadra i punti chiave di questa vicenda con i suoi fatti e documenti probatori. Lo facciamo nello stile chiaro e diretto del popolo di Dio, e con l'onestà e la trasparenza alla quale ci ha abituati mons. Rogelio.
1. LUGO E LIVIERES
Il Vescovo paraguaiano più famoso è, indubbiamente, il "padre-vescovo" Fernando Lugo, ex-presidente della Repubblica. Assunse la carica come Presidente ad agosto del 2008, dopo aver ricevuto la dispensa dai suoi obblighi come consacrato, tornando allo stato laicale. Fu destituito nel 2012, dopo un giudizio politico nel Congresso.
Lugo e la minuscola ma intraprendente sinistra del paese non sarebbero mai arrivati al potere, sconfiggendo il Partito Colorado, senza una alleanza con la principale forza minoritaria, il Partito Liberale, ed il sostegno massiccio (dichiarato o silenzioso) della Chiesa gerarchica. Sono decenni ormai che in Paraguay si scelgono sistematicamente come vescovi solo candidati di certe tendenze anti-Colorado, per di più imbevuti in larga misura dei derivati ideologici della teologia della liberazione.
Come tutte le regole, anche questa ebbe la sua eccezione: mons. Livieres levò la sua voce (in pubblico, molto in pubblico) per opporsi alla candidatura di Lugo, ritrovandosi ad essere l'unico difensore della posizione del Vaticano. Le critiche da lui espresse furono di due tipi. Da una parte, egli si oppose alla confusione fondamentalista tra religione e politica, che trascinò Lugo e tanti altri consacrati ad abbandonare i propri impegni evangelici per "mettersi in politica". Dall'altra, levò l'allarme sull'irresponsabilità morale e amministrativa del candidato, tenuta nascosta da tanti ecclesiastici e religiosi sebbene tutti la conoscessero.
2. LA "COMUNIONE ECCLESIALE"
La polemica riguardante Lugo non fu la prima occasione nella quale Mons. Livieres mise sottosopra l l'episcopato. L'accusa di "rompere con la comunione ecclesiale" sorse ancor prima che mettesse piede nella diocesi e, dunque, potesse "mettere lo zampino". Effettivamente, la conferenza episcopale scrisse a san Giovanni Paolo II ed espresse il suo vivo disaccordo con la nomina del nuovo fratello, che nemmeno era entrato nella terna dei candidati, in quanto "imposto" da Roma. Alcuni leader laici si fecero eco anche loro di queste proteste. La Santa Sede non cedette. E anche dopo, sfidando ogni tempesta come la barca del Vangelo, ha sostenuto il nuovo vescovo nella sua gestione.
Ma la conferenza episcopale non non era poi tanto a malpartito. Indubitabilmente mons. Livieres, dell'Opus Dei, rappresentava un'orientamento ecclesiale diverso dal ferreo modello dominante. Ma a onor del vero bisogna riconoscere che egli non pretese mai di imporre le sue linee pastorali agli altri Vescovi. Non prese un atteggiamento di contrapposizione, bensì di complementarietà arricchente per la Chiesa. (Spesso si confonde l'unità nella fede e nell'amore – la vera "comunione ecclesiale" – con l'imposizione di un'uniformità).
Un momento particolarmente difficile per la convivenza episcopale ebbe luogo con la fuga di una lettera confidenziale e personale che mons. Rogelio aveva consegnato con le proprie mani a papa Benedetto XVI, su richiesta di Sua Santità, durante la visita "ad limina". Come è accaduto in seguito con "Vatileaks", la fuga di informazioni alla stampa aveva la sua origine nel Vaticano stesso (ad opera di alcuni che cercavano di danneggiare il papa emerito?). La lettera insisteva sulla necessità di scegliere i futuri vescovi tra i migliori candidati dal punto di vista della vita di fede e della sapienza liturgica e di governo, se si voleva veramente superare la crisi della Chiesa; e non tra quelli "graditi aa tutti" per mantenere lo status quo.
Il vescovo di Ciudad del Este, degno figlio di suo padre esiliato sei volte dal governo militare di Stroessner, è stato un instancabile combattente per la libertà religiosa, sua e dei suoi fedeli.
3. I RELIGIOSI
Vi sono stati dei disaccordi anche con la conferenza dei religiosi del Paraguay, dovuti non a un'incomprensione della vita religiosa – chiaramente incoraggiata da Mons. Rogelio nella sua Diocesi –, quanto piuttosto a una profonda crisi d'identità e di disciplina in molte comunità, specialmente di origine o formazione europea.
Buona parte dei religiosi a livello nazionale si sono sentiti identificati con il modo di agire di Lugo. Inoltre, quando si sono avverati casi acuti di crisi sociale, come il massacro di Curuguaty in questa diocesi, che favorì la caduta politica dell'ex vescovo Lugo, molti si sono pronunciati ed hanno assunto atteggiamenti dissonanti con la fede. In forza del diritto canonico Livieres vietò, sotto pena di sanzioni, la strumentalizzazione politica o ideologica della pastorale sociale. Si oppose anche a una falsa "pastorale indigena" che, in contrapposizione ai santi missionari di tanti secoli, vuole impedire il diritto dei nativi a che sia loro predicata la Buona Novella del Vangelo.
I numerosi sacerdoti, seminaristi, religiosi e laici che il vescovo ha mobilitato, concretamente, durante le crisi sociali e le catastrofi naturali, sono intervenuti energicamente, ma sempre sotto un profilo strettamente spirituale e umanitario. Il principio da seguire era semplice: "A Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare".
4. IL CLERO
Alcuni dei 16 sacerdoti diocesani che mons. Livieres trovò al suo arrivo espressero riserve dinnanzi alle nuove linee pastorali e al rinnovamento della disciplina ecclesiale. L'incomprensione arrivò a tal punto che, con il sostegno di alcuni vescovi, 10 di questi sacerdoti scrissero a papa Benedetto XVI chiedendo "un intervento". Alcuni mesi dopo, circa 150 sacerdoti del resto del paese, nella maggior parte religiosi, fecero la stessa cosa. Fu l'arcivescovo di Asunción, abile e impegnato oppositore di mons. Rogelio, la persona incaricata di portare la protesta a Roma. Ma il papa non rispose; bensì suggerì a mons. Livieres l'esigenza di "formare un nuovo clero". La proposta si dimostrò un saggio consiglio: la maggior parte del clero diocesano, oggi giovane e numeroso (sono poco più di 70), considerano il vescovo come il loro padre, il loro pastore e condividono i suoi orientamenti pastorali.
Per quanto riguarda i laici locali, soltanto un gruppo molto ridotto, ma vociferante e sostenuto dall'esterno della diocesi, ha mantenuto un atteggiamento critico, in particolare un certo Javier Miranda, di cui parleremo più avanti. A parte alcune eccezioni, i laici ed i loro dirigenti, sia di movimenti autorizzati a livello nazione o internazionale, sia di movimenti riconosciuti, promossi e guidati da mons. Rogelio durante il suo ministero, tutti hanno sostenuto e continuano a sostenere il loro vescovo, che ha dato loro tanta libertà di azione e di spazio "para hacer lío" e portare avanti l'evangelizzazione e la missione continentale di Aparecida.
5. NUOVI SEMINARI PER IL TERZO MILLENNIO
Quando il 3 ottobre 2004 monsignor Livieres assunse la sua carica come vescovo di Ciudad del Este, subito scoprì la grande sfida che aveva davanti a sé: aveva poco più di 70 sacerdoti (tra religiosi e diocesani) per la cura spirituale di una popolazione di circa un milione di anime, cioè, 1 pastore per ogni 10 mila pecore. La prospettiva per il futuro era ancora peggio, con appena una decina di seminaristi in formazione nel seminario nazionale di Asunción.
Non c'è bisogno di precisare ancor di più la gravità della situazione a chi riconosce con umiltà "teocentrica" che la Chiesa fondata de Gesù Cristo "vive dell'eucaristia", cioè, dei sacramenti nei quali Egli "è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo", e la cui amministrazione fedele ha affidato ai sacerdoti.
Senza fondi a disposizione e senza studi di fattibilità, monsignore prese subito la decisione strategica di assumere come priorità del suo ministero quanto indicato dal Direttorio per i vescovi e dal Codice di diritto canonico: decidere l'apertura di un proprio Seminario diocesano.
Presto si scoprì perché il Padrone della vigna lo aveva scelto come vescovo: padre Rogelio aveva attirato e coltivato molte vocazioni all'Opus Dei. Fece lo stesso nella sua diocesi, dove la pastorale vocazionale non si delega. Ogni domenica, con la collaborazione di un vivace gruppo di formatori, il vescovo riceveva e intratteneva nella propria casa tutti gli interessati alla vocazione sacerdotale. Un po' di sport, un colloquio di formazione, guida spirituale e confessione, l'adorazione del Santissimo, la preghiera del Rosario, un dialogo con domande "a bruciapelo" e una appetitosa merenda portano al magico risultato di circa 130 persone coinvolte in un anno, delle quali sono ammesse mediamente fra 30 e 40. Il segreto del successo, oltre all'impegno diretto e personale del vescovo, risiede nell'entusiasmo con il quale i giovani aspiranti ed i seminaristi escono a loro volta a cercare vocazioni tra gli amici, i parenti e i conoscenti (marketing "virale"…).
Il Seminario Maggiore San José è già stato valutato positivamente dalla Santa Sede in diverse lettere, ed ha ordinato oltre 60 sacerdoti in 10 anni. Ma Mons. Rogelio, preoccupato per migliorare la qualità della sua pesca e per la crisi del sistema educativo in genere, creò nel 2012 il Seminario Minore San Andrés. Contemporaneamente, nel tentativo di poter applicare in maniera più radicale le lineamenta/linee guida del Concilio Vaticano II ed i documenti postconciliari sulla formazione sacerdotale, iniziò l'esperienza dell'Istituto di Formazione Sacerdotale San Ireneo di Lione. Per adesso, questa casa di formazione funziona soltanto nel suo ciclo propedeutico, dove si impartiscono le arti liberali classiche e si discute in lezioni-seminario sui Grandi Libri della cultura occidentale.
6. LA PIETRA DI SCANDALO
La decisione di formare i propri seminaristi come un padre educa i propri figli fu colta con sorpresa dalla Chiesa in Paraguay. Inizialmente ai vescovi non piacque questa decisione perché avrebbe potuto rompere (ed infatti, lo fece) lo schema monolitico di formazione sacerdotale (diocesano come religioso) che si era concordato con la creazione del seminario nazionale ed il suo istituto di teologia, nel secolo scorso.
Fu inutile che la Santa Sede richiamasse il diritto e l'opportunità, se possibile, di ogni vescovo ad avere un proprio seminario. "Perché avere un nuovo seminario, se sempre ce n'è stato uno solo?", è la domanda che si pongono ancora oggi quelli che non sembrano aver riflettuto sull'indicazione del n. 33 della "Evangelii gaudium": "abbandonare il comodo criterio pastorale del 'si è fatto sempre così'”.
7. PADRE CARLOS URRUTIGOITY
Un capitolo a parte in questa storia di opposizione al nostro vescovo e al suo nuovo seminario lo merita, indubbiamente, l'attacco contro padre Carlos. Arrivato in diocesi nel 2005, assieme ad altri sacerdoti e laici che avrebbero costituito successivamente le Comunità sacerdotali di San Juan, e raccomandato da alcuni cardinale con funzioni nella Santa Sede (uno di loro fu eletto pochi giorni dopo successore di Pietro), portó con sé, come bagaglio, una dura campagna di diffamazione e calunnie negli Stati Uniti, sulla quale mons. Livieres ha scritto una dettagliata lettera chiarendo i fatti.
Sin dall'inizio padre Carlos si rivelò uno stretto collaboratore del vescovo. Per questo motivo, il suo caso fu utilizzato come pedina per mettere in dubbio i successi pastorali nella diocesi e, in particolare, la formazione del nuovo clero, dal momento che nei primi tempi egli collaborò nel nuovo seminario alla formazione, attività che più tardi lasciò per assistere il vescovo nella curia diocesana.
Nonostante le ripetute smentite del vescovo, una parte dei media, ripetitivi ed autoreferenziali, hanno continuato a citarsi l'un l'altro su presunte "accuse di pedofilia" che, in realtà, non sono mai esistite. Nel Paraguay, queste campagne sono sempre state orchestrate dallo stesso giornale che, in precedenza, aveva forzato la rinuncia di un altro vescovo. (La giustizia, anche in questo caso, fu chiara nel dimostrare la falsità delle accuse, presentate da falsi testimoni pagati, in una manovra che voleva portare alla destituzione). La stampa, nel caso di padre Carlos, fu aizzata dagli oppositori ecclesiastici paraguaiani che abbiamo già menzionato prima, e che hanno contatti influenti negli Stati Uniti e a Roma, con i quali condividono uguali tendenze e lobby.
In conclusione uscì di tutto, tranne che prove di pedofilia: perché, a dispetto dei detrattori, non vi sono state accuse da parte di nessuna vittima. Esiste soltanto un pasticcio di calunnie fatte da terze parti interessate. Per questa ragione mai ci fu alcun processo penale, né alcuna condanna nel tribunale di qualche paese o nella Santa Sede. Tutt'al contrario, l'eterosessualità di padre Carlos è stata confermata da due valutazioni psicologiche indipendenti, una negli Stati Uniti e l'altra nel Canada, che hanno escluso anche la presenza di psicopatie o disordini di personalità.
Non è neppure vero che ogni volta si siano aggiunte nuove accuse, anche se, come sempre, senza poter essere provate. Tutte si riducono alla testarda ripetizione della accuse inventate tanti anni fa, non da presunte vittime, bensì dai due persecutori ideologici del padre Carlos i quali, uno in Argentina e l'altro negli USA, nutrono vere e proprie campagne: una, conventuale; l'altra, mediatica e cibernetica. Il primo è un sacerdote "sedevacantista" argentino che non riconosce nessun papa da san Giovanni XXIII a Francesco e che per di più si è fatto "consacrare vescovo" in maniera del tutto invalida per la Chiesa cattolica. Il secondo è un nordamericano, un ex impiegato diocesano scontento perché il vescovo di Scranton, mons. Timlin, lo aveva tolto da un progetto educativo del quale voleva impossessarsi.
L'unica accusa presentata contro padre Urrutigoity davanti a un tribunale penale americano (a nome di una persona adulta chiamata Michael Prorock) fu rigettata in via preliminare dalle indagini indipendenti di due procuratori in Pennsylvania.
Si chiariscono, allora, due conclusioni chiave: 1) che l'accusa contro padre Carlos non implicava comunque un caso di pedofilia, poiché il denunciante era maggiorenne all'epoca dei presunti fatti; 2) che a motivo dell'archiviazione da parte dei procuratori una causa penale negli USA non ha mai avuto inizio.
Nei tribunali della Chiesa, la congregazione per la dottrina della fede escluse la possibilità di aprire un processo canonico penale per la stessa ragione: non c'era nessuna accusa di pedofilia.
Questo fallimento dell'accusa penale nocque seriamente agli avvocati del denunciante, nel suo proposito di ottenere una ricca indennità nel foro civile, come è abituale negli USA, dove hanno accusato di diversi delitti il vescovo James Timlin, la diocesi di Scranton, alcuni suoi sacerdoti, la Fraternidad San Pedro, l'Accademia Saint Gregory’s e la Society of Saint John fondata da padre Carlos.
Per le persone non abituate alle tortuosità legali, bisogna chiarire che per uno stesso motivo si possono avviare due cause indipendenti: una nel tribunale penale e l'altra nel civile. Il successo di quest'ultima, cioè, la quantità di danaro che si può ottenere per danni, è debole se fallisce la denuncia penale.
Ma negli USA vale la pena tentare comunque, perché anche se le accuse nel tribunale penale non arrivano nemmeno a giudizio – per mancanza di fatti o di prove – in quel sistema legale ci sono più probabilità di ricevere dei soldi tramite una causa civile. In effetti, a causa degli elevatissimi costi per difendere l'innocenza davanti alla giustizia civile americana (si calcola che in media una diocesi debba spendere 2 milioni di dollari per ogni caso), è consuetudine arrivare a un patteggiamento prima del giudizio, con l'approvazione del giudice del caso.
La Society of Saint John, che inizialmente non voleva arrivare a un patteggiamento, fu forzata dalla diocesi di Scranton, alla cui testa c'era già mons. Martino, ad accettare un accordo complessivo di 450 mila dollari, dei quali essa era tenuta a versare 55 mila dollar, una cifra insignificante per le somme abituali in questi casi, che si spiega nel fatto che gli avvocati dell'accusa non avevano prove minimamente solide per poter chiedere più soldi alla Society, o per rifiutare il patteggiamento ed avviare il processo civile. La Society of Saint John impose come condizione per firmare l'accordo che i denuncianti riconoscessero per iscritto, una volta di più, la sua innocenza e che l'accusa, da parte sua, rinunciasse in ugual modo a qualsiasi altra campagna successiva di accuse o a un'altra azione civile.
Come si dice da noi "por la plata baila el mono", per i soldi balla la scimmia, ed è chiaro che ovunque c'è chi si agita per i soldi, e non importa se si inganna la gente e si screditano gli innocenti. Parlando adesso dei "ballerini" di Ciudad del Este, il 23 luglio di quest'anno, nella causa 2014-6130 del Tribunale Penale di Garanzie N. 6 dell'Alto Paraná, il pubblico ministero in carico, María Graciela Vera Colmán, ha chiesto l'archiviazione, per mancanza assoluta di prove, delle accuse inoltrate via telefono (!) alla procura da una radio di Asunción contro il sacerdote Urrutigoity "per preteso abuso sessuale su bambini, non menzionando il nome delle vittime… né altri elementi di identificazione… né l'indirizzo e/o le date o i luoghi dei fatti denunciati". Tutto questo proveniva dalle chiacchiere fatte – e registrate – in un programma di Radio Unión dal noto accusatore seriale Javier Miranda il quale, intimato dal pubblico ministero a comparire al fine di provvedere a una "dichiarazione in qualità di testimone", non si è mai presentato né ha inviato prova alcuna, confermando così le sue inequivocabili propensioni di attore.
Pastore, e non mercenario che fugge davanti ai lupi, mons. Livieres è stato inflessibile nella difesa degli innocenti. Nel caso di padre Carlos lo ha fatto anche dinnanzi a quelli che, seppur riconoscendo la bontà del suo impegno, pensavano fosse imprudente dapprima accoglierlo nella diocesi e poi promuoverlo a diversi incarichi, poiché tali azioni avrebbero messo in pericolo l'immagine della gestione e la "carriera ecclesiastica" del vescovo. Ma monsignor Rogelio giudicò più realista e appropriato far tesoro delle risorse umane concrete che la Provvidenza gli metteva a portata di mano.
Nonostante l'occasionale caos mediatico e la protesta clericale, il Vaticano rispettò la decisione del vescovo e, dopo un prudente tempo di attesa e di esperienza nella nuova diocesi, autorizzò l'incardinamento di padre Carlos in Ciudad del Este, tramite il suo rappresentante, il nunzio apostolico in Paraguay, con il permesso del vescovo escardinante. Inoltre, quello stesso anno la Santa Sede emise la lettere laudatoria con la quale riconosceva ufficialmente come società di vita apostolica le Comunità Sacerdotali di San Juan.
Per quanto riguarda il giudizio del popolo di Dio nella diocesi, i seminaristi, i sacerdoti, i religiosi e i laici della diocesi nel loro insieme hanno sostenuto, e continuano a farlo, il vescovo e sacerdote, e sono ormai da dieci anni testimoni diretti del suo magistero esemplare, delle sue qualità umane e della sua onestà morale. Questi appoggi non vanno solo supposti; sono visibili, per chi voglia esaminarli, negli attestati scritti e firmati per la stampa e per il grande pubblico in genere. Inoltre, quando arrivò il momento di nominare un nuovo vicario generale, una volta sentiti i sacerdoti e i dirigenti del laicato, tutti proposero quasi all'unanimità padre Carlos come il candidato di loro scelta. Anche se lui si oppose all'idea perché gli sembrava imprudente, il vescovo confermò e fiancheggiò la decisione dei suoi sacerdoti e laici.
Bisogna sottolineare, da ultimo, che quando mons. Livieres ha dovuto affrontare i veri casi di corruzione o violazione del celibato sacerdotale, in qualsiasi loro forma, non ha esitato ed ha proceduto conforme al diritto, anche davanti a forti pressioni contrarie, punendo in maniera proporzionata e medicinale i colpevoli.
8. MONS. PASTOR CUQUEJO
L'arcivescovo di Asunción si è aggiunto pubblicamente alla nuova ondata di attacchi contro padre Carlos dichiarando alla stampa che il suo caso non era chiarito e che lui poteva, come arcivescovo metropolita, richiedere alla nuova amministrazione di Roma di riaprire le indagini presso la congregazione per la dottrina della fede, indagini chiuse preliminarmente sotto Benedetto XVI per mancanza di accuse da parte di minorenni.
Indignato, mons. Livieres gli rispose sul terreno nel quale l'arcivescovo si era espresso. Lo fece perché si gettava aperto discredito sui suoi ripetuti chiarimenti e perché si chiedeva, contro ogni giustizia, la riapertura di un'indagine senza che fossero intervenute nuove accuse né nuovi elementi di giudizio. La pietra scagliata da mons. Cuquejo era indirizzata a mettere in dubbio la probità di quanto fatto non solo da mons. Livieres ma anche dalla stessa Santa Sede.
Senza preamboli da parte sua, anche se forse con eccesso, mons. Livieres rinfacciò all'arcivescovo l'incongruenza di gridare allo scandalo e di chiedere indagini pubbliche quando lo stesso mons. Cuquejo era stato non soltanto accusato, ma anche processato per attività omosessuale, e non da terze parti, ma dalle stesse persone coinvolte.
9. NUOVE COMUNITÀ
Nello stesso modo con cui si criticano i genitori con più di due figli, si è messo in questione il numero di vocazioni sacerdotali e di nuovi carismi laicali e religiosi, prospettando una falsa opposizione tra quantità e qualità. Incredibilmente, alcuni si chiedono se è possibile che Dio benedica così generosamente una diocesi, o se la moltiplicazione non sia piuttosto frutto di negligenza e di smania per le statistiche.
L'albero si giudica dai suoi frutti. Il giudizio della gente sui suoi nuovi pastori è molto positivo, e ci si felicita per la varietà di servizi che offrono le comunità religiose d i movimenti laicali. Certo, si può sempre fare meglio e di più. Molto probabilmente la visita apostolica apporterà suggerimenti e correzioni che favoriranno l'andare oltre.
Ma é innegabile che Ciudad del Este, fino a poco fa nota per il suo contrabbando e altri traffici, si sta trasformando in un centro di vitalità spirituale, religiosa e culturale riconosciuto nel paese. È difficile percorrere le sue strade senza osservare giovani in abito talare e abiti religiosi. Ogni fine settimana, circa duemila persone escono dalle loro periferie e povertà umane per partecipare a ritiri di conversione e formazione, organizzati per la maggior parte da laici accompagnati dai loro cappellani. Anche i molteplici corsi di formazione per dirigenti sulla Bibbia, la liturgia e la catechesi annoverano un gran numero di partecipanti.
10. QUESTIONI ECONOMICHE
Occupiamoci adesso degli allegati che riguardano le finanze. Due sono le accuse su questo soggetto: la malversazione delle donazioni elargite dalla Binacional Itaipú e lo sperpero del patrimonio immobiliare della Diocesi.
Itaipú donò alla Diocesi un'importante somma di danaro (circa U$ 300.000) che il vescovo destinò totalmente alla manutenzione del Seminario. Fu accusato dal sig. Javier Miranda di malversazione di fondi e di truffa ai danni dei poveri e bisognosi della regione. Mons. Rogelio giustificò la sua decisione spiegando che i futuri sacerdoti sarebbero stati i più effettivi agenti di promozione sociale e, pertanto, che quello era il modo migliore di servire i poveri a lungo termine. La giustizia del Paraguay diede ragione a Mons. Rogelio a tutti livelli, compresa la corte suprema, riconoscendo le ragioni del suo operato e verificando che tutto era stato speso fino all'ultimo centesimo per coprire i bisogni della Chiesa, senza deviazioni verso tasche di privati.
Sempre con l'urgenza di avere fondi per pagare la formazione di circa 200 seminaristi e lo sviluppo di opere pastorali sempre più attive e varie, e cioè per poter capitalizzare spiritualmente la sua diocesi, il vescovo, senza rendite a sua disposizione a motivo della recente creazione della stessa, mise in vendita alcuni immobili che non avevano un uso pastorale, né producevano dei benefici economici. La stessa cosa avevano fatto i suoi predecessori, anche senza avere un Seminario proprio da mantenere. Anche di questo il sig. Miranda lo denunciò, come se avesse compiuto una manovra dolosa e irresponsabile.
In ogni modo, per cercare una soluzione definitiva a questa precarietà economica, il vescovo, seguendo la raccomandazione che aveva ricevuto dal nunzio apostolico quando assunse la sua carica, ha chiesto a dei laici qualificati lo studio e la realizzazione di progetti che producssero redditi nel futuro, per coprire almeno il 75 per cento delle spese operative stimate.
11. JAVIER MIRANDA
La nota tragicomica di questa saga corrisponde a Javier Miranda, un agitatore politico poco familiarizzato con il rigore della verità. Autoproclamatosi "Presidente dei Laici dell'Alto Paraná" e nonostante nessun movimento laico lo assecondi, egli accusa in maniera tanto ostinata quanto contraddittoria mons. Rogelio e i suoi collaboratori dei crimini più vari; nelle sue fantasie arriva ad affermare nei media di avere prove certe che il Vescovo abbia contratto in un casinò dell'Uruguay un debito di milioni di dollari (sic).
Anche se i fatti gli danno torto – persino nei fallibili tribunali umani – egli continua a essere una marionetta utile a certi gruppi della sinistra e ai contestatori ecclesiastici di sempre. A dire il vero con uno scarsissimo successo e sostegno popolare.
12. PERCHÉ LA STORIA NON SI RIPETA
La crescita e la forza del Popolo di Dio in Paraguay furono crudelmente mutilatE a causa dell'ingiusto processo e soppressione dei missionari gesuiti alla fine del XVIII secolo. Anche loro furono accusati da infidi ecclesiastici alleati di potenti uomini politici e lobby.
Quelli che desiderano che la storia si ripeta adesso nella nostra diocesi probabilmente si sorprenderanno nello scoprire che, questa volta, il vescovo di Roma è un erede dei gesuiti calunniati e soppressi, disposto a scrivere la storia in un modo nuovo.
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Lo stesso testo in lingua originale nel sito della diocesi di Ciudad del Este, con in più, capitolo per capitolo, i link alla relativa documentazione:
> Resumen explicativo…
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350884
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